“SONO UNO DI VOI”: MATTEO SEMPRE A FAVORE DI FLASH E TV
DOPO LA SMART, LO SPOT DELLA GIULIETTA
La manovra è così sfacciatamente mediatica che persino Chiara Geloni, non proprio una giaguara delle strategie, ha avuto buon gioco a ironizzarci su Twitter: “’Ma perchè ogni volta va al Quirinale con una macchina diversa?’ ‘Perchè così i giornalisti lo scrivono’”.
Le ha fatto eco, tra un insulto e l’altro dei renziani, il deputato piddino Andrea Sarubbi: “Non trovo ancora interviste al concessionario della Giulietta. Nun me fate sta’ in pensiero, eh”.
In Rete è già nato il “generatore automatico di foto di mezzi di trasporto di Renzi”, che sta spopolando non meno del “generatore automatico di totoministri di Renzi”. Forse perchè disquisire dei dettagli è quasi sempre meno stancante, da giorni si discute appassionatamente della Smart di Renzi: quella con cui è andato ad affrontare Enrico Letta, nella indimenticabile sfida all’Ok Corral dei democristiani 2.0.
Ieri è toccato a una Giulietta.
Intellettuali e fiancheggiatori stanno eroicamente tessendo le lodi di una tale scelta doppiamente proletaria.
Tra una esegesi e l’altra, il fedelissimo Ernesto Carbone — proprietario della Smart — ha rivelato aspetti oltremodo avvincenti: “È comoda, sale e facciamo due chiacchiere”.
Prima che un’ondata di “sticazzi” lo travolgesse, qualcuno – i soliti giustizialisti – ha biecamente sostenuto che Renzi accelerasse troppo.
Carbone, protetto dai soliti quintali di gel e avvolto in gessati già fuorimoda ai tempi di Al Capone, ha per fortuna fugato ogni dubbio: “L’auto ha 13 anni. Accelera a fatica, poi parte di colpo”.
Quindi è colpa della Smart da rottamare, non del quasi rottamatore.
Innamorato dell’apparenza forse perchè debole in sostanza, Renzi ha un feticcio dichiarato per le auto minimali.
Quando può, anzi, si presenta in bicicletta. Magari è una finta, come sostengono Alberto Ferrarese e Silvia Ognibene, autori del libro Matteo il conquistatore: magari a volte parcheggia l’auto (elettrica) dietro l’angolo, per mostrarsi in bici a giornalisti e fotografi.
L’importante è che passi il messaggio: “Io sono come voi”.
Già Francesco Rutelli raggiunse il Campidoglio con lo scooter e pure Ignazio Marino ama farsi ritrarre in bici, con tanto di casco e scorta pure lei pedalante.
Perfino Enrico Letta era andato la prima volta al Quirinale con una Fiat Ulysse e l’ultima con una Lancia Delta.
Se l’elettore pare odiare la casta, lo stratagemma più comodo è fingersi estraneo a essa.
Per Renzi è un aspetto chiave. Agli amici racconta che la sua guerra alle auto blu sarà senza esclusione di colpi.
Intento nobile, ovviamente. Si ha però la sensazione continua che il cambiamento renziano si fermi al superfluo: che la rivoluzione anelata dal sindaco part time di Firenze si accontenti della superficie. Del marginale.
L’auto comune, in questo senso, assurge a simulacro da esibire per sancire la discontinuità con un passato che pure le mosse gattopardesche renziane sembrano invece voler reiterare.
Renzi giura “di essere più grillino di Grillo” e quasi tutta la grancassa mediatica, con zelo commovente, celebra il Miracolo della Smart: del ragazzo-Premier della porta accanto.
Sentendosi nel suo piccolo un po’ Papa, San Matteo gioca al Bergoglio del Mugello e preferisce dunque al pulpito la monovolume.
Tutto molto bello, tutto molto furbo.
Per quanto ammirati e anzi abbacinati di fronte a cotanto pauperismo post-paninaro, permane però un dubbio: forse la priorità degli italiani non è la vettura scelta da Renzi, bensì qualche mossa politicamente appena più rilevante e incisiva.
Andrea Scanzi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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