SILVIO L’ASTENSIONISTA RIVEDE L’INCUBO DELLA DISFATTA DI CRAXI
QUELL’ANDATE AL MARE DEL LEADER SOCIALISTA FU UN BOOMERANG SENZA PRECEDENTI….IL 62% CHE RESPINSE LA CAMPAGNA ASTENSIONISTA FU L’INIZIO DELLA FINE
Referendum inutili, dice Silvio Berlusconi.
“Il più inutile fra i referendum” disse Bettino Craxi di quello, sulla preferenza unica, appresso al quale venne giù la Prima Repubblica.
Non di rado l’archeologia offre rimarchevoli affinità fra gli eventi, e a scavare nei ritagli di un’epoca ormai remota si scopre che corrono esattamente vent’anni e tre giorni tra la scadenza che mette a rischio il berlusconismo e il voto che il 9 giugno del 1991 determinò il crollo del ciclo di potere craxiano. Risale ad allora il celebre invito di Craxi, “Andate al mare”, rivelatosi di lì a poco il più fragoroso boomerang della storia elettorale italiana.
L’anno prima erano andati a monte un paio di referendum (caccia e pesticidi), a via del Corso le agenzie demoscopiche di fiducia registravano un clima di estraneità e di stanchezza.
Finì invece che 27 milioni di italiani, il 62,6 per cento respinsero la campagna astensionista.
E per il leader del garofano fu l’inizio della fine – e non solo per lui.
Il presidente Berlusconi ha qualche ragione per ricordarselo.
Forse è per questo che oggi si limita a dire l’indispensabile: la consultazione del 12 giugno nasce “da iniziative demagogiche” e quindi “si vota sul nulla”. Vent’anni orsono Craxi la mise giù molto più dura: il referendum promosso da Mario Segni non solo costava troppo, ma era “incostituzionale”, anzi “incostituzionalissimo”, “antidemocratico”, “inquinante”, “una truffa”, “un caso di ubriachezza politica molesta”.
Senza accorgersi di aver innescato un referendum su di sè, Craxi agì per convinzione e per sfida, ma anche per arroganza e perchè in realtà , poco lucido e circondato com’era da yes-man, aveva perso il contatto con la realtà del paese e del suo stesso elettorato.
Scettico sul quorum, arrivò a minacciare “il ritiro della licenza” ai sondaggisti che invece lo dichiaravano probabile.
Ma la scena indimenticabile, il 2 giugno, andò in onda durante un pranzo che concludeva di una accaldata visita garibaldina a Caprera, e a un telecronista che provava e riprovava a chiedergli dell’imminente referendum, visibilmente infastidito Craxi diede platealmente le spalle alla telecamera e con voce imperiosa proclamò: “Passatemi l’olio!”.
Ora, è anche vero che i potenti al tramonto un po’ si assomigliano tutti – e tanto più con il senno di poi.
Ma a quel punto l’uomo sembrava già l’ombra di se stesso e intorno a lui s’addensavano segni niente affatto propizi: pur malandato, aveva ripreso a mangiare e a fumare, e mentre a Roma la Gbr di Ania Pieroni andava sperperando soldi in feste e macchinari, a Milano la “Duomo connection” era arrivata a lambire il Psi.
Impantanato nella palude democristiana, c’era il sogno del congresso del centenario, ma intanto i cortigiani si passavano sottobanco l’abbecedario a luci rosse di Moana e sul leader incombevano pure le memorie d’alcova di Sandrocchia.
Su un altro piano, pure dissacrante per la sua leadership, un paio di mesi prima era uscito con enorme successo un autentico atto d’accusa come Il Portaborse, con Nanni Moretti, e proprio nei giorni della campagna referendaria risuonava “L’uomo ragno” di De Gregori: “E’ solo un capobanda,/ ma sembra un Faraone,/ si atteggia a Mitterrand,/ ma è peggio di Nerone”.
Il risultato elettorale, lo sfondamento del quorum, colse Bettino come un fulmine tra le rovine di Beirut, dove era andato come osservatore speciale dell’Onu con giornalisti al seguito.
Stringendosi nelle spalle disse: “Io da solo non posso far miracoli” – e anche questa è la frase preferita di chi, troppo spesso invocato come un salvatore, sperimenta di colpo la solitudine del comando al momento della disfatta.
Tra gli inviati c’era Augusto Minzolini, che due giorni dopo seguì Craxi in Sicilia, dove pure si stava per votare (e il Psi andò malissimo).
Proprio a lui, sulla botta referendaria che ancora gli doleva, il leader volle consegnare una recriminazione che a vent’anni di distanza suona, più che paradossale, ineffabile e a suo modo forse anche profetica: “Non abbiamo ingaggiato battaglia. Io non ho fatto nemmeno un comizio. Non c’è stata una campagna di spot, mentre gli altri l’hanno fatta anche nelle tv private. Del resto la Fininvest – e qui Berlusconi può farci un pensierino – è senza patria: incassa e basta”.
Filippo Ceccarelli
(da “La Repubblica“)
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