RENZI TEME CHE LA MINORANZA PD TRASFORMI IL SENATO NELLA SUA “STEPPA RUSSA”
E APRE AL DIALOGO: “CONFRONTIAMOCI”
È “confronto” la parola magica. Consapevole che il Senato possa trasformarsi nella sua steppa russa, Matteo Renzi la mette così, in modo assai poco renziano: “Oggi — dice in conferenza stampa – ho consegnato ai ministri un ddl costituzionale di riforma del Senato, che formalmente consegniamo a tutti i leader politici che stanno in Parlamento, di maggioranza e opposizione, ai soggetti sociali protagonisti e non formalizziamo in Parlamento, diamo 15 giorni di tempo a chi vuole darci informazioni migliorative e poi incardiniamo”.
Quindici giorni, dunque. Per un “confronto” su un testo che è tutt’altro che chiuso.
Perchè l’approvazione dell’Italicum ha lasciato aperte le piaghe nel corpo nel Pd. Non si tratta più di casi singoli di malessere verso Renzi. Ora ci sono, fotografati dal pallottoliere della Camera, i numeri del dissenso: sulle preferenze, sulle quote rosa, insomma sull’accordo con Berlusconi.
E il rischio è che a palazzo Madama inizi la vera Grande Guerra, come la chiama qualche renziano informato.
Già , a palazzo Madama. Dove il secondo tempo sull’Italicum si intreccia col primo tempo sulle riforme costituzionali.
E le scintille già si intravedono nelle raffiche sparate nel giorno dell’approvazione della legge elettorale alla Camera. I lettiani non votano, i turchi assicurano che è l’ultima fiducia al buio a Renzi, Pier Luigi Bersani annuncia che al Senato il gruppo non può essere messo di fronte a un prendere o lasciare: “Questa legge va migliorata, ci sono cose che non mi convincono. Capisco gli accordi ma mi stupirei se Berlusconi avesse l’ultima parola, non c’è alcuna ragione e in qualche passaggio mi è sembrato questo”.
E allora si capisce perchè Renzi tema che, prima delle europee, possa rimanere bloccato nella steppa russa.
Nelle intenzioni vorrebbe “far fare un giro” alla riforma del Senato per poi passare all’Italicum e approvare tutto prima delle Europee.
Dove per “fare un giro” si intende approvarla in prima lettura in Aula. Di fronte alle intenzioni c’è, appunto, la steppa.
Perchè il premier sa di essere atteso al varco da una Commissione Affari Costituzionali che considera ostile. Palazzo Madama non è Montecitorio. Senza mediazioni, su tutto, è difficile che passi qualcosa. Perchè il Pd non ha la maggioranza. E i renziani puri, nella commissione presieduta dalla Finocchiaro, non ci sono.
Ecco allora che non è un caso che il premier abbia deciso di convocare una riunione con il suo gruppo la prossima settimana, per provare a procedere in modo più inclusivo sul percorso — riforma del bicameralismo e poi Italicum — e nel merito.
E non solo con i suoi visto che il partito di Alfano ha già fatto sapere, per bocca di Schifani, che senza modifiche non è disposto a votare l’Italicum a scatola chiusa.
E allora non è un caso che un testo dettagliato, “chiuso”, di riforma del bicameralismo ancora non c’è.
Anzi, Renzi ha spiegato che serviranno “un paio di settimane” per sfornarlo.
Ci sono almeno tre ipotesi sul campo: un Senato non elettivo sul modello di quello illustrato alla direzione del Pd, un Senato a trazione regionale, una ipotesi intermedia. Tra i nodi ancora non sciolti c’è anche — e non è un dettaglio — la questione del relatore. Perchè i rapporti con la Finocchiaro, autrice di un disegno di riforma costituzionale a doppia firma con Zanda, sono ancora avvolti dal gelo.
E qui nasce il dilemma: “Affidare alla Finocchiaro il compito di fare la relatrice o lasciare tutto nelle mani del ministro Boschi?”.
Decisione che ancora non è stata presa. E che sarà presa, probabilmente, dopo il confronto con il gruppo.
Insomma, al momento prevale l’idea di una road map condivisa. È il segno che a palazzo Chigi si stanno già attrezzando nel timore di imboscate.
Proprio quel che è successo alla Camera — i franchi tiratori, la necessità di portare il governo in Aula per non andare sotto — sta inducendo l’inner circle a cambiare modalità . La Camera dice che per poco non saltava tutto.
Renzi che alla Camera si è mosso come un leone al Senato di fronte ai leoni ha intenzione di farsi volpe: accelerare sì, ma coinvolgendo.
Anche perchè sul passaggio al Senato già trapelano le preoccupazioni del capo dello Stato.
Riguardano non solo il nodo delle soglie e delle preferenze, ovvero della tenuta del patto. Ma riguardano anche il merito delle riforma che porterà al nuovo Senato che il capo dello Stato monitora con grande attenzione.
Anche perchè, vista dal Colle, solo una puntuale riforma del Senato rende accettabile il percorso un po’ bizzarro di una legge elettorale valida solo per una Camera.
È un cammino che si annuncia accidentato. Per arrivare a un nuovo Senato che non deve più dare la fiducia e che non ha membri eletti occorre mettere mano a una cinquantina di articoli della Costituzione.
Più un democrat di peso, dalle parti di palazzo Madama, giudica impossibile fare tutto in due mesi.
(da “La Repubblica“)
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