“SE NE PENTIRANNO, QUI C’E’ BISOGNO DI NOI”: REAZIONI DEGLI ITALIANI DI LONDRA ALL’USCITA DEL MINISTRO MAY
“MA CHE AIUTI ASSISTENZIALI E BENEFIT, GLI ITALIANI A LONDRA VENGONO PER DIMOSTRARE LA LORO COMPETENZA E FANNO CARRIERA”
Se la Gran Bretagna è diventata la “terra promessa” degli italiani in fuga dall’Italia, per quelli di loro che non hanno un lavoro dipendente non promette nulla di buono.
L’editoriale del ministro dell’Interno Theresa May pubblicato ieri dal Sunday Times parla chiaro: ci vuole una stretta sull’immigrazione nel Regno Unito, perchè ha raggiunto cifre inaccettabili.
Chi non ha una busta paga ne resti fuori, insomma, europei compresi.
Anche se l’Ue le ha già risposto che la libera circolazione è principio fondamentale dell’Ue, gli emigrati e futuri emigrati italiani – che sono aumentati del 37% in un anno conquistando per la prima volta il secondo posto tra gli stranieri in arrivo — iniziano a chiedersi cosa ne sarà di loro.
Sul forum Italians in London i commenti vanno dal “Se ne pentiranno quando capiranno che hanno bisogno di noi” a “Allora gli inglesi non facciamoli entrare in Italia neanche a fare i turisti”. C’è chi addirittura crede che la riforma sia imminente: “Ma per me che salgo su il 9 settembre ci sono problemi?”.
Non è passato neanche un anno da quando lo scrittore italiano londinese di adozione Marco Mancassola ha scritto su Internazionale e poi sul New York Times dei ragazzi italiani che il Regno Unito non vuole più: “sono loro il problema che potrebbe decidere le prossime elezioni britanniche, e il destino dei rapporti tra Regno Unito ed Europa”.
“Il governo Cameron — ha aggiunto oggi Mancassola – ha provato più volte ad alzare i toni per ottenere una revisione del principio della libera circolazione dei cittadini entro i confini europei. Ma non ha mai trovato l’argomento decisivo. Il vero obiettivo in sostanza non è l’Europa ma Schengen. In un certo modo, una maniera piuttosto “inglese” di procedere: cercare e cercare il cavillo che potrebbe alterare la sostanza della questione, fino a trovarlo. E sono sicuro che lo troveranno. Gli ultimi dati sull’immigrazione in Gran Bretagna hanno scosso a fondo quella “Middle England” che decide le sorti elettorali, e che potrebbe decidere anche il referendum dell’anno prossimo sull’uscita dalla UE”.
La verità è che la May, che è candidata a essere il futuro primo ministro conservatore insieme al sindaco di Londra Boris Johnson e a George Osborne, ha voluto superare a destra i suoi rivali scrivendo quell’editoriale sul giornale liberal di riferimento per il ceto medio, per far passare il messaggio che è lei il vero leader di estrema destra, che è lei l’unica dei possibili leader conservatori che al referendum voterà per l’uscita dall’Ue, portandosi dietro i 140 tory rebel. Una mossa politica, quindi, più propaganda che potenziale minaccia per gli emigrati europei: “Gli italiani non se ne sono andati dall’America quando hanno ucciso Sacco e Vanzetti ingiustamente, figuriamoci se ne vanno dal Regno Unito per un editoriale”.
“Il tema dell’immigrazione è stata una delle chiavi di lettura delle recenti elezioni quindi è inevitabile che il governo adesso debba prendere una posizione a riguardo, anche per correggere il tiro dopo il fallimento degli estremismi di Nigel Farage che ha comunque lasciato scoperta una buona fetta di opinione pubblica”, concorda Stefano Broli, direttore dell’agenzia Phocus Collective LTD e cofondatore di Italian Kingdom, una piattaforma multimediale che attraverso un progetto fotografico, un magazine e una radio racconta la community degli italiani all’estero e le loro storie.
