Marzo 25th, 2013 Riccardo Fucile
IL SASSOFONISTA AVEVA PROMESSO CHE AVREBBE AZZERATO LE NOMINE…. ALLA FINE LE HA RADDOPPIATE: DUE POSTI ALLA LEGA E DUE AL PDL
Dopo gli assessori, in gran parte esterni, nella giunta di Roberto Maroni arrivano i sottosegretari. 
Alla fine dovrebbero essere addirittura quattro: due del Pdl e altrettanti della Lega, nonostante all’inizio il neogovernatore avesse fatto capire che era sua intenzione azzerarli, salvo successivamente annunciare che si sarebbe limitato a nominarne due. Invece con ogni probabilità ci sarà il raddoppio.
I primi due dovrebbero essere nominati appena dopo Pasqua: per il Pdl si fa il nome di Marco Cirillo, sindaco di Basiglio e molto vicino a Paolo Berlusconi, che dovrebbe ottenere una delega all’Expo e ai rapporti con gli enti locali, sempre che alla fine non si decida di sdoppiare gli incarichi per giustificare il raddoppio delle poltrone.
Per il Carroccio il prescelto dovrebbe essere il maroniano Dario Galli, presidente leghista in scadenza della Provincia di Varese, che secondo indiscrezioni raccolte in ambienti del suo partito non si sarebbe candidato alle ultime elezioni regionali proprio perchè aspirava a un posto nella squadra di Maroni, piuttosto che accontentarsi del ruolo di commissario come previsto dalle nuove norme sul superamento delle Province.
L’ipotesi è che diventi sottosegretario alle Comunità montane.
Caustico il commento del capogruppo del Pd, Alessandro Alfieri: «La scelta di Maroni di nominare molti assessori tecnici ha già fatto lievitare i costi. Se a questo si aggiungessero le nomine dei sottosegretari, si partirebbe veramente con il piede sbagliato: continuiamo a sostenere che, oltretutto, si tratta di ruoli inutili dato che le stesse deleghe potrebbero tranquillamente essere assegnate agli assessori».
Nel frattempo si avvicina l’inizio ufficiale della decima legislatura.
Mercoledì, nella prima seduta del Consiglio regionale, Maroni illustrerà il suo programma e annuncerà la costituzione di una commissione regionale Antimafia.
Il primo atto del consiglio sarà l’elezione del nuovo Ufficio di presidenza dell’aula: sembra scontata la scelta di eleggere presidente l’ex assessore regionale ciellino Raffaele Cattaneo e il coordinatore regionale pdl Mario Mantovani sta mediando per vincere le resistenze dei leghisti.
Le due poltrone di vicepresidente dovrebbero andare al leghista Fabrizio Cecchetti e a un esponente del Pd tra l’uscente Sara Valmaggi e i consiglieri regionali Fabio Pizzul e Gian Antonio Girelli: il gruppo deciderà chi scegliere.
Per le poltrone di consigliere segretario, invece, i due prescelti dovrebbero essere Alessandro Colucci per il Pdl ed Eugenio Casalino del Movimento 5 Stelle, visto che il Pd ha offerto il suo posto ai grillini.
Nella prima riunione il nuovo organismo dovrà decidere il numero delle commissioni regionali: la scorsa legislatura quelle permanenti furono otto, più una speciale sul sistema carcerario.
Resta ancora aperta la partita della nomina di alcuni capigruppo.
Se Pd e lista Maroni hanno già deciso, rispettivamente, per Alessandro Alfieri e Stefano Bruno Galli, il gruppo del Carroccio dovrebbe scegliere tra Massimiliano Romeo e Ugo Parolo.
Nel Pdl Claudio Pedrazzini dovrebbe spuntarla su Giulio Gallera e sul ciellino Claudio Parolini.
Andrea Montanari
(da “La Repubblica”)
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Marzo 25th, 2013 Riccardo Fucile
PDL, LA DESTRA E LEGA HANNO DEPENNATO SOLO QUALCHE CASO ECLATANTE
Lo scandalo rimborsi, che ha travolto anche la Regione Friuli Venezia Giulia, non sembra aver avuto nessuna ricaduta su alcune candidature alle imminenti elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale.
Dei venti consiglieri indagati per peculato dalla Procura della Repubblica di Trieste, nell’ambito dell’inchiesta sulle spese di rappresentanza, sono infatti ben cinque quelli che il 21 aprile tenteranno di riottenere uno scranno nel palazzo di piazza Oberdan.
