VINCE ANCORA FINI: BRANCHER SI E’ DIMESSO, I BULLI DEL PDL TEMONO LA CONTA E BATTONO IN RITIRATA
AVEVANO MINACCIATO DI ARRIVARE AL VOTO SULLA MOZIONE DI SFIDUCIA A BRANCHER PER METTERE ALLE CORDE I FINIANI, MA ALLA FINE HANNO IMMOLATO IL CAPRETTO…VALEVA LA PENA NOMINARE MINISTRO UN INQUISITO CHE ORA HA SCELTO IL RITO ABBREVIATO?
La resa di Aldo Brancher è arrivata in una dichiarazione spontanea resa in aula al processo sul tentativo di scalata ad Antonveneta, che lo vede imputato, insieme alla moglie, per appropriazione indebita e ricettazione in relazione a somme pari a circa 1 milione di euro, ricevute da Giampiero Fiorani durante il tentativo di scalata all’Antonveneta.
Al processo sulla scalata all’Antonveneta, Aldo Brancher e la moglie Luana Maniezzo sono imputati per 420mila euro di appropriazione indebita, incassati tra il dicembre e il novembre del 2003 grazie a plusvalenze su azioni Tim e Autostrade che, stando all’accusa, vennero manovrate dai vertici della Popolare di Lodi per favorire la coppia.
Altri 600mila euro, per cui è stata contestata la ricettazione, erano divisi in diversi versamenti: i primi 100mila consegnati in contanti da Donato Patrini, collaboratore di Gianpiero Fiorani, presso l’autogrill di San Donato milanese nel 2001; una seconda tranche di 100mila euro in contanti consegnata nel 2004 a Lodi nell’ufficio di Fiorani; altri 100mila ricevuti a Roma nel gennaio del 2005 dopo la bocciatura del decreto sul risparmio presso l’ufficio di Brancher, al ministero del Welfare; infine, altri 200mila euro consegnati ancora nell’ufficio di Fiorani a Lodi, nel marzo dello stesso anno.
Nella dichiarazione spontanea, Brancher ha spiegato i motivi per i quali ha voluto rinunciare al legittimo impedimento “affinchè finiscano strumentalizzazioni e speculazioni” e al giudice Gatto ha “anticipato la mia decisione di dimettermi da ministro”.
Brancher stamane ha anche chiesto di essere giudicato con rito abbreviato, celebrato a porte chiuse, senza testimoni e solo su prove documentali, prassi che dà diritto a uno sconto di un terzo della pena.
Ma non doveva difendersi a spada tratta?
Eppure anche Bondi aveva annunciato che “gli amici si difendono” e ancora ieri sera il ministro Rotondi prevedeva un voto sulla mozione di sfiducia dell’opposizione e minacciava i finiani: “Chi vota contro, è fuori dal Pdl”.
Proprio lui che ci è entrato con la divisa da maggiordomo e ora gira con quella da usciere, minacciava di espulsione uno dei due co-fondatori.
O come il poeta di corte Capezzone che ha mollato i radicali per uno stipendio da portavoce e ora parla di corenza altrui.
Tutti gli ometti a menare sciabolate: “andremo alla conta su Brancher, siamo pronti allo scontro finale, Fini farà la fine di Rutelli”.
E poi come finisce?
Che i falchi berlusconiani disertano la battaglia, costringono Brancher a dimettersi dopo la gaffe di aver chiesto il legittimo impedimento, mentre Tremonti e Calderoli, che avevano ordito la trama, ora hanno ritirato la mano.
“Brancher chi?” sembrano commentare tutti nel Pdl, come se fosse sceso da Marte.
E la resa dei conti con Fini? Rinviata dopo aver fatto i conti.
Eh si, facciamoli un po’: alla Camera la maggioranza attuale è di 341 deputati, la maggioranza necessaria è di 316 , il margine è quindi di appena 25 deputati.
I finiani di stretta osservanza sono 32, nonostante il premier ogni giorno ne convochi qualcuno “per fare due chiacchiere”.
Ma ci sono almeno 10 deputati di riserva e diversi altri di area Forza Italia che aspettano il momento giusto.
Mentre al Senato Fini ha 14 parlamentari.
Il grande navigatore Letta ha fatto fare la doccia fredda a qualcuno, insomma, ponendoli di fronte alla realtà dei numeri.
Invece che alla conta, hanno dovuto fare due conti.
E anche su Brancher i finiani hanno fatto vincere la legalità .
Ora tocca alla legge sulle intercettazioni.
Avanti c’è posto per i pifferai di montagna.
Quelli che erano partiti per suonare e sono tornati “suonati”.
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