PATTO BERSANI-MONTI PER IL QUIRINALE: CON 570 “GRANDI ELETTORI” POSSONO ELEGGERE CHI VOGLIONO
IL PRIMO TENTATIVO SARA’ PERO’ QUELLO DI PROVARE A COINVOLGERE IL PDL NELLA SCELTA… EMERGONO I NOMI DELLA BONINO E DI CACCIARI
Parte la trattativa sul Quirinale.
Ieri il faccia a faccia tra Bersani e Monti, lunedì (forse) quello con Berlusconi «in campo neutro», ovvero in Parlamento.
Il segretario del Pd non rinuncerà a chiedere udienza anche a Grillo.
Per quasi due ore Pierluigi Bersani e Mario Monti siedono uno di fronte all’altro nello studio del premier a palazzo Chigi.
Era da tempo che non accadeva e l’atmosfera è rilassata. «Quasi di connivenza », scherza chi ha assistito almeno a parte della conversazione. Si parla di tutto, ma il tema vero è ovviamente il Quirinale.
E tra i due leader si arriva a siglare un vero e proprio «patto di consultazione » in vista delle prossime mosse.
In sostanza ora centrosinistra e Scelta Civica marceranno insieme, potendo così arrivare a un pacchetto di 570 grandi elettori, sufficienti dopo il terzo scrutinio a portare al Colle un loro candidato.
E tuttavia «il metodo» che Monti e Bersani condividono è un altro: «Cercheremo convergenze ampie ».
Significa che, almeno all’inizio, si farà un tentativo di coinvolgimento del centrodestra.
«Nonostante i continui attacchi che ricevo da personaggi come Brunetta e Gasparri – spiega il premier – dobbiamo sforzarci di procedere in una logica di inclusione».
Un discorso che, per Monti, dovrebbe valere anche per il dopo, ovvero per il governo. Ma su questo punto le strategie dei due divergono e non si scostano dalle posizioni ormai fossilizzate da settimane.
E tuttavia anche sul Quirinale la disponibilità al dialogo espressa dal segretario del Pd incontra alcuni limiti.
A Monti Bersani anticipa infatti che la trattativa con Berlusconi «va portata avanti, ma su un nome potabile».
Potrà pur essere «un moderato», ma senza farsi dettare condizioni dal Pdl.
«Tocca a noi avanzare una proposta – ripete il leader Pd – , ovviamente in “cooperativa” con voi di Scelta Civica ».
Di nomi si è parlato eccome, ma i due leader hanno avuto l’accortezza di appartarsi da soli.
Alla fine l’identikit che ne esce, così come viene riferito agli uomini del Nazareno è quello di una personalità «rigorosa», ma che non sia «ostile, fino a prova contraria, nei confronti del Pdl».
Un profilo che si attaglia a molti dei candidati in pectore, da Giuliano Amato a Massimo D’Alema, da Franco Marini fino a Luciano Violante e Pietro Grasso.
E proprio Grasso potrebbe rivelarsi utile, se non altro perchè la sua elezione al Colle libererebbe il posto da presidente del Senato per un esponente del Pdl (il “saggio” Quagliariello).
Se sul Quirinale l’intesa Monti-Bersani sembra solida, è quando si passa a discutere di quello che accadrà dopo che le strategie non coincidono più.
Il premier infatti ribadisce che anche per il governo l’unica soluzione è quella di un pieno coinvolgimento del Pdl.
Mentre il segretario Pd resta scettico.
«Ma scusa – è lo sfogo che viene riproposto a Monti – l’esperienza con Berlusconi l’abbiamo pagata sia io che te alla elezioni e non abbiamo risolto niente. Avremmo dovuto cambiare l’Italia e invece, per colpa del Pdl, siamo rimasti fermi. Io non mi ci voglio più trovare in una situazione in cui non solo non si cambia nulla ma alla fine il Cavaliere ti lascia sempre con il cerino in mano».
A difendere questa frontiera, quella del governo del “cambiamento”, Bersani non è solo.
Anche Sel a un governo con Berlusconi non ci starebbe mai.
Per questo, secondo Nichi Vendola, già dall’elezione del successore di Napolitano sarebbe opportuno lasciar perdere le tentazioni delle larghe intese e riproporre invece il metodo Boldrini-Grasso.
Con un outsider, che scompagini i giochi e lanci un ponte verso i Cinquestelle.
«Con questi ragazzi di Grillo – confida Vendola in un Transatlantico deserto – noi ci parliamo. Molti di loro ci hanno votato in passato. Alcuni sono persino venuti da me a raccontarmi che avevano ricopiato le mie poesie sul diario ai tempi del liceo».
Certo, il leader di Sel è consapevole che nel Pd, dopo l’affondo di Renzi, è in corso un congresso sotto mentite spoglie.
E la partita del Quirinale rischia di spaccare definitivamente il partito.
«Ma come diceva Pasolini, “piange ciò che muta, anche per farsi migliore”.
In queste due settimane siamo entrati in un’acceleratore che cambierà per sempre non solo il Pd ma tutta la politica italiana».
Vendola non è l’unico a prevedere lacerazioni tra i democratici.
Sul fronte opposto, quello che guarda alla larga coalizione con il centrodestra, anche Beppe Fioroni mette in guardia chi immagina candidati che possano risultare troppo «divisivi» e ostili pregiudizialmente al Pdl: «Un presidente condiviso sarebbe la prima vera riforma italiana. Ma un presidente da combattimento provocherebbe un Big Bang nel Pd dalle conseguenze micidiali».
Tra candidati che finiscono sott’acqua e altri che si affacciano, ieri è stata la giornata in cui un partito è venuto alla scoperto ufficialmente con una proposta: i socialisti di Riccardo Nencini, alleati del Pd, hanno riunito la Direzione votato Emma Bonino for president.
Sotto traccia si fanno altri nomi di outsider.
A sorpresa spunta quello del filosofo Massimo Cacciari, attento al fenomeno grillino.
Francesco Bei
(da “La Repubblica“)
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