Si tratta dei pidiellini Paolo Santin, Franco Dal Mas, Alessandro Colautti e Roberto Marin.
Ai quali il partito, che ha depennato dalle proprie liste i casi più eclatanti, non ha voluto rinunciare.
Perchè insomma, seppur sempre a spese dei contribuenti, “un conto è l’acquisto di felpe sportive (effettuato da Santin, ndr) per una squadra di calcio — sostiene il governatore uscente e candidato presidente del centrodestra, Renzo Tondo — altra cosa è comprare del salmone la vigilia di Natale o un treno di gomme”.
Dunque non ritenendo così gravi le loro spese (tra queste anche la cena di San Valentino di Colautti, gli acquisti in macelleria di Marin, le scarpe e i ricambi per le pentole di Dal Mas), che “verranno sicuramente giustificate” auspica il partito, e tenendo anche conto della mole di voti che portano in dote, i quattro sono stati graziati.
C’è poi il quinto consigliere, Franco Baritussio, candidato con La Destra di Storace (ma anche lui fino a poco tempo fa nelle file del Pdl), che dalla Regione si è fatto rimborsare il soggiorno wellness in Carinzia (Austria).
A lui va dato atto però di aver restituito la somma e soprattutto di essersi scusato, ammettendo di aver compiuto una leggerezza.
Ma basterà a riconquistare quella verginità politica agli occhi degli elettori friulani che, dopo l’inchiesta che sta facendo tremare la Regione, iniziano ora a guardare con sempre più interesse al Movimento 5 Stelle?
Beppe Grillo è pronto a replicare la campagna elettorale “modello Sicilia” anche qui, dove il suo candidato presidente si chiama Saverio Galluzzo.
Già perchè neanche gli altri due grandi partiti, il Pd e la Lega Nord, sono rimasti fuori dall’inchiesta sulle spese di rappresentanza, condotta dal pm Federico Frezza.
Tra i democratici c’è chi ha presentato gli scontrini di pranzi e cene o acquisti in gioiellerie ed enoteche.
I quattro consiglieri Pd (uno passato al gruppo misto) indagati non sono stati però riconfermati.
La candidata presidente del centrosinistra, Debora Serracchiani, era stata chiara: “la nostra comunità non deve subire le conseguenze del comportamento inqualificabile di un gruppo di consiglieri che non hanno saputo onorare la loro carica”, aveva detto nelle scorse settimane.
Ad essere silurati anche esponenti del Carroccio, come i consiglieri Enore Picco, che avrebbe messo a rimborso addirittura le ricevute di un’armeria, e Federico Razzini (le sedute dal barbiere).
Su di loro si era espresso direttamente il segretario federale, Roberto Maroni: “Visto quel che è successo, meglio un cambiamento totale”.
La “linea dura” della Lega ha risparmiato però alcuni consiglieri uscenti come Claudio Violino e Mara Piccin (entrambi ricandidati).
Vero, al momento non indagati, tuttavia c’è chi, anche all’interno dello stesso partito, solleva sospetti su di loro.
Visto che, a parte quelle di Razzini e Picco, le spese allegre del gruppo consiliare leghista sono tutte anonime.
Nel carroccio a correre nuovamente alle regionali, nonostante le sue beghe giudiziarie (di tutt’altro genere), ci sarà infine anche Federica Seganti.
L’attuale assessore regionale alle Attività produttive — l’unica su cui non ricade alcun sospetto per l’affaire rimborsi, dal momento che non poteva accedere ai fondi del gruppo — è infatti indagata per abuso d’ufficio, con l’accusa di aver affidato all’emittente Rtl 102,5, senza alcuna gara, una campagna radiofonica per la promozione del turismo in Friuli.
Costo dell’operazione: circa 400mila euro.
Gabriele Paglino
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 25th, 2013 Riccardo Fucile
CONVERTITO NEL 2008, ORA CRITICA RATZINGER PER AVER PREGATO CON I MUSULMANI E SI SCAGLIA CONTRO LA “PAPALATRIA” PER BERTOGLIO
“La mia conversione al cattolicesimo la considero conclusa”. 
Lo dichiara Magdi Cristiano Allam dalle pagine del “Giornale” spiegando che si tratta di “una scelta maturata anche di fronte alla realtà di due Papi”, ma ciò che “più di ogni altro fattore mi ha allontanato dalla Chiesa – spiega – è la legittimazione dell’islam come vera religione, di Allah come vero Dio, di Maometto come vero profeta, del Corano come testo sacro, delle moschee come luogo di culto”.
