RENZI VERSO LA FIDUCIA AL SENATO: IL GOVERNO PUO’ CONTARE TRA I 169 E I 176 VOTI
NE BASTANO 161 SE TUTTI PRESENTI… SOTTO QUOTA 170 PER RENZI CI SAREBBE DA PREOCCUPARSI
169. I senatori che dovrebbero votare la fiducia a Matteo Renzi a prescindere da quel che dirà oggi a Palazzo Madama sono otto in più del numero minimo che occorrerebbe all’ex rottamatore per incassare il via libera dalla Camera alta.
Si raggiungono sommando i 107 del Pd (Pietro Grasso, per prassi, non parteciperà al voto), i 31 del Nuovo Centrodestra, i 12 delle Autonomie (compresi i senatori a vita Elena Cattaneo e Carlo Rubbia, che hanno perfezionato l’iscrizione a quel gruppo), gli 8 di Scelta Civica (che comprendono Mario Monti), e 11 di Per l’Italia, tutti tranne Maurizio Rossi, che ha annunciato la sua uscita dall’aula.
A questi si potrebbe aggiungere Carlo Azeglio Ciampi, anche se la sua presenza nell’emiciclo è molto incerta, mentre Renzo Piano quasi sicuramente non ci sarà , impegnato all’estero per impegni professionali.
Una maggioranza molto simile a quella sulla quale faceva affidamento l’esecutivo di Enrico Letta. Con l’incognita del gruppo dei popolari, guidato da Mario Mauro e da Andrea Olivero.
Proprio il capogruppo di PI la nostra ha rimarcato: La nostra fiducia fiducia non significherà che lo sosterremo su tutto.
Non essere stati chiamati a far parte della compagine di governo ci rende attenti e rigorosi nel valutare le scelte di Renzi”.
Nessuna partita sulle poltrone di sottogoverno, assicura, un voto positivo arriverà per il rapporto particolare che lega l’ex ministro della Difesa a Giorgio Napolitano.
Dunque per oggi da quel versante non dovrebbero arrivare sorprese per Renzi, che in futuro dovrà monitorare con attenzione le fibrillazioni dei centristi, senza i quali scenderebbe sotto la sopravvivenza dei 161 voti.
La maggioranza del nuovo esecutivo potrebbe essere rimpolpata da una manciata di voti provenienti dai fuoriusciti del Movimento 5 stelle e dal grppo Grandi autonomie e libertà .
Gli autonomisti sono sotto la lente d’ingrandimento. Tre di loro votavano regolarmente insieme alla compagine lettiana: Giuseppe Compagnone, Michelino Davico e Antonio Scavone.
Proprio quest’ultimo ha fatto parte della delegazione che ha incontrato negli scorsi giorni il presidente del Consiglio. “Il nostro voto dipenderà dalle sue dichiarazioni programmatiche”, spiega oggi.
Ma i segnali che manda non sono incoraggianti: “Gli ho portato personalmente un pamphlet dove segnalavo la necessità di mettere al centro dell’azione del governo l’emergenza Sud, come architrave di uns strategia nazionale per far fronte alla crisi. Finora non mi pare che si sia sentito nulla in tal senso, le nostre richieste non ci è sembrato che abbiano riscontrato grande attenzione, così come su questo versante eravamo già rimasti delusi da Letta e da Angelino Alfano”.
Nonostante le perplessità , i loro voti potrebbero far toccare quota 172 ai favorevoli. Escluso un ripensamento dei componenti di Gal finora schierati all’opposizione. “Non voteremo nel modo più assoluto la fiducia – spiega il vicepresidente Vincenzo D’Anna – Poichè non sono sorti fatti nuovi rispetto la precedente esperienza e nessuno ci ha contattato non vedo perchè dovremmo farlo”.
Divisa anche la pattuglia dei quattro fuoriusciti dal M5s.
“Voterò no”, spiega Paola De Pin. “Un no che non significa chiusura totale – aggiunge – sui provvedimenti mi aspetto molto, spero di rimanere favorevolmente colpita”.
Con lei Adele Gambaro, orientata sul no o sull’abbandono dell’aula.
Più incerta Fabiola Anitori (“È la più vicina al nostro gruppo”, spiegano i colleghi del Pd) e Marino Mastrangeli (“Dipenderà dal discorso di Renzi”).
Con loro l’asticella si alzerebbe fino a quota 174, oppure 176 se i due no si tramutassero in sì. Una soglia che metterebbe al sicuro il premier anche da eventuali colpi di testa dei Popolari (senza i loro dodici voti si arriverebbe comunque a 162).
Non sarà uno scenario utile a stare tranquilli, ma, come diceva uno che di queste cose qualcosa capiva, un voto di maggioranza è solo “un voto in più del necessario per governare”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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