NASCE IL TRIPARTITO, SUK AL SENATO: VERDINI OTTIENE TRE VICEPRESIDENZE DI COMMISSIONE
POLTRONE ALLA COSENTINIANA DI FERRO E AL FIGLIO DI UN BOSS UCCISO
A metà mattinata, Lucio Barani, craxiano mai pentito, garofano rosso nell’occhiello ruggisce: “Coi numeri che abbiamo secondo il Cencelli dobbiamo avere almeno quattro vicepresidenti di commissioni. O una presidenza di Commissione”.
Barani ora è capogruppo di Ala, la pattuglia verdiniana, affamata di posti dopo mesi di fedeltà a Renzi.
E dopo il voto sulle riforme costituzionali: “Senza i nostri 17 voti non c’era maggioranza”. Palazzo Madama pare un suk, il giorno in cui si rinnovano le presidenze delle commissioni.
Serve Denis Verdini, per trattare. La sua criniera bianca si vede entrare felpato nelle stanze del Pd a ora di pranzo, per parlare con Luigi Zanda.
Uomo di trattative, fa capire che, pagata moneta dei voti, vuole vedere cammello dei posti. Poche parole, Denis esce dalla stanza con un foglietto. Nero su bianco, ci sono i nomi che sanciscono la nascita del tripartito Renzi-Alfano-Verdini.
Eva, il primo nome. Destinata alla vicepresidenza della commissione Finanze.
Eva è la senatrice Eva Longo, una delle colonne del Pdl di Nicola Cosentino, approdata in Ala proprio su promessa di un incarico parlamentare.
Appagato l’appetito anche Vincenzo Compagnone e di Pietro Langella, altro campano eccellente.
Pietro Langella in una relazione per lo scioglimento del Comune di Boscoreale era considerato “esponente dell’omonimo clan”.
Omonimo perchè suo padre Giovanni, detto “il Paglietta”, era un boss trucidato nel 1991 per ordine della “cupola” agli ordini di Carmine Alfieri, capo della Nuova Famiglia. Langella, che diversamente da Cosentino non ha avuto problemi con la giustizia, da allora di carriera ne ha fatta approdando a palazzo Madama col Pdl e ora approdando alla vicepresidenza della commissione Bilancio.
Si chiede Roberto Speranza, leader della minoranza dem: “Forse è il caso che Renzi ci dica se esiste una nuova maggioranza politica che sostiene il governo con Verdini dentro. Se è così si apra un dibattito pubblico e in Parlamento”
La maggioranza invece c’è, ma non si dice. Si capisce dai posti: “Tre in quota Ala, una presidenza alle Autonomie, la Giustizia ad Alfano”.
È questo l’accordo raggiunto nelle stanze del capogruppo Zanda.
Tradotto dal politichese: il Pd, pur di trovare la quadra, rinuncia a una presidenza di Commissione, per compensare le Autonomie.
L’accordo prevedeva Antonio Fravezzi ai Lavori pubblici ma poi, una manovra delle opposizioni lo fa franare, consentendo di rimanere presidente ad Altero Matteoli, uno che con Denis Verdini ha sempre avuto rapporti eccellenti.
Il Pd, perno del tripartito, rinuncia a una commissione ma conferma tutte le altre.
Mentre Alfano incassa la commissione Giustizia per Nico D’Ascola, che ha rinunciato al posto di vice-ministro della Giustizia per non trascurare la l’attività redditizia del suo studio privato, che ha visto in questi anni clienti eccellenti.
D’Ascola per anni è stato socio di Niccolò Ghedini nel suo studio romano ed è stato protagonista, nei tempi del berlusconismo, quando difesa politica e giudiziaria erano tutt’uno, della difesa di Claudio Scajola, ma soprattutto di Gianpaolo Tarantini in uno di processi sul giro di escort attorno a palazzo Grazioli.
Tra gli altri politici eccellenti difesi da D’Ascola, l’ex presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, condannato per abuso e falso a sei anni e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Il rinnovo delle commissioni è solo l’inizio della trattativa che si concluderà col rimpastino del 28 gennaio, quando saranno riempite le caselle di governo vacanti da mesi: “Alfano — racconta una fonte di governo che segue il dossier – ha bisogno di posti perchè sennò Verdini gli svuota il partito”.
Per placare i calabresi, il grosso del gruppo al Senato, un posto al noto Antonio Gentile, che dovrebbe tornare sottosegretario alle Infrastrutture. E poi ha indicato il torinese Enrico Costa, attuale viceministro alla Giustizia, agli Affari regionali.
La contropartita è la rinuncia a presentare a Torino una lista contro Fassino che si giocherà la partita con pochi voti.
La Boschi preferirebbe in quella casella Dorina Bianchi, diventata una sua amica. Una che, se venisse promossa, saprebbe comportarsi di conseguenza stando al suo fianco senza se e senza ma su ogni questione che riguarda Etruria, scandali e massoni.
E poi l’occhio vuole la sua parte, come ha fatto capire Michele Anzaldi parlando dell’importanza dell’estetica nei talk show nell’era renziana. Vale anche nel suk.
(da “Huffingtonpost”)
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