Magdi Cristiano Allam aveva formalizzato la sua conversione al cattolicesimo nel 2008.
Durante la veglia pasquale aveva ricevuto battesimo, cresima ed eucaristia in San Pietro direttamente dalle mani di papa Benedetto XVI.
Ma ora le sue critiche coinvolgono anche Ratzinger.
L’ex giornalista, ora parlamentare europeo, se la prende con la “Papalatria che ha infiammato l’euforia per Francesco I e ha rapidamente archiviato Benedetto XVI”.
Ma quella è stata solo “la goccia che ha fatto traboccare il vaso”, spiega.
“È una autentica follia suicida il fatto che Giovanni Paolo II si spinse fino a baciare il Corano il 14 maggio 1999, che Benedet to XVI pose la mano sul Corano pregando in direzione della Mecca all’interno della Mo schea Blu di Istanbul il 30 no vembre 2006, mentre France sco I ha esordito esaltando i mu sulmani “che adorano Dio uni co, vivente e misericordioso”.
“Sono invece convinto – aggiunge – che l’islam sia un’ideologia intrinsecamente violenta così come è stata storicamente conflittuale al suo interno e bellicosa al suo esterno. Ancor più sono convinto che l’Europa finirà per essere sottomessa all’islam, così come è già accaduto a partire dal Settimo secolo”, “se non avrà la lucidità e il coraggio di denunciare l’incompatibilità dell’Islam con la nostra civilità e i diritti fondamentali della persona, se non metterà al bando il Corano per apologia dell’odio”.
“Continuerò – conclude Magdi Cristiano Allam – a credere nel Gesù che ho sempre amato e a identificarmi orgogliosamente con il cristianesimo come la civiltà che più di altre avvicina l’uomo al Dio che ha scelto di diventare uomo”.
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Marzo 25th, 2013 Riccardo Fucile
UN GRUPPO DI PARLAMENTARI PORRA’ IL TEMA DOMANI IN ASSEMBLEA
Succederà già martedì, quando saranno di nuovo tutti a Roma.
Alla Camera e al Senato, i parlamentari del Movimento 5 stelle si riuniranno per parlare dei prossimi passi.
Tra questi, le “consultazioni” con il premier incaricato Pier Luigi Bersani. È a quel punto, che se le cose non dovessero andare in un altro senso — e cioè verso un accordo Pd-Pdl — alcuni di loro si alzeranno in piedi e diranno: «Parliamone».
Non è così granitica, la pattuglia grillina in Parlamento.
Non è così convinta che la linea del «no a tutto» porti a qualcosa di buono.
«Se è solo per dire no — si sfoga un senatore — non vale neanche la pena venir qui. Basta registrare un messaggio in segreteria».
Li agita stare con le mani in mano. Li muove la paura che sia tutto inutile, che si sia arrivati fin qui e “pouf”, tutto rischi di svanire senza aver portato a casa nulla di buono.
Non sono molti, ma il loro ragionamento comincia a fare breccia. Così come su Internet cominciano a girare gli articoli di chi chiede di fare un passo avanti, verso un governo e verso il Pd.
Gli attivisti li linkano. Scrivono: «Quel che è giusto è giusto».
Inondano il blog di frasi come quella di Michele S: «Sarei favorevole all’idea di Bersani tenuto per le p… piuttosto che altri 5 anni di nulla».
«Ho votato Grasso», confida il senatore “dissidente”. «Non sono siciliano nè campano, non è questo il punto. Penso che dobbiamo fare lo sforzo di aprirci. Non si può andare al Colle con i punti del programma. Le regole della Costituzione non sono quelle del Movimento: dovevamo portare un nome. Lo stesso con Bersani. Dovremmo dirgli: “Il governo lo fai con questi qui”».
Il ragionamento è semplice: «Andiamo in giro a vantarci dei risultati in Sicilia, ma se per fare partire la giunta Crocetta fosse servito un voto di fiducia, non avremmo combinato nulla».
Uscire dall’aula, trovare il modo di far partire un governo con cui trattare alcuni punti, è su questo che il gruppo sarà chiamato a riflettere.
Voterete? «Votiamo anche per sederci, spero proprio che si voglia discuterne. Non ha senso tornare a elezioni, buttare 400 milioni di euro senza dare nessuna risposta». Quanti siete? «Al Senato credo di più, rispetto alla Camera c’è una differenza su base anagrafica».
Tradotto: ci sono persone più mature e meno spaventate dalla rigidità della linea Grillo-Casaleggio.
