NON SOLO DI MAIO: PROCESSO ALLO STAFF M5S
CINQUANTA DEPUTATI SI RIUNISCONO: “NON PUO’ RIMANERE TUTTO UGUALE”
Tarda mattinata, Camera dei deputati. Una cinquantina di deputati, forse sessanta, del Movimento 5 stelle si riuniscono.
L’obiettivo dichiarato è quello di darsi un minimo di ordine per gli interventi nell’assemblea serale. Il post in cui Luigi Di Maio annuncia di rimettere il mandato alla decisione degli attivisti su Rousseau è già uscito.
Il bainstorming prende sempre più una piega precisa, man mano che gli interventi si susseguono. Il senso è il seguente: Luigi non è in discussione, si è speso come nessun altro per il Movimento. Ma abbiamo preso il 17%, non può rimanere tutto come prima.
Il passo è breve: nel mirino, come ai tempi della scorsa legislatura, finisce lo staff, “non Luigi, ma quelli che gli stanno attorno”.
Vengono fatti i nomi di Pietro Dettori, tra i soci fondatori di Rousseau e nello staff del capo politico, della portavoce Cristina Belotti, un passato a Bruxelles, di Fabio Urgese, capo comunicazione della Camera. E, ovviamente, quello di Rocco Casalino.
Ritorna in auge un vecchio claim. Sentite uno dei partecipanti: “Sono nostri dipendenti, no? Dipendenti dei portavoce. E allora perchè decidono tutto loro? Perchè a volte arrivano a impedirci addirittura di parlare con Luigi, presentare un emendamento, fare una dichiarazione sui nostri temi?”.
Il tema è chiaro: lo staff che circonda il capo politico e che ha organizzato la campagna elettorale non può essere valido per tutte le stagioni. Si è perso? Va cambiato, o per lo meno ridimensionato.
Se si parla di Casalino, ovviamente, si arriva fin dentro il cuore di Palazzo Chigi, rischiando di scottarsi. “Nessuno vuole le dimissioni del portavoce del premier — racconta un altro dei partecipanti — ma allora faccia quello. Ha sbagliato mesi di comunicazione, le cose sono cambiate solamente quando è arrivato Augusto Rubei [il portavoce del ministro Trenta che ha affiancato Di Maio nelle ultime settimane di campagna, n.d.r.], ma ormai era tardi”.
Il tutto si salda a una gestione della comunicazione di Montecitorio i cui vertici sono messi nel mirino per un eccessivo interferire con l’iniziativa personale dei singoli parlamentari, e per una gestione selettiva delle presenze sul piccolo schermo: “Ma anche quella è campagna elettorale, no?”
Cinquecento metri più in là , a Palazzo Madama, le corde toccate sono le stesse. E un folto drappello di senatori, almeno una ventina, si contano tra loro, condividono le stesse posizioni. Nel calderone finiscono anche i direttivi dei due rami del Parlamento, nominati dal capo politico e non eletti, e alcuni fra i membri del sottogoverno. Ecco un senatore di lungo corso: “Io ad alcuni di quelli scelti non delegherei nemmeno l’assemblea di condominio”.
(da “Huffingtonpost”)
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