Luglio 7th, 2013 Riccardo Fucile
MA ORA LA NUOVA COSA AZZURRA SARA’ BASATA ESCLUSIVAMENTE SULL’AUTOFINANZIAMENTO…. IL CAVALIERE HA PAGATO DI TASCA SUA 2,8 MILIONI DI EURO PER LA MANIFESTAZIONE IN PIAZZA DEL POPOLO
Ci sono 102 milioni di buone ragioni per cui Silvio Berlusconi ha bisogno di capitali freschi per mantenere in vita Forza Italia e rilanciarla.
I 102 milioni sono euro (per la precisione ammontano a 102.720.617) e si tratta delle fidejussioni personali che ha rilasciato per tutelare di fronte alle banche e ai creditori il partito fondato nel ’94.
Da oltre quattro anni il movimento azzurro non esiste più (nel 2009 si è fuso con An per dar vita al Pdl), ma il Cavaliere continua a pagarne i debiti: 75 milioni di euro solo per il 2012, ben 20 in più rispetto all’anno precedente come conseguenza del dimezzamento dei rimborsi elettorali.
Spulciando l’ultimo rendiconto, in possesso dell’Adnkronos, si scopre che Fi ha chiuso il bilancio con un rosso di 25,525 mila 232 euro e un disavanzo patrimoniale complessivo di 67milioni 937mila 788 euro.
Visto il peso delle sofferenze, l’ex premier ha dovuto firmare nel febbraio 2013 un assegno da 15 milioni di euro per estinguere un vecchio debito azzurro da 14 milioni 807mila 342 euro nei confronti del Pdl.
L’eccessiva esposizione, raccontano, avrebbe convinto il Cav a lanciare una ‘nuova cosa azzurra’ basata esclusivamente sull’autofinanziamento (attraverso la tecnica del fund raising), affidando a imprenditori di razza il controllo del territorio.
Un modo per contenere i costi di gestione e ricostruire un rapporto diretto con i militanti e gli elettori, sfruttando al massimo le potenzialità di manager dotati di grande esperienza sul campo.
Il progetto prevede anche una struttura organizzativa ridotta all’osso con pochi responsabili di settore e un solo coordinatore (in pole c’è sempre Daniela Santanchè, specialmente qualora non dovesse essere nominata vicepresidente della Camera).
Il progetto di rilancio di Fi ancora non è partito e per ora resta sul tavolo di palazzo Grazioli, per le forti resistenze interne.
Anche se i falchi scommettono su tempi brevi, bisognerà aspettare settembre per parlare di ‘rivoluzione azzurra’.
In privato Berlusconi va ripetendo che resta molto forte la tentazione di lanciare una ‘nuova cosa azzurra’ per usarla come arma elettorale in caso di rottura con il governo Letta.
Ma nei fatti prende tempo, perchè non ci sarebbero ancora le condizioni