E però, anche tra i deputati qualcosa si muove.
Racconta uno di loro: «Spero proprio si possa riuscire a parlarne. È vero che un’eventuale fiducia potrebbe essere interpretata come una violazione del patto con gli elettori, ma un accordo su punti programmatici chiari forse no. L’urgenza ora è fare gli interessi degli italiani. Il Movimento deve compiere scelte mature, e in fretta. Potremmo mettere il Pd in un angolo, con un’intesa su più punti, con un calendario preciso. Se non li rispettano, li facciamo cadere. Ma non avremmo perso il nostro appuntamento con la storia».
Pare di leggere il blog. Tra i commenti di ieri, c’è Marco Pizzale: «Berlusconi vuole andare alle elezioni, sarebbe il caso di non imitarlo, conviene più che altro un governo stile Crocetta».
O Enea Lirici: «L’unico modo per tenere il Movimento unito e coerente con i valori che abbiamo difeso fino a oggi è il sostegno esterno momentaneo e condizionato al governo pd. Ogni altra scelta è uno sbilanciamento a favore di Berlusconi».
Sabrina di Pisa: «Questo movimento ha la forza per poter innescare un cambiamento, basterebbe un po’ di coraggio».
E Vincenzo Adamo: «La manifestazione no Tav è riuscita, ma è più che riuscita anche quella a piazza del Popolo. Mi chiedo se è conveniente permettere che con l’inciucio Pd-Pdl Berlusconi torni in auge».
I portatori di dubbi sono tanti. Aumentano ogni giorno.
Grillo potrebbe decidere di ascoltarli, o fare come ha fatto a Roma dopo le consultazioni al Quirinale: sgommare via con gli occhiali scuri, tifando per le macerie.
Annalisa Cuzzocrea
(da “La Repubblica”)
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Marzo 25th, 2013 Riccardo Fucile
LARGHE INTESE O URNE… BRUNETTA GIA’ COMMISSARIATO
«Noi abbiamo bisogno di siglare un accordo complessivo. Altrimenti è meglio votare a giugno, così
impediamo a Renzi di correre».
Prima di volare in Sardegna per una domenica dedicata a Francesca Pascale, Silvio Berlusconi ha lasciato alcune mirate consegne agli ambasciatori più fidati.
Preso atto del muro eretto dal leader dei democratici, il Cavaliere ha chiesto ai pontieri di rafforzare i canali di comunicazione con l’ala trattativista del Pd.
Quelli che da giorni si spendono per le larghe intese: «Penso che Bersani non ce la farà . Non ha più in mano il partito. Ci serve un interlocutore credibile ».
Berlusconi sogna un “accordone” che tenga assieme governo e Colle.
E’ pronto a siglarlo con Bersani, come dimostrano i segnali di fumo lanciati da Renato Brunetta: «Metta da parte l’ascia da guerra ».
Ma raccoglie per ora solo proposte al ribasso: «Ci chiedono di uscire dall’Aula. O di prestargli la Lega…».
Per questo è pronto, archiviato Bersani, a inseguire il patto anche con l’ala dialogante dei democratici.
La speranza è alimentata dai report di Denis Verdini, Gianni Letta e Angelino Alfano. Il primo racconta dei ragionamenti con Sposetti, il secondo vanta un filo diretto con il Colle, il terzo non risparmia telefonate a Enrico Letta.
Berlusconi raccoglie i resoconti, poi pronuncia velenosamente la sentenza: «Nel Pd tutti giurano che dopo Bersani ci sarà spazio per lavorare insieme».
Ma se l’“accordone” evaporasse, non rimarrebbe altra strada che il voto anticipato più veloce della storia repubblicana: «Renzi salterebbe un altro giro. Meglio per noi, perchè a giugno vinciamo».
La pausa di villa Certosa prelude a una settimana di fuoco.
Già oggi il Cavaliere è atteso a Montecitorio, per incontrare i gruppi parlamentari e reclamare l’ennesimo legittimo impedimento nel processo Ruby.
Alle truppe pidielline — ancora impressionate dal successo della manifestazione di piazza del Popolo — Berlusconi detterà la linea in vista dei colloqui con i democratici, fissati per martedì: «Noi siamo responsabili e siamo pronti alle larghe intese. Ma con pari dignità ».
E’ una battaglia giocata sui nervi. E sui nomi.
