SALVINI CONDANNATO A FARE LA SUOCERA
CONTINUA A DARE CONSIGLI NON RICHIESTI A CHI GUIDA IL GOVERNO, SI SENTE A DISAGIO MA NON PUO’ ROMPERE
Governare con Salvini è come guidare un’auto con il passeggero accanto che vuole insegnarti come si fa: «Adesso cambia marcia, metti la freccia, suona il clacson, supera quello…».
Tutti i giorni l’uomo al volante, cioè Draghi, subisce una razione di pareri non richiesti, ripetuti con insistenza.
Una volta è il “consiglio” di scaricare Arcuri: Matteo ne reclama la testa e Super Mario, per viaggiare tranquillo, gliela serve sul piatto d’argento.
Poi è l’invito a farsi sentire in Europa, con il premier che subito telefona a Macron, chiama la Merkel, tempesta la von der Leyen, blocca i vaccini destinati all’Australia, manda i carabinieri a contare le fiale nello stabilimento di Anagni.
Chiunque, soddisfatto, si acquieterebbe un po’.
Invece Salvini punta i piedi sulle cartelle da rottamare; ed ecco allora Draghi farsi concavo e convesso con un condono che, se l’avesse firmato Berlusconi, le coscienze morali sarebbero insorte dallo sdegno.
Ma il Capitano, non pago, insiste per riaprire l’Italia. Stressa i ministri della Lega. Reclama lo scalpo di Speranza. Non darà tregua al governo fino a quando resteranno in piedi i divieti delle zone rosse e arancioni.
Una volta che questi saranno stati allentati, è facile prevedere il seguito: Salvini insegnerà a Draghi come impedire gli sbarchi, in che modo respingere i disperati che arrivano sui barconi e magari vorrà cacciare pure la Lamorgese (se non mostrerà il pugno di ferro). Un tormento. Una spina nel fianco.
Per un verso si capisce perché: il leader leghista non vuole deludere gli elettori, compresi quelli che si attendono la luna.
Per tenere alte le aspettative, Salvini è condannato a non accontentarsi mai, deve aggiungere nella bacheca sempre nuovi trofei. L’uomo, inoltre, teme di cedere voti alla furba Meloni, che in ogni sondaggio gliene rosicchia un po’.
Stare al governo mentre Giorgia lo incalza, costringe Matteo a fare il cane da guardia. Ringhiando, abbaiando, mostrando le zanne: una parte, tra l’altro, che gli riesce alla perfezione.
Purtroppo, sempre più spesso Matteo esagera. Da Draghi pretende accelerazioni che vanno contro il buonsenso; lo pungola là dove non ce ne sarebbe bisogno, per esempio sulle riaperture (chi più di un ex presidente Bce vorrebbe ridare fiato all’economia?); esige sterzate a destra incompatibili con la natura di questo governo, che tra l’altro a bordo ha Cinque stelle e Pd, messo lì da Mattarella per fare un paio di cose fondamentali. A forza di distrarre il conducente, Salvini rischia di provocare un frontale.
Ma c’è un’altra interpretazione dell’inquietudine salviniana, che di politico ha poco e affonda le radici nella dimensione umana del personaggio. Il quale, per dirla banalmente, finché guida un altro si annoia. In attesa del proprio turno non ce la fa a star buono. Diventa un’anima in pena.
Si vede a occhio nudo che morde il freno, e soffre in quel limbo che non è più opposizione ma non è ancora governo come lo intende lui, con i “pieni poteri”. Tornare al Viminale gli sarebbe piaciuto, però sai che casino; sganciarsi da Draghi è tardi, chiamarsi fuori quasi impossibile perché significherebbe, primo, dar ragione a Giorgia dopo nemmeno due mesi; secondo, farsi una fama da sfasciacarrozze quasi peggio di Renzi; e terzo, perfino se la Lega si sfilasse non andremmo comunque a votare perché siamo entrati nel cerchio magico del semestre bianco che scatterà ad agosto, ma è come se già ci fosse.
Insomma: Salvini sembra condannato a restare chissà per quanto nel cosiddetto posto della suocera.
A girarsi i pollici e a disturbare il manovratore. Letta e Conte, da questo punto di vista, se la passano meglio. Se non altro loro hanno un partito da rimettere in piedi.
Il segretario Pd deve affermare la propria leadership tra i “Dem”, smentendo l’immagine di persona troppo onesta e perbene; l’ex Avvocato del popolo si è addentrato nella giungla grillina, chissà se ne uscirà vivo.
Entrambi comunque hanno una “mission”, una fabbrica del Duomo che li terrà indaffarati, Salvini zero.
Potrebbe fondare un nuovo raggruppamento in Europa, ma sai che allegria cenare con l’ungherese Orbán o con il polacco Morawiecki: a chiunque passerebbe la voglia. Girare l’Italia è impossibile, idem i bagni di folla.
Non ha nemmeno un mulino a vento contro cui scagliarsi lancia in resta. Un tema esistenziale che, prima o poi, diventerà un problema politico
(da “Huffingtonpost”)
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