Ma Per Broli non si tratta unicamente di una mossa politica. “Londra non è il Regno Unito, ma la crisi di identità che sta vivendo si sta riversando anche sulla middle-class inglese, sempre più lontana dal centro della sua capitale per mantenere un living-standard soddisfacente ed evitare il folle rincaro degli affitti che già funge da filtro per l’immigrazione. Non sono sicuro che quello economico possa essere un reale criterio selettivo, a meno che non si voglia creare un’immigrazione di serie A ed una di serie B, da rifiutare e rispedire al mittente o perchè no, altrove. Il problema delle infrastrutture è sicuramente un dato reale, è impensabile che i numeri del flusso migratorio non si scontrino con la reale efficacia dei servizi ma questa più che una conseguenza di Schengen è una conseguenza dell’idea di Europa di cui probabilmente occorre la sua versione 2.0”.
La stessa esigenza di raccontare la comunità italiana è quella che ha sentito Luca Vullo, autore, regista e produttore catanese 36enne, che ha scelto proprio questo momento delicato per raccontare le storie, i sogni e le delusioni degli espatriati italiani nel suo documentario, INFLUX, che raccoglie i protagonisti di “questa contemporanea emorragia dell’Italia”.
“Durante la mia ricerca per la realizzazione della sezione short INFLUX — Europe is moving (selezionato allo Short Film Corner del Festival di Cannes 2015) ho chiesto agli intervistati italiani sul territorio inglese: Cosa succederebbe se l’Uk uscisse dall’Ue? Alcuni sostengono che sarebbe un grave autogol per gli inglesi per la perdita di investitori e per la drastica riduzione di energia umana, creativa e professionale derivante da questo flusso migratorio. Altri si trovavano favorevoli al porre un filtro a questa emigrazione di massa che sfrutta il welfare e può danneggiare chi invece si trasferisce con un regolare contratto di lavoro. Altri ancora si preoccupavano del fatto che avrebbero dovuto richiedere il visto e si sentivano offesi. Insomma pareri discordanti che comunque testimoniano un sentimento comune: la paura. Gli inglesi non sopportano più questo INFLUX indistintamente che siano italiani, polacchi, spagnoli o rumeni. Bisognerà avere un contratto di lavoro dipendente e se aggiungiamo che bisognerà lavorare nello stesso ambiente di lavoro per almeno 5 anni saremo tornati alla Londra anni 60 e al contratto Italo Belga del 46. La storia si ripete e il paradosso è che adesso anche io sento minacciare la cosa più preziosa che mi ha regalato questo stesso paese: la libertà “.
Non sopporta che gli italiani vengano dipinti come dei turisti del welfare in cerca di sussidi Teresa Pastena, fondatrice di Cv&Coffee, l’agenzia di consulenza per italiani in cerca di lavoro nel Regno Unito che sta diventando una vera a propria agenzia di collocamento.
“Non ricordo nessuno dei nostri clienti che si sia trasferito dall’Italia con l’intenzione di chiedere un aiuto assistenziale allo stato inglese o di aver anche solo menzionato i benefit se la ricerca di lavoro non avesse prodotto risultati. Tutt’altro. I giovani e le famiglie che arrivano dall’Italia hanno la voglia di dimostrare quelle competenze che il nostro paese non gli riconosceva o pagava a sufficienza. Assistiamo professionisti le cui qualifiche ed esperienze vengono apprezzate dal mercato inglese in tempi brevi”.
Chi deve invece ripartire da zero con lavoretti al pub, è perchè ha bisogno di migliorare l’inglese per riuscire ad ottenere il prima possibile un tirocinio o lavoro in ufficio.
“E in molti raggiungono quest’obiettivo in assoluta indipendenza economica: dalle famiglie (non sono mamma e papà a pagare l’affitto e le bollette ma loro stessi con i sacrifici di doppi turni al lavoro) e dallo stato”.
Ne sa qualcosa anche Francesca Boccolini, cofounder di Hunter, un’app che consente di localizzare e assumere velocemente personale e di trovare lavoro all’ultimo minute, partendo proprio dagli italiani a Londra come primi utilizzatori.
“In questi anni ho avuto modo di lavorare con molti italiani tra designer, developer, consulenti e creativi che come me cercavano di costruire la loro startup e che per potersi mantenere facevano più lavori allo stesso tempo, spesso anche in bar e ristoranti di sera e nei weekend. C’è una fortissima selezione naturale. Improbabile che si possa rimanere a Londra e tentare la fortuna considerato il costo della vita e l’altissimo livello di competizione. Chi viene e rimane ha un obiettivo chiaro e fa di tutto per raggiungerlo. Chi non riesce è costretto ad andare altrove”.
(da “Huffingtonpost”)
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