TAVECCHIO NEGLI USA NON SAREBBE PIU’ AL SUO POSTO: IL CASO STERLING, CACCIATO DALLA NBA
L’EX PATRON DEI LOS ANGELES CLIPPERS RADIATO A VITA DAL BASKET E COSTRETTO A VENDERE IL CLUB PER IL CONTENUTO RAZZISTA DI UNA CONVERSAZIONE TELEFONICA
Il giochino è noto, si chiama ‘Trova le differenze’.
Nel primo riquadro c’è Carlo Tavecchio da Ponte Lambro. Ha 71 anni e ama i progetti di lungo periodo: per 19 anni ha governato il suo paese nel comasco, per 15 la Lega Nazionale Dilettanti di calcio.
Quando arriva il suo momento si complica la vita con una frase razzista, neocolonialista. Parole insopportabili, dette a cuor leggero.
All’inizio i giornali parlano di gaffe e mettono la notizia a pagina 10.
Il caso monta, anche grazie alla Rete, e qualcuno inizia a smarcarsi. Cinque giorni dopo, mentre continuano a riaffiorare precedenti penali e dichiarazioni censurabili, Tavecchio è ancora il candidato vincente per la presidenza della Figc.
La figura accanto è solo apparentemente simile.
Il protagonista ha 80 anni e i capelli tinti, ma da alcune ore Donald Sterling non è più il presidente dei Los Angeles Clippers, una delle 30 squadre che compongono la lega americana di basket.
Il giudice della Corte Superiore di Los Angeles ha dato l’ok per la cessione della società all’ex Ceo di Microsoft, Steve Ballmer.
Sterling, che ha fatto i soldi con gli immobili a Beverly Hills, era il presidente più longevo della Nba, da 33 anni alla guida dei Clippers.
Lo scorso 25 aprile un sito di gossip americano pubblicò la ricostruzione audio di una telefonata con la sua fidanzata, in cui Sterling chiedeva di non frequentare afroamericani, soprattutto di non portarli al palazzetto.
Solo poche voci isolate posero dubbi sulla legittimità della conversazione e sulla sua pubblicazione illegale e in poche ore Sterling monopolizzò tutte le edizioni dei tg e le prime pagine dei giornali.
Il dibattito andò avanti per giorni, con inevitabili eccessi e schizofrenie.
Una cosa apparì chiara sin dal primo istante: per Donald Sterling non c’era più posto nella Nba.
Dopo poche ore Barack Obama ruppe il silenzio: “Quando le persone vogliono mettere in mostra la propria ignoranza basta lasciarle parlare — disse — Abbiamo fatto grandi passi in avanti, ma continuiamo a lottare con l’eredità della schiavitù. Ho fiducia che le istituzioni Nba risolveranno la questione al meglio”.
I Clippers scesero sul parquet con la maglietta al contrario e le calze listate a lutto.
Il leader Chris Paul annunciò lo sciopero se Sterling fosse rimasto al suo posto. Lebron James, il più forte di tutti, fu definitivo: “Non c’è posto per lui nella Lega”. Tornarono in campo le leggende della storia Nba: Magic Johnson si rifiutò di andare a vedere i biancorossi, Kareem Abdul-Jabbar ribaltò la prospettiva e in un articolo sul Time se la prese con il buonismo e l’ipocrisia della società americana che aveva permesso che un razzista patentato come Sterling (i precedenti sono molti) rimanesse al suo posto per 30 anni.
Michael Jordan, che ora presiede i Charlotte Bobcats, si disse “oltraggiato e disgustato”.
I proprietari delle altre franchigie (il corrispettivo della nostra Lega Serie A) abbandonarono subito il collega.
Appena quattro giorni dopo lo scandalo, il 29 aprile, il commissioner Nba Adam Silver inflisse a Sterling una multa record da 2,5 milioni di dollari e lo radiò a vita. Poi avviò l’iter per costringerlo a vendere il club.
Tutti applaudirono la decisione draconiana di Silver. Il messaggio era chiaro: in America il razzismo ha delle conseguenze, soprattutto in una Lega composta per il 76% da afroamericani.
A maggio ebbe inizio la battaglia legale per la cacciata di Sterling, che provò a resistere sulla poltrona dei Clippers.
A trattare la cessione della franchigia non fu lui, ma l’ex moglie Shelly. Sterling fu dichiarato fuori gioco per un principio di Alzheimer, i suoi ricorsi non furono presi in considerazione e, nelle ultime ore, ecco l’annuncio ufficiale del passaggio di proprietà .
“E’ una buona cosa per Los Angeles, l’Nba e la mia famiglia. Venite a vedere i Clippers il prossimo anno”, ha detto Shelly ai cronisti fuori dal tribunale.
Forse ha ragione Kareem, che non ha caso è il più grande realizzatore della storia Nba: gli Stati Uniti sono un paese ipocrita e moralista.
Ma la connivenza è anche peggio e ai tanti presunti uomini di sport che continuano a parlare di “uscita infelice” da parte di Tavecchio rimangono preferibile le dichiarazioni del presidente della Roma James Pallotta, non a caso americano: “Frasi imbarazzanti e umilianti. Non capisco come possa essere candidato alla presidenza. Non capisco come ci possano essere club che lo appoggiano”.
Dario Falcini
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