TIENAMEN, 22 ANNI DOPO I DIRITTI UMANI IN CINA CONTINUANO A ESSERE CALPESTATI
IN UN PAESE PROFONDAMENTE MUTATO E IN UNA CITTA’ DI 22 MILIONI DI ABITANTI VIGE ANCORA LA PAURA E LA PERSECUZIONE DI CHI DISSENTE… MA GLI STUDENTI MARTIRI DEL1989 VIVONO NEL RICORDO DI CHI LOTTA PER LA LIBERTA’
Ventidue anni dopo le proteste di piazza Tienanmen, conclusesi in un bagno di sangue, l’aspetto fisico di Pechino è profondamente mutato.
La città non è più una serie concatenata di quartieri dove – nel bene e nel male – tutti si conoscevano, dopo che le comunità del centro sono state smembrate e scaraventate nelle periferie; i vecchi vicoli, gli hutong, sono stati distrutti per far sorgere al loro posto grattacieli, centri commerciali, e infiniti complessi per uffici.
La Chang An Jie, la Via della Pace Eterna, l’asse che divide Pechino da Est a Ovest e su cui passarono i carri armati diretti a Tienanmen, attraversa ora uno sfavillante CBD, che sta per Central Business District, il quartiere d’affari centrale, e si è estesa per chilometri, man mano che Pechino si è andata espandendo.
Oggi, gli abitanti della capitale cinese sono più di 22 milioni, più della metà dei quali sono nuovi arrivi, che non erano presenti in città quando, nel giugno del 1989, l’esercito cinese aprì il fuoco sui dimostranti, facendo un numero ancora imprecisabile di vittime.
Da ventidue anni, quello di piazza Tienanmen, o del «6/4» come dicono i cinesi (trascrivendo così il mese e il giorno in cui la città si sveglio con il sangue per le strade) è il tabù più grande che esista in Cina, una data che non può essere menzionata sul Web, che viene pronunciata a proprio rischio e pericolo, che porta, ogni anno, la capitale e il Paese intero ad uno stato di allerta casomai qualcuno volesse dire a voce alta che Pechino non dimentica. Così, le più audaci forme di protesta sono talmente oscure ed intricate da essere rebus per iniziati, un linguaggio in codice comprensibile solo ad alcuni dissidenti e accaniti «netizen» su Internet, e alle forze dell’ordine.
Il Web, per esempio, commemora il «35 maggio» — ovvero il 4 giugno.
La fotografia di un disegno di un cervo morto e una bottiglietta rovesciata vengono scambiate su Twitter e Facebook e sui loro cloni cinesi, lasciando perplessi tutti quelli che non sanno interpretare queste immagini: si tratta di omofonie, che dicono «quattro giugno» (omofono appunto di «cervo morto») e «ribaltare il giudizio», inteso come il giudizio sul 4 giugno 1989 (omofono di «ribaltare la bottiglietta», e anche del nome di Deng Xiaoping, principale leader comunista cinese dell’epoca).
Nulla di meno contorto può essere azzardato, pena l’immediata detenzione.
Per il resto, deve pensarci Hong Kong, l’ex-colonia britannica tornata nel 1997 sotto la sovranità cinese ma che, grazie alla formula «Un Paese Due Sistemi» continua a godere di significative libertà politiche.
Qui, dove un milione di persone scesero nel giugno 1989 al Parco Vittoria per denunciare la decisione di sparare contro la folla, ogni anno viene tenuta una commovente veglia a lume di candela, durante la quale vengono cantate le canzoni di ventidue anni fa, ricordati i morti, e chiesta giustizia e democrazia in nome loro e di tutti quelli che si battono per le riforme politiche in Cina.
Fra i più famosi: il premio Nobel Liu Xiaobo, incarcerato. L’artista Ai Weiwei, scomparso dopo l’arresto di qualche settimana fa.
Quest’anno, le Madri di Tienanmen, un gruppo di familiari delle vittime del 4 giugno 1989, in una lettera aperta hanno rivelato al mondo di essere state contattate da alcuni agenti che volevano sondare la possibilità di offrire loro un pagamento, in cambio della sospensione del loro movimento per la memoria dei loro cari.
Gli agenti hanno ricevuto un rifiuto oltraggiato, e le madri hanno anche specificato che, quest’anno, dopo che Pechino si è lasciata spaventare dai richiami online per organizzare delle «proteste dei gelsomini» come quelle che scuotono il Medio Oriente, e mentre si intensifica nel Partito comunista l’appostarsi strategico in preparazione delle nomine alle massime cariche politiche nell’ottobre del prossimo anno, «la situazione è la peggiore dal 4 giugno 1989. Il silenzio regna in tutto il Paese».
Schizofrenia di una Cina di scintillanti CBD e silenzi forzati, dove autorità all’apparenza solidissime non possono tollerare nè cervi morti, nè gelsomini.
Ilaria Maria Sala
(da “La Stampa“)
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