NOMINE UE, BRUCIATA LA PRIMA FILA, SI VA VERSO LE SECONDE LINEE
UNA FONTE PPE: “L’ITALIA NON SIEDE IN PRIMA FILA, MA NEMMENO AL POSTO DEI PASSEGGERI: STA NEL BAGAGLIAIO”
Fumata nera: tutto rinviato ad un nuovo vertice straordinario il 30 giugno e ai contatti informali tra i leader che in settimana saranno a Osaka in Giappone per il G20.
Il Consiglio europeo di giugno, che doveva decidere le nomine per i vertici dell’Unione nella nuova legislatura iniziata a maggio, si chiude con un fallimento.
Ma almeno serve a eliminare i nomi che per un mese hanno bloccato ogni discussione sulla presidenza della Commissione europea, la carica più delicata da cui discende il resto: la presidenza del Consiglio Ue, l’Alto rappresentante per la politica estera, la Bce.
Eliminati i capolista Manfred Weber del Ppe, il socialista Frans Timmermans, la liberale Marghrete Vestager. Eliminati però anche due nomi di peso come Michel Barnier e Angela Merkel. E ora, come è successo anche 5 anni fa, si pesca tra personalità di minore spessore cui affidare la guida delle istituzioni europee, scelta più ‘comoda’ per tutti i leader di Stato e di governo che non vogliono perdere potere nell’Unione.
Andiamo con ordine.
Via dal tavolo Manfred Weber, il capolista dei Popolari (Spitzenkandidat), bavarese, rappresentante della Csu che governa con la Cdu della Merkel in Germania, difeso fino all’ultimo da tutto il Ppe e — obtorto collo – dalla Cancelleria.
Non poteva fare altrimenti anche perchè alle europee la Csu è andata meglio della Cdu. Ma sul no a Weber ha vinto Emmanuel Macron, che dall’inizio cerca di rafforzare la sua leadership con il gioco delle nomine.
Il presidente francese ha affossato subito Weber. Con lui i Liberali del nuovo gruppo europeo Renew Europe (cioè Alde più gli eletti de La Republique en marche) e i socialisti.
Risultato: il primo giro di consultazioni del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk con gli altri leader europei all’Europa Building si conclue con nessuna maggioranza intorno a Weber.
E così è stato semplice eliminare dal tavolo anche gli altri due Spitzenkandidaten: il socialista Frans Timmermans e la Liberale Marghrete Vestager. Sul primo, sostenuto anche lui fino all’ultimo dalla sua famiglia politica, Tusk ha compiuto un altro giro di consultazioni: per bruciarlo, si sapeva che anche lui non aveva la maggioranza. E allora?
E’ da qui che inizia il vero risiko. Perchè con Weber cade anche Michel Barnier, il negoziatore europeo sulla Brexit, lunga esperienza nelle istituzioni europee nonchè al governo a Parigi, francese del Ppe ma sostenuto da Macron. I tedeschi si sono imputati: se si dice no a Weber, non si può accettare un francese.
Merkel è molto irritata per come è andata: irritata dal comportamento di Macron. Tra i due i rapporti sono al minimo storico delle relazioni da sempre forti tra Francia e Germania.
Raccontano fonti del Ppe, che la Cancelliera ha resistito fino all’ultimo per non incontrare faccia a faccia il presidente francese. Lo ha dovuto fare ieri con Tusk presente. Incontro a tre per un nulla di fatto.
E c’è un’altra cosa che lei non ha gradito: la scelta di Macron di buttare il nome della stessa Cancelliera nel risiko dei ‘top jobs’, come presidente della Commissione o del Consiglio. Lo lascia capire in conferenza stampa: “Non sono interessata a una carica europea e tutti dovrebbero tenere in conto le mie parole”. Punto.
I rapporti con Macron? “Ci rispettiamo. La Germania non farà scelte contro la Francia, confido che la Francia non ne farà contro la Germania”.
L’affare nomine è così aggrovigliato che ieri intorno alla mezzanotte, Tusk decidere di chiudere: è il segnale che si va verso un rinvio in extremis. E c’è poco tempo.
Fino al weekend prossimo, i leader sono impegnati al G20 in Giappone. Il 2 luglio si riunisce l’Europarlamento per eleggere il presidente: prima pedina di un gioco che i leader vogliono comunque controllare.
Urge decidere prima che il Parlamento faccia in autonomia. Anche perchè le elezioni di maggio hanno partorito un quadro frammentato: una maggioranza a tre o quattro, Ppe, socialisti, liberali e forse anche Verdi.
Ed è per questo che ora che il gioco si stringe, i primi tre tendono a eliminare il quarto nella speranza di risolvere la situazione e anche perchè nel Ppe c’è molta contrarietà ad un’alleanza con i Verdi (a partire da Forza Italia). Non c’è intesa su temi come i cambiamenti climatici, come testimonia anche l’ennesimo mancato accordo in Consiglio su questo argomento.
L’esclusione dei Verdi potrebbe essere l’altra ‘chicca’ di questo vertice. Ma ora starà a Tusk incontrare i leader dei gruppi in Parlamento per portarli alla conclusione che nemmeno loro sanno trovare una maggioranza sul presidente della Commissione (tutte le cariche europee devono passare dal voto dell’aula di Strasburgo).
