PARTITI E LEADER AGGRAPPATI AI SONDAGGI, MA DA 10 ANNI IL PALLOTTOLIERE FA SOLO FLOP
DA ALEMANNO SOPRA MARINO AI CINQUESTELLE DIETRO BERSANI
C’è stato un tempo in cui tutti ridevano dei sondaggi e i sondaggi ci pigliavano, e oggi tutti si aggrappano ai sondaggi e i sondaggi non ci pigliano più.
La fiducia così poco illuministica nella demoscopia non è stata annacquata dalle recenti e tragiche prese d’atto: due anni fa, in occasione delle elezioni europee, gli istituti davano il Pd di Matteo Renzi (arrivato al governo da qualche mese) intorno al 30 per cento; qualcuno saliva fino al 32, qualcuno scendeva al 28, e il Pd chiuse quasi al 41, e cioè 11 milioni e 200 mila voti quando ne erano stati previsti meno di 8 milioni e mezzo.
Nei giorni precedenti giravano nelle redazioni, che non potevano pubblicarli, sondaggi che preannunciavano il sorpasso del M5s, accreditato del 28 contro il 27 dei democratici.
E comunque i grillini se ne stavano sull’onda del loro tsunami fra il 26 e il 27, e poi il conteggio lì inchiodò al 21, a quasi venti punti percentuali dal Pd.
Forza Italia doveva prendere il 20 (anche il 21, male che andasse il 18 alto) e stette sotto il 17.
Inutile star lì a dettagliare sui colpevoli: Datamedia, Istituto Piepoli, Ixè, Ipr, Demos, Swg, Technè, nessun innocente, a dimostrazione che forse un po’ l’uno ispira l’altro, un po’ gli indecisi ingannano, un po’ (non poco) chi risponde si burla di chi domanda, un po’ gli andamenti storici hanno smesso di aiutare.
Ma lo strumento non funziona più.
Sembra seguire un impalpabile orecchiare collettivo, e infatti i cinque stelle erano stati sopravvalutati nel 2014 quasi quanto sottovalutati l’anno prima, alle Politiche.
Per i più ottimisti, il Movimento avvicinava il 19 per cento, mentre i pessimisti lo tenevano più verso il 14 che il 15. Prese invece il 25.5, addirittura meglio del 25.4 del Pd di Pierluigi Bersani, che al contrario avrebbe dovuto incassare il 30, zerovirgola sotto o zerovirgola sopra (e fino a un entusiastico 32).
Per farla breve, il Pd doveva stare al doppio dei cinque stelle, e invece erano pari. Antonino Ingroia, con la sua Rivoluzione civica, doveva rientrare fra il 4 e il 5 e mezzo, e prese il 2.2; Futuro e libertà di Gianfranco Fini era considerato in bilico sulla soglia del 2, e prese lo 0.4.
Ormai la casistica è ricca e antica.
Si ricorda un nerboruto Gianni Alemanno, candidato a sindaco di Roma, che nel 2013 proclamò di essere di cinque punti avanti a Ignazio Marino, e concluse quindici punti indietro.
Alle regionali siciliane del 2012, l’ultimo sondaggio dava Pd e Pdl affiancati al 18, e non raccattarono che il 13.4 uno e il 12.9 l’altro, coi gli emergenti grillini al primo posto, quasi al 15 per cento, mentre erano dati all’8.4.
È da almeno dieci anni che i rilevamenti sono una Caporetto, da quando Romano Prodi doveva asfaltare Silvio Berlusconi alle Politiche del 2006, e poi la spuntò per 24 mila voti, condannato all’ingovernabilità .
E dunque la grande domanda è perchè i candidati continuino a compulsare i sondaggi e a sventolarli in campagna elettorale, con grande suggestione del resto del mondo (sebbene in quest’ultima settimana nessuno ne abbia più commissionati: un piccolo sintomo di guarigione).
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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