Quelli per un eventuale governissimo. Magari affidato a Piero Grasso, che secondo il quartier generale azzurro il Colle avrebbe “preservato”, evitandogli il primo incarico. E quelli per il Quirinale.
Il leader del Pdl da almeno un decennio propone Gianni Letta, ma sa che mai glielo concederanno. Prova a giocare la carta di Lamberto Dini, anche se con poche chance di successo.
E continua nel pressing su Giorgio Napolitano, puntando a ottenere un suo bis.
Per dar forza alla pretesa, Angelino Alfano brandisce anche la piazza riempita sabato nella Capitale: «Rappresentiamo una grande parte del Paese, non possono fare a meno di noi, non si può fare a meno di noi».
Mentre gli ambasciatori cercano di tessere la trama del Capo, il gruppo Pdl di Montecitorio assomiglia sempre più ad una polveriera.
La nomina di Renato Brunetta, imposta da Silvio Berlusconi e sancita per acclamazione, ha lasciato un’infinita scia di veleni.
Per sedare le tensioni si è infine stabilito di commissariare il capogruppo, affiancandogli come vicecapogruppo vicario Maria Stella Gelmini.
Un ruolo previsto dal regolamento, ma pensato soprattutto per imbrigliare il vulcanico berlusconiano.
L’ex ministro dell’Istruzione godrà anche della delega al personale e il compromesso servirà ad allontanare lo spettro di una resa dei conti con il capogruppo veneziano. Difficile, ma non impossibile, visto che alcuni parlamentari hanno addirittura ipotizzato una raccolta di firme per sfiduciare il nuovo Presidente del gruppo.
Per preparare la riunione dei deputati, Verdini, Alfano e Cicchitto si sono dati appuntamento stamattina. In gran segreto e senza Brunetta.
C’è da mettere la testa anche sulla grana scoppiata dopo l’azzeramento del personale Pdl della Camera e sulle tensioni interne scatenate dalla bocciatura di Laura Ravetto e Raffaele Calabrò, candidati a segretari d’Aula e abbattuti da fuoco amico.
Si annunciano scintille.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Marzo 25th, 2013 Riccardo Fucile
MARINI E MATTARELLA IN POLE…MA NEL PDL SPUNTA DINI
Un sottile filo bianco che porta ai nomi di Franco Marini, Sergio Mattarella e Pierluigi Castagnetti.
Eccola la squadra a tre punte sulla quale il segretario dei Democrat e i suoi «ambasciatori» si stanno spendendo nelle trattative assai riservate che vanno avanti sotto il manto delle consultazioni ufficiali.
Le due partite del resto si intersecano, impensabile chiudere quella per Palazzo Chigi tenendo fuori il Colle.
E lo schema di gioco non può prescindere da un accordo di massima con Berlusconi e i suoi, ma anche con Maroni e la Lega.
Con l’obiettivo di strappare la loro «non sfiducia», la mancata partecipazione al voto che consenta a Bersani di strapparla, quella benedetta fiducia al Senato, e salpare. Ipotesi che ancora in queste ore, a sentire dirigenti di prima fascia Pdl come Maurizio Lupi o Mariastella Gelmini, non vengono prese nemmeno in considerazione dal Pdl.
In casa democratica sono convinti invece che sulla tattica del Cavaliere «pronto alle urne» prevarrà il suo istinto di sopravvivenza, la voglia di non essere tagliato fuori dai giochi che contano.
Il premier incaricato Bersani va ripetendo ai suoi che con la bandierina Pd a Palazzo Chigi e i presidenti delle Camere espressione del centrosinistra, non potrà non trattare sul Colle con l’emisfero destro delle Camere.
E offre perciò una terna.
Tutta di illustri “ex”, ai quali i grillini potranno opporre come al solito la clausola generazionale, ma tenendo pur conto – è il ragionamento – che la soglia del Quirinale la si varca solo se si sono compiuti i 50 anni e con qualche gallone sulle spalle.
Franco Marini è stato presidente del Senato, figura di moderato e, come dicono anche dal Pdl, «di buon senso».
Quando nel 2008 venne incaricato dopo le dimissioni di Prodi, non si accanì oltre e gettò la spugna aprendo la strada verso il voto.
E ancor più apprezzata perchè il 26 luglio del ’90, in occasione dell’approvazione della legge Mammì ad opera del sesto governo Andreotti, nella spaccatura che seguì nella Dc, Marini si schierò col presidente del Consiglio e non con gli «indignati».
Su di lui pesa forse la mancata rielezione alle ultime Politiche.
