VIETATO INTERCETTARE ANCHE GLI ASSASSINI
IL GOVERNO, NEL DISEGNO DI LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI, SI DIMENTICA DI CONTEMPLARE TRA I REATI GRAVI PER CUI SONO AMMESSE LE INTERCETTAZIONI, I CASI DI OMICIDIO…. ..LA DENUNCIA DEL SINDACATO AUTONOMO DI POLIZIA ANFP: BASTA LEGGERE L’ART. 10 LETTERA F PER NOTARE L’ANOMALIA ..… MAGISTRATI E STAMPA SI APPELLANO AL CAPO DELLO STATO
C’è una falla nel disegno di legge sulle intercettazioni che è stato approvato alla Camera qualche giorno fa: nell’elenco dei reati più gravi e per i quali i magistrati potranno avvalersi dei sussidi tecnologici anche nella fase delle indagini preliminari, non è stato inserito l’omicidio.
Lo ha scoperto l’ANFP ( Associazione nazionale tra i funzionari di Polizia) , in pratica il sindacato dei dirigenti della Pubblica Sicurezza.
E’ probabile , a questo punto, che il Senato, chiamato a votare la norma nelle prossime settimane, debba apportare qualche modifica al testo e far slittare l’entrata in vigore del disegno di legge.
Non bastava evidentemente il clamore e le polemiche che la nuova normativa aveva di per sè generato in ampi settori della società , della magistratura, delle forze dell’ordine e della stampa, ci mancava pure l’errore di escludere uno dei reati in assoluto più gravi.
Come riporta il “Secolo XIX”, è arrivata puntuale la denuncia choc del segretario nazionale dell’ANFP : “Il comma 10, alla lettera F dell’emendamento presentato dal Governo sulle intercettazioni. è una norma contraddittoria e nei fatti consentirà a molti assassini di farla franca. In base a un’attenta lettura di questo testo, l’omicidio, uno dei reati più gravi punito infatti con l’ergastolo, non è contemplato nell’elenco per i quali è possibile disporre intercettazioni per 60 giorni, in deroga alla legge, e impedisce contemporaneamente l’utilizzo di microspie.
La contraddizione si evidenzia dal fatto che, al contrario, si possono disporre intercettazioni, ed anche utilizzare le microspie fino a due anni ininterrottamente per un lungo elenco di reati per i quali è prevista una pena assai inferiore, ma non per l’omicidio”.
Siamo al teatro dell’assurdo insomma: sarà infatti possibile intercettare chi è accusato di “riduzione in schiavitù” ( pena prevista 20 anni di carcere), “il traffico di essere umani” ( 20 anni), “l’associazione di stampo mafioso” (15 anni), “il sequestro di persona a scopo di estorsione” ( 30 anni), l’associazione finalizzata al “traffico di sostanze stupefacenti” (24 anni).
Ma niente per gli omicidi insomma.
Da qui l’appello del sindacato di polizia ai senatori “perchè modifichino quelle norme che rischiano di farci passare, nel breve periodo, da una situazione di “insicurezza percepita” ad una reale “.
Le critiche sono poi arrivate dal procuratore capo di Torino, già procuratore di Palermo, Giancarlo Caselli, secondo il quale “il ministro Alfano è come Penelope che tesseva la tela: di giorno la cuciva e di sera la disfava. Da un lato tolleranza zero, esercito, flotta e ronde, dall’altro la fine delle intercettazioni. La metà dei processi celebrati nella sola Torino, in base a un esame fatto dai nostri uffici, si bloccheranno”.
Federconsumatori a sua volta denuncia: “Se non fosse stato per le intercettazioni, non avremmo mai scoperto gli scandali Cirio, Parmalat e molti altri”.
Ribatte il ministro che si “è cercato un punto di equilibrio per evitare un buco di 400 milioni nelle casse dello Stato”.
Che il decreto sia un punto di equilibrio, sinceramente non ci pare proprio.
Si doveva semplicemente evitare che gli atti diventassero di dominio pubblico troppo facilmente, con colloqui personali irrilevanti dati in pasto all’opinione pubblica.
Bisognava cioè garantire la privacy, ma senza ostacolare assolutamente il lavoro della polizia e della magistratura.
Bastava dialogare e parlarsi, a colpi di maggioranza non si va lontano, soprattutto su temi delicati come questi.
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