UN SEQUESTRO DI PERSONA ILLEGALE: ORA TUTTI RISCHIANO 12 ANNI DI GALERA
IL CASO DI ALMA E ALUA NON HA PRECEDENTI: I CLANDESTINI NON SI RIMPATRIANO SU VOLI PRIVATI
E se finissero tutti in prigione? Kazaki (quelli non coperti da immunità diplomatica) e italiani: poliziotti, capi di Questura, di Polizia, di Segreteria, di Gabinetto e ministro; tutti quelli che “non erano stati informati e non sapevano”.
L’accusa? Sequestro di persona.
Repubblica del 20 luglio: il 28 maggio l’Interpol di Astana (Kazakistan) segnala alla Polizia italiana che a Casal Palocco c’è il ricercato internazionale Mukhtar Ablyazov. “Prendetelo e consegnatelo alle autorità kazake. Con lui vive sua moglie Alma Shalabayeva; ha due regolari passaporti kazaki e, forse, un passaporto falso della Repubblica Centro Africana a nome di Alma Ayan. Prendete anche lei e “deportatela” in Kazakistan: è in Italia illegittimamente”.
La richiesta è corretta per quanto riguarda Ablyazov; priva di senso per Shalabayeva. Se costei ha un passaporto kazako (e lo ha, lo afferma l’Interpol kazaka), è possibile che risieda in Italia legittimamente: dipende dall’eventuale possesso di un permesso di soggiorno, italiano o rilasciato da un Paese dell’area Schengen (che in effetti la donna aveva, emesso dalla Lettonia); dipende anche da quando essa è arrivata in Italia: potrebbe permanervi come turista per tre mesi.
E, se fa uso di un documento falso (il passaporto africano), ciò costituisce un reato per la legge italiana; quindi in Italia dovrebbe essere processata ed eventualmente condannata.
Ma il passaporto falso non è di per sè, in presenza di passaporto “vero”, motivo di “deportazione” (in termini giuridici, espulsione).
L’ambasciatore kazako e i suoi accoliti si accordano con le autorità italiane per un’irruzione nella villa di Casal Palocco; che avviene il 29 maggio, il giorno dopo i messaggi dell’Interpol kazaka.
Ablyazov non lo trovano; mettono però le mani su una preda più misera, sua moglie Shalabayeva e la figlioletta di sei anni.
Non hanno fatto niente, non c’è motivo di portarle in Questura.
Ma i kazaki le vogliono. Il perchè è ovvio, servono per ricattare Ablyazov e costringerlo a costituirsi.
Ma come si fa? L’Interpol kazaka ha già detto che la donna è in possesso di passaporto vero, per provare che stia in Italia illegittimamente ci vuol tempo.
Allora ci si attacca al passaporto della Repubblica Centro Africana che Shalabayeva esibisce: non vuole che si sappia che lei è la moglie di Ablyazov, teme proprio quello che sta per succedere , che la usino contro il marito.
Non sa, la poveretta, che tutti lo sanno già e che gli sta offrendo la sua testa su un piatto d’argento.
“Passaporto falso, sei in Italia illegittimamente, devi essere espulsa!”.
E se la portano via, lei e la figlia.
Dove? Nel famigerato Cie (Centro identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria, un surrogato della prigione; lì la portano e lì deve restare.
Ecco perchè il capo della Polizia Pansa non racconta delle informazioni dell’Interpol kazaka e si limita a dire: “Essendo emersi dubbi sulla sua identità e per verificare la sua regolare presenza in Italia” viene portata in Questura.
Dubbi? Ma se sapevano benissimo che era Shalabayeva!
Siccome il diavolo fa le pentole etc, qui c’è la dimostrazione della vigliaccata perpetrata dai kazaki e dal servile ministero dell’Interno italiano.
La Polizia lo sa che Shalabayeva ha un passaporto kazako. Perchè non le dice: non raccontare storie, lo sappiamo chi sei, dacci il passaporto vero?
Ovvio: perchè, se questo passaporto salta fuori, addio immediata espulsione.
La reclusione nel Cie deve essere convalidata dal giudice di pace.
E, se a questo gli dicono: “l’abbiamo portata al Cie perchè è illegalmente in Italia visto che ha un passaporto falso; veramente ne ha anche uno vero però la vogliamo trattenere lo stesso”; il minimo che succede è che il giudice dica: “un momento, vediamo come stanno le cose, magari è qui come turista, magari ha un permesso di soggiorno, in fondo ha una casa dove abita regolarmente; fate accertamenti e poi vedremo”.
Quindi che il passaporto kazako resti nell’ombra è proprio quello che serve per chiedere una convalida immediata, necessaria per una altrettanto immediata “deportazione”.
Il giudice di pace convalida. Che altro deve fare? Gli dicono che il passaporto è falso, Shalabayeva ha paura per suo marito e quindi non dice che ha non solo il passaporto kazako, ma anche un permesso di soggiorno rilasciato dalla Lettonia che è valido anche in Italia (area Schengen): su quei documenti c’è il suo vero nome.
Così la “deportazione” avviene con un aereo privato messo a disposizione dai kazaki. Superfluo dire che, in 41 anni di magistratura, non ho mai visto un clandestino andarsene dall’Italia con un aereo privato.
C’è qualche dubbio che Shalabayeva sia stata privata della libertà personale illegittimamente?
Non era clandestina, la Polizia lo sapeva.
Non potevano rinchiuderla nel Cie.
E nemmeno potevano arrestarla, garantendosi così che non gli sfuggisse: il possesso di passaporto falso è punito solo fino a tre anni di reclusione, l’arresto non è consentito.
Solo che niente Cie, niente “deportazione”; Shalabayeva se ne sarebbe andata e la parola passava agli avvocati.
E allora che gli dicevano ai kazaki? Qualcuno ha sentenziato: “Cie Cie, non rompete.”
Tutto questo si chiama sequestro di persona, reso possibile — formalmente — da un provvedimento del giudice di pace che però è stato ottenuto con l’inganno.
Una rendition realizzata con finta legalità invece che con un rapimento in mezzo alla strada.
Come per ogni reato ci sono gli istigatori e mandanti (i kazaki), gli esecutori materiali (i poliziotti e i loro diretti superiori), i concorrenti necessari (quelli che dettero gli ordini, quelli che avrebbero dovuto impedire la consumazione del reato e che non lo fecero).
Al posto loro comincerei a preoccuparmi.
Il reato di cui all’art. 605 1°, 2° (fatto commesso da un pubblico ufficiale) e 3°comma (fatto commesso in danno di un minore, la figlioletta di 6 anni) è punito fino a 12 anni di galera.
E gli stracci piccoli, quando cominciano a volare, hanno la tendenza a chiamare in correità gli stracci grossi.
Bruno Tinti
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