Proprio quel lontano trascorso della Mammì è invece l’handicap, visto da destra, che grava sul secondo petalo della rosa bersaniana, Sergio Mattarella: giudice costituzionale, è stato ex ministro, nonchè padre della legge elettorale post Tangentopoli.
Ma nel luglio del ’90 lui è uno dei ministri diccì che ha preferito dimettersi piuttosto che approvare la norma che spalancava l’etere alle tv del Biscione.
Berlusconi, raccontano, non gliel’ha mai perdonata.
E infine Pierluigi Castagnetti. Ha fatto un passo indietro, non si è ricandidato, ex segretario del Ppi, vicepresidente della Camera nella passata legislatura, un cattolico con ottimi e longevi rapporti con le gerarchie vaticane.
Per non dire del gradimento di Matteo Renzi, che in questa fase conta non poco.
Fin qui l’offerta della trattativa sottotraccia.
Se Berlusconi e Maroni dovessero rigettarla, si aprirebbe tutta un’altra partita.
In Largo del Nazareno ragionano in queste ore anche dell’eventuale ipotesi “B” che in realtà implica due strade distinte.
La prima conduce su un sentiero “istituzionale”. E porterebbe i democratici a giocare la carta Pietro Grasso, attuale presidente del Senato, che ha già ottenuto il consenso (e il voto) di una parte del M5s.
Ma potrebbe avere la stessa veste super partes e perseguire le medesime finalità il nome di Emma Bonino, già commissario europeo, ex vicepresidente del Senato, madre di tante battaglie sul fronte dei diritti civili, matrice in tal caso spiccatamente laica.
In alternativa all’opzione “istituzionale” viene tenuta invece in serbo – e com’è ovvio sponsorizzata ancora da Scelta civica – la pedina Mario Monti, sebbene parecchio segnata dalla campagna elettorale.
Silvio Berlusconi non ci sta tuttavia a giocare di rimessa. Lo ripeterà anche oggi ai parlamentari convocati d’urgenza alla Camera.
Il Pdl, sulla carta, avrebbe una sua rosa. Il Cavaliere insisterà ancora pro forma sulla conferma di Napolitano, nonostante l’ultima chiusura di ieri.
Nè l’ex premier spera realmente che Gianni Letta possa spuntarla: nessun candidato Pdl viene considerato «potabile» dal centrosinistra.
Il nome di Franco Marini è stato fatto sabato a Palazzo Grazioli, nei conciliaboli seguiti alla manifestazione di Piazza del Popolo.
Come pure, a sorpresa, quello di Lamberto Dini, altro ex a suo modo «trasversale». Sarebbe pure gradito al capo ma scarsamente giustificabile al suo elettorato il voto per Luciano Violante.
Sullo sfondo, restano le nebbie dell’eventuale impasse. Se il gioco dei veti incrociati dovesse paralizzare la scacchiera, lo sbocco potrebbe essere un nome esterno alla politica.
Espressioni della società civile, outsider ma di assoluto prestigio come il giurista Gustavo Zagrebelsky, l’ex garante per la Privacy Stefano Rodotà , l’ex presidente del Cnel e attuale del Censis, Giuseppe De Rita.
Pedine sulle quali, proprio per la loro natura, i Cinque stelle potrebbero alla fine convergere.
Il 15 aprile in teoria si va in aula per votare, ma le regionali in Friuli del 21 aprile costringeranno allo slittamento a fine mese, dieci giorni di tempo per le tre minoranze finora disaccordi su tutto.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
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Marzo 25th, 2013 Riccardo Fucile
IL CORRIERE SCARICA MONTI: IL CENTRO NON SERVE PIU’ A NULLA, SCALFARI RASSEGNATO. IL GIORNALE PRONTO AL VOTO
La speranza è l’ultima a morire per i tifosi dell’inciucio, quelli che non si rassegnano all’impossibilità di
prorogare l’esperienza della “strana maggioranza trasversale”.
Il Corriere della Sera spinge da giorni perchè Pd e Pdl trovino un compromesso, possibilmente con un premier tecnico.
