ZINGARETTI LANCIA LA SUA CORSA AL CONGRESSO PD
“COMUNITA'” E “UMILTA'” SENZA OSSESSIONI DI LEADERISMO… GENTILONI E FRANCESCHINI AL SUO FIANCO CERTIFICANO LA ROTTURA CON RENZI
Una Piazza “normale”, per un forza normale. Senza effetti speciali, ossessioni di leaderismo e “menomale che il capo c’è”.
Sindaci e amministratori, non solo del Pd, si alternano sul podio dell’agorà di Piazza Grande, la convention organizzata da Nicola Zingaretti, all’ex Dogana.
È il lancio della candidatura di Zingaretti alla segreteria del Pd: “Non vogliamo continuare — dice in chiusura di mattinata – sulla strada che ci ha portato a fallire. Noi vogliamo cambiare strada, costruire finalmente una nuova speranza per questo paese”.
Quartiere San Lorenzo, travi in cemento e panche in legno, sobria solidità dopo l’era della liquidità partitica.
Aria di Pd popolare, normale appunto, non di una curva di tifosi. Gente che ha voglia di parlare, anche con i giornalisti che, strano di questi tempi, hanno accesso ovunque. Primo capannello di gente. Carmelo, un preside: “Ancora non è stato elaborato lo schianto culturale che è venuto prima di quello politico, lo schianto di chi ha perso le sue parole: Mezzogiorno, scuola, pubblico”.
Altro capannello, si parla di “questi matti che ci governano” di “Nicola che, col suo fare un po’ bonario, funziona, è empatico”.
Lorenza Bonaccorsi, ex parlamentare, saluta persone che non vedeva da tempo: “Sai come mi colpisce oggi? Che ho rivisto parecchia gente che non c’era più da anni ed è tornata. E torna per due motivi. Perchè avverte il pericolo di questo governo e perchè sente che il partito è contendibile, che si è riaperto uno spazio”.
John Lennon e Altiero Spinelli, Paolo Sesto e Pasolini, Giuliana Segre e Martin Luther King, sulle pareti: “Può darsi che non siate responsabili della situazione in cui vi trovate ma lo diventerete se non potete fare nulla per cambiarla”.
È lo spirito della giornata. Innominato Renzi, nessuna polemica, nessun attacco fuori le righe, grande consapevolezza della portata della sconfitta: “Compagni e amici — dice Giovanni Lolli, governatore dell’Abruzzo — a gennaio da noi si vota e sono cavoli. Ci vuole capacità di ascolto, umiltà . È la prima cosa per ristabilire fiducia con la gente che non ci vuole più neanche vedere”.
“Umiltà “, “comunità “, “noi”, le parole ripetute dal palco, nella speranza di andare oltre la stagione dell’uomo solo al comando: “Si è cercata non la lealtà — dice Zingaretti nel passaggio più applaudito – ma la fedeltà . Dobbiamo rigenerare una cultura politica che abbia come anima l’apertura, l’inclusione, lo spirito di servizio”. Sulle panche sono seduti molti protagonisti del governo di questi anni, come Roberta Pinotti e Giuliano Poletti, ministro del Lavoro ai tempi del Jobs act, segno del grande rimescolamento interno.
Arrivano anche Michela De Biase, moglie di Dario Franceschini, Luigi Zanda e un sorridente Ermete Realacci: “È una bella giornata, c’è vita su Marte”.
Parecchi parlamentari, seicento amministratori, non solo del Lazio, oltre tremila persone attese per la giornata di domani, per il discorso di candidatura di Zingaretti e quello Paolo Gentiloni, che sancirà la sua scelta di campo in questo congresso del Pd. C’è mezzo governo col governatore del Lazio, che ha incassato il sostegno dell’ex premier di Dario Franceschini, uno che un congresso in vita sua non l’ha mai perso.
È la certificazione di una divisione profonda del mondo renziano. La scorsa volta erano tutti dalla stessa parte.
Raggiante, iper-attiva, l’ex commissario alla ricostruzione, Paola De Micheli, è tra gli organizzatori dell’area. Appartata dietro il palco, tiene il conto delle presenze: “L’effetto Minniti — dice — non c’è stato. Qui ci sono tutti. Non ha spostato nè la gente nè gli equilibri interni”.
Sant’Egidio, un po’ di imprenditori del Nord, parecchi “compagni” che se ne erano andati.
Piazza Grande non è solo un set del lancio. È un movimento che, nelle intenzioni, vuole aggregare ciò che “dentro” e ciò che è “fuori”, come la rete degli amministratori di Federico Pizzarotti.
Come Alessio Pascucci, il sindaco di Cerveteri, che dal palco invoca la cacciata dei “barbari che sono al governo” e, dopo Gramsci, nell’entusiasmo cita anche Ezra Pound: “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui”.
In prima fila, ad ascoltare i sindaci accanto a Nicola Zingaretti c’è il segretario del Maurizio Martina, che assicura le primarie a “febbraio”. Chissà .
Perchè resta il paradosso di un congresso sostanzialmente in atto anche se formalmente non convocato, col retro-pensiero che possa saltare da un momento all’altro: “Proprio per questo — dice il sindaco di Bologna Virginio Merola — siamo già partiti. Per impedire che si possa tornare indietro. Faremo di tutto per far sì che si faccia il congresso”.
La macchina di Zingaretti è già avviata: “L’obiettivo — spiega Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio — è riportare dentro chi è fuori. E giocarcela nelle primarie di popolo. Aggiungo che, secondo me, il profilo di Minniti, molto caratterizzato come di destra su sicurezza e immigrazione, aiuta”.
Poco più in là parlano fitto fitto il segretario di Gela e quello di Caltanissetta. Dice uno: “Mezzo gruppo parlamentare siciliano è con Zingaretti”. L’altro: “A conti fatti in Sicilia non c’è partita, prendiamo il 60 per cento”.
Anche questo fa parte di una piazza normale.
(da “Huffingtonpost”)
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