Così in Parlamento non potranno ‘lamentarsi’ del fatto che i leader hanno fatto fuori tutti gli Spitzenkandidaten, cioè i capolista alle elezioni, candidati legittimati dalle urne a guidare le istituzioni.
Il presidente del Consiglio europeo ha già incontrato di nuovo oggi i capigruppo Weber (Ppe), Dacian Ciolos e Guy Verhofstadt di (Renew Europe), Philippe Lamberts (Verdi) e Iratxe Garcàa (S&D). Lunedì nuovo giro di incontri. E quando saranno conclusi con un altro nulla di fatto, parola di nuovo ai leader: tra Osaka e il vertice del 30 giugno.
Dunque chi guiderà la Commissione? Nella chiacchierata notturna al bar dell’hotel Amigò a Bruxelles tra Conte, Merkel, Macron e Bettel, di nomi ‘veri’ non ne sono usciti. In questa fase, nessuno li fa per non bruciarli. Ma si definisce l’indentikit del prossimo presidente della Commissione: sarà uno del Ppe.
Macron e il socialista Pedro Sanchez hanno chiesto ai Popolari di fare un nome alternativo a Weber. E ora gira il nome del premier croato Andrej Plenković o della presidente della Croazia Kolinda Grabar-Kitarović.
In ogni caso, si guarda a uno dei paesi dell’est. Una volta fatto il presidente della Commissione, la presidenza del Consiglio potrebbe andare al belga Charles Michel (amico di Macron) oppure all’olandese Mark Rutte (tra i più ‘falchi’ dell’Unione). Ai due Spitzenkandidaten eliminati, Weber e Timmermans, andrebbero le vice-presidenze della Commissione. Ma Sanchez chiede di più.
“I negoziati sono più complicati di cinque anni fa — dice il premier spagnolo — perchè siamo più famiglie politiche, ma per noi l’importante è che i socialdemocratici siano rappresentati in modo visibile nelle istituzioni comunitarie”. I socialisti e democratici considerano loro territorio anche l’Alto rappresentante per la politica estera, incarico finora affidato all’italiana Federica Mogherini. Ma puntano anche alla presidenza del Parlamento
Invece Macron non molla la Bce. I nomi: la francese Christine Lagarde, attualmente al fondo monetario, ma anche Francois Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia, o Benoit Coeure, già membro del board esecutivo della Bce (per quest’ultimo c’è un problema di doppio mandato).
Però c’è chi guarda al nord: il finlandese Erkki Liikanen. Ad ogni modo, sembra chiaro, il governatore che prenderà il posto di Mario Draghi (che scade a fine novembre) non dovrà contraddire il suo ‘Whatever it takes’.
La maggioranza dei leader europei la pensa così. Il Quantitative easing alla fine ha fatto comodo a tutti: ha aiutato i paesi più in difficoltà per la crisi economica e rassicurato di conseguenza anche i falchi che in prima battuta lo aveva osteggiato. E’ per questo che oggi Draghi all’Eurosummit a Bruxelles incassa applausi.
Mentre non va avanti la corsa del falco tedesco Jens Weidmann per la Bce, nonostante le sue ultime conversioni su una linea meno rigorista: non ci crede nessuno. Su di lui Macron si diverte: “Sono molto felice che i membri che si sono opposti alle decisioni di Mario Draghi si siano convertiti, forse un po’ tardi…”.
Il no ad un falco alla Bce rompe di fatto l’isolamento dell’Italia, anche se Conte non lo dichiara esplicitamente per non urtare i tedeschi di cui ha bisogno per tentare di sventare la procedura per debito eccessivo.
Per il resto, il premier si augura la frammentazione del quadro politico dia maggiori possibilità all’Italia di giocare un qualche ruolo.
Per ora, Roma è marginale. “L’Italia non siede in prima fila, ma nemmeno al posto dei passeggeri: sta nel bagagliaio”, ci dice spietata una fonte del Ppe.
Conte intanto si augura che il prossimo presidente della Commissione metta mano alla riforma delle regole…”. E si diverte a pensare che esiste un modo per bloccare una nomina sgradita. “Bastano tre paesi che rappresentino almeno il 35 per cento della popolazione europea per formare una minoranza di blocco — ci dice chiacchierando con la stampa all’hotel Amigò – La Gran Bretagna si astiene, perchè in procinto di lasciare l’Ue, l’Italia ha 60 milioni di abitanti, ne basta un altro”.
In realtà , le regole Ue parlano di almeno 4 membri del consiglio che rappresentino oltre il 35 per cento della popolazione. Ma il senso di una trattativa difficile che chiunque può bloccare ci sta tutto.
“E’ più rapida l’elezione del Papa che riempire questi incarichi europei”, dice il primo ministro irlandese, Leo Varadkar. Parole sante, è il caso di dire.
Ma sembrerebbe che i leader non tireranno fuori dal cilindro le personalità forti di cui l’Unione avrebbe bisogno per rafforzarsi e riformarsi. Puntano invece su personalità di seconda o terza fascia: la migliore garanzia che gli Stati nazionali continueranno a esercitare la loro golden share sull’Unione, ognuno a seconda dei propri interessi e non di quelli comunitari.
(da “Huffingtonpost”)
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