Ernesto Galli della Loggia, di recente convertito sulla via del grillismo, quando c’era l’ipotesi di un sostegno esterno del M5S al Pd, dedica la prima pagina a seppellire Mario Monti (ormai non più necessario a un progetto trasversale Pd-Pdl): “Non vorrei apparire ingeneroso verso Mario Monti e i suoi ministri, impegnatisi in un compito certo non facile. Sta di fatto però che per oltre un anno tutti hanno potuto vedere come essi non siano riusciti in alcun modo ad accompagnare all’adozione di provvedimenti tecnici indispensabili, tecnicamente obbligati, l’idea che tali provvedimenti dovessero poi anche essere «venduti» politicamente ai cittadini (e perciò, ad esempio, comprendere forti indicazioni di equità sociale). Invece la democrazia — cioè il regime del suffragio universale e dell’«uomo della strada» — è precisamente questo: e lo è tanto più quando i tempi sono difficili e ai cittadini si chiedono sacrifici non indifferenti”.
Secondo Galli della Loggia, quindi, il centro “ha mantenuto sì la propria rispettabilità , ma al prezzo non proprio insignificante di diventare un attore politico di terz’ordine”.
E se il centro è un fallimento totale, l’unico modo per creare un governo è quello di alleare destra e sinistra.
Ci pensa infatti Antonio Polito, sempre sul Corriere, a completare il ragionamento di Della Loggia: “Un sentiero più largo per Bersani, accettare il dialogo con la destra”.
Polito vuole un accordo esplicito, chiedendo un sostegno esterno al Pdl sul modello della non sfiducia del Pci al governo Andreotti nel 1976, approfittandone anche per una riforma istituzionale profonda “che renda l’Italia governabile”.
Si tratta del “Santo Graal della politica” e pazienza se per ottenere questo tesoro bisognerà abbandonare la linea dura sul conflitto di interesse, “rinunciando alla puerile idea dei far fuori l’avversario appena eletto per la sesta volta cacciandolo ope legis dal Parlamento”.
Eugenio Scalfari, su Repubblica, non si rassegna all’ipotesi che Pier Luigi Bersani possa dover fare un passo indietro.
Il giornale diretto da Ezio Mauro continua a sostenere il Pd e, pur tenendo una linea molto dura su Silvio Berlusconi e la sua ultima offensiva giudiziaria, pare disposto ad accettare qualche compromesso.
Scalfari osserva che “gli interlocutori di Bersani per realizzare la prima tappa del suo faticoso percorso sono il movimento montiano di Scelta civica ed anche — per alcuni specifici punti — il MoVimento 5 Stelle. Le modifiche istituzionali e costituzionali includono anche il Pdl e la Lega e comprendono al primo posto una nuova legge elettorale”.
Andare a nuove elezioni, sostiene Scalfari, sarebbe disastroso “per la nostra economia e la nostra credibilità internazionale”.
Come dire: per evitare il peggio, si può anche arrivare a un compromesso con il Pdl e la Lega, se Beppe Grillo proprio non vuole collaborare.
Sul Messaggero il giurista Pier Alberto Capotosti, molto vicino al Quirinale, nel suo editoriale domenicale spiega che Bersani “sa dunque che per risolvere il problema del governo deve avere opportuni contatti con tutte le altre forze politiche e con i soggetti rappresentativi della realtà socio-economica del Paese. E su questa strada si è già messo al lavoro”.
La formula di Capotosti è chiara: appoggio esterno del Pdl a un governo Bersani “senza cioè entrare nella struttura di governo, ma solo discutendo nelle aule parlamentari i singoli provvedimenti. Non si tratta quindi di larghe intese, ma solo di una sorta di mini-intesa sulle linee programmatiche del governo”.
La prova che questi ragionamenti non siano solo auspici di autorevoli editorialisti domenicali sta nel titolo di prima pagina della Padania, il quotidiano della Lega Nord: “Fiducia soltanto a chi difende il Nord”.
Nel dettaglio: “Il tempo è scaduto: qualsiasi nuovo governo dovrà necessariamente sbloccare il patto di stabilità e permettere agli enti locali virtuosi di pagare le aziende fornitrici. Altrimenti sarà la morte dell’economia”.
Logico corollario: se Bersani offre alla Lega questo punto programmatico considerato dirimente, potrebbe anche ottenere il sostegno (diretto o sotto forma di non sfiducia) da parte del Carroccio che, dopo aver conquistato tutta la Macro Regione del Nord, ora ha soltanto l’obiettivo pragmatico di far affluire quante più risorse possibili sull’asse Milano-Torino-Venezia
Il problema è che sul Giornale, affidabile termometro della temperatura nel Pdl, non si trovano grandi tracce di ottimismo sulla collaborazione con Bersani.
Il titolone di apertura è “Voglia di voto”, mentre a Berlusconi viene attribuita la seguente linea: “Indecente la proposta di collaborare alle riforme mentre fanno il governo da soli”.
Giuliano Ferrara, nella sua invettiva della domenica, chiarisce qual è il punto: Bersani deve rompere ogni legame con “quattro mentecatti che vorrebbero dichiarare ineleggibile il principale uomo politico italiano degli ultimi vent’ani, i micromeghisti che passeggiano in piazza Santi Apostoli”.
Prima di iniziate ogni dialogo con il Pdl, il Pd deve rinunciare a ogni ipotesi di legge sul conflitto di interessi, non votare l’ineleggibilità di Berlusconi (men che meno il suo eventuale arresto, casomai una Procura lo richiedesse).
E poi, forse, si può iniziare a discutere, magari consegnando il Quirinale a un uomo non sgradito alla destra.
Stefano Feltri
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Marzo 25th, 2013 Riccardo Fucile
SOTTO IL PALCO DI SILVIO, TRA I FIGURANTI ARRIVATI IN PULLMAN
Il look di Eleonora, sessant’anni o giù di lì, è quello delle trasmissioni del pomeriggio: golfini maculati, stivali sfrangiati da squaw, capelli cotonati biondo platino.
È il look di una figurante, ovvero delle persone che riempiono gli studi di programmi Rai e Mediaset.
E che si è trovata a piazza del Popolo in uno spettacolo a suo modo speciale. Starring: Silvio Berlusconi.
Ce ne sono tanti come lei all’una davanti al teatro Brancaccio di Roma.
Gente del mestiere, che si saluta con affabilità e risponde prontamente agli ordini di Armando, il capo claque.
Probabilmente contattato nei giorni in cui non era chiaro che in tanti avrebbero risposto all’appello del Cavaliere.
Armando, in total black e cravatta rossa lucida, invece, lavora per “Abavideo provini tv”, società che fa casting per film e pubblicità , e sceglie anche il pubblico per trasmissioni tv.
Venire arruolati come fan a pagamento di Berlusconi non è difficile.
Certo, non si diventa ricchi: 10 euro la paga per restare un paio d’ore davanti al palco.
«Una miseria», si lascia scappare uno dei figuranti, «ma ho una pensione da schifo e devo arrotondare».
Armando ha una lista con le presenze dentro una cartellina col logo del programma “Così è la vita”. Ma basta dire «un’amica mi ha detto di venire al posto suo perchè sta male», che subito lui ti accoglie a braccia aperte.
Prende nome e cognome e via, «Sei dei nostri».
Il lavoro da fare è semplice. «Hai mai partecipato a un programma? – chiede il capo claque – No? Vabbè, non ti preoccupare, oggi stai un po’ lì in piazza in mezzo alla gente e poi te ne vai. Ma se hai voglia in futuro di partecipare a dei provini, cerca il sito e iscriviti».
Lui, il “reclutatore”, da Silvio non viene: «Non ci penso nemmeno».
E quando il pullman arriva, saluta il “gruppo vacanze Piemonte” con un elegantissimo «Mi raccomando, non pomiciate!».
Sul bus l’atmosfera è quella delle gite di scuola ai tempi delle medie, anche se la comitiva è un po’ agèe. Una signora con i capelli rossi si mette il rossetto.
«Attenzione che Berlusconi è sensibile alle donne», le fa il passeggero seduto al suo fianco. Risposta: «Vorrà dire che lo bacerò in bocca, chiaramente, dietro lauto compenso».
Ilarità generale, commenti salaci. «Attenta però che quello c’ha la dentiera», grida uno dagli ultimi posti.
Del resto, si sa, in fondo al pullman si siedono sempre quelli più indisciplinati. Nessuno però canta, come accade in ogni gita che si rispetti. E quando arriva la proposta «Ora tutti insieme intoniamo “E Silvio c’è”», si ride di nuovo.
Mancano dieci minuti alle tre. Il pullman, che si è unito ad altri tre bus al Circo Massimo con 150 persone a bordo raccolte a Testaccio, Tiburtina e piazza Bologna, scarica l’allegra brigata a un chilometro da piazzale Flaminio.
«Ma che sono matti? C’è un sacco di strada da fare», grida una donna con le caviglie già gonfie. Qualcuno si mette ad aspettare l’autobus. «A furbi, non tornate a casa».
Gli altri, accompagnati da un tutor in tuta azzurra della nazionale di calcio, conduce tutti a piazza del Popolo.
Berlusconi ancora non c’è. La piazza è già gremita.
E sulle note di “Azzurro” di Celentano stavolta anche le comparse cominciano a cantare.
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