QUEI PICCOLI SULLE STRISCE E LE REGOLE NEGATE
PER GLI STREAMING IL TEMPO SI TROVA, PER UNA LEGGE SULL’OMICIDIO STRADALE NO
Le strisce pedonali rappresentano un tabù per gli automobilisti in tutti i Paesi civili, e una decorazione nel resto del mondo.
In Italia non sono nè una cosa nè l’altra. I pedoni non sanno cosa aspettarsi, e le conseguenze sono spesso drammatiche.
Mercoledì sera, la terza, tragica dimostrazione in pochi giorni.
In provincia di Reggio Emilia, davanti a una caserma dei carabinieri, una ragazza albanese ha investito tre pedoni: un bambino di tre anni, Salvatore, è morto sul colpo, la madre è in gravi condizioni. Ferita anche la sorella.
Domenica sera, a Ravenna, era toccato a un bimbo di tre anni, Gionatan, ucciso da un’auto sulle strisce pedonali sotto agli occhi dei genitori e del fratellino.
L’uomo alla guida dell’auto, che era fuggito, è stato arrestato dopo due giorni. Si tratta di un 37enne, incensurato, di origine bulgara.
Martedì a Jesolo è stata travolta e uccisa, sempre sulle strisce pedonali, una bambina di otto anni, Anna, che stava attraversando con la madre. A investirla un albergatore italiano della zona.
Se ne parla solo perchè le tragedie ravvicinate hanno coinvolto tre bambini.
In sostanza, occorrono tre piccole vittime perchè le nostre coscienze abbiano un sussulto.
Il reato di omicidio stradale, di cui molto s’è parlato, sembra esser stato inghiottito nell’anfratto tra il governo Letta e il governo Renzi.
Il primo dell’anno, in seguito alla morte di una bambina romana, l’allora ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, aveva assicurato: «Entro gennaio porterò in Consiglio dei ministri un pacchetto di norme sulla giustizia contenente anche l’introduzione del reato di omicidio stradale».
Sei mesi e diversi morti dopo, veniamo a sapere dal viceministro ai Trasporti, Riccardo Nencini, che per la modifica al Codice della strada ci sono «tempi strettissimi, e le cose cambieranno».
Spiega che si stanno esaminando due possibilità : «L’inserimento del reato di omicidio stradale» oppure «l’ergastolo della patente, se uccidi qualcuno non guidi più».
«Presto – assicura – decideremo con il premier quale seguire».
Presto. Quando?
Per gli streaming il tempo si trova, per le strisce evidentemente no.
Non è populismo: è indignazione. Quella che ha portato, dopo anni di assurde mattanze notturne, a introdurre norme rigorose per i neopatentati e controlli a tappeto per fermare chi guida ubriaco.
Un ragazzo oggi sa che, se beve, lo beccano; e, se lo beccano, perde la patente. Risultato: il numero delle vittime delle cosiddette «stragi del sabato sera» è precipitato.
La prova che, quando vogliamo, siamo un Paese civile. E chi, arrivato al potere, mormora che gli italiani sono irrecuperabili, mente.
Semplicemente, non ha voglia di recuperarci.
Due dei recenti omicidi stradali – come vogliamo chiamarli? – sono stati commessi da stranieri.
Evitiamo accuse generiche, piagnistei, sociologia spicciola o buonismi inutili. Diciamo che le regole esistono e valgono per tutti: cittadini e nuovi arrivati. Ma questi ultimi, inevitabilmente, guardano a noi per capire come comportarsi. Se un automobilista su tre piomba sulle strisce cercando di anticipare i pedoni, il messaggio è chiaro: questa regola esiste, ma non vale niente.
«Auto pirata» è un termine vecchio, irritante e assolutorio: chi investe un pedone e scappa è un vigliacco, non un impavido corsaro.
Perchè tutto ciò finisca – perchè il pedone, quando poggia un piede sulla striscia bianca, diventi il padrone della strada – servono norme severe e – cosa fondamentale – occorre che vengano fatte rispettare.
L’Italia non può continuare a essere la terra di mezzo della sicurezza stradale. Osservate lo sguardo e i gesti ossequiosi di molti pedoni quando un automobilista si ferma davanti alle strisce per farli passare.
Non esercitano un diritto; pensano di aver ricevuto un favore. È in quella patetica riconoscenza la nostra sconfitta.
Beppe Severgnini
(da “il Corriere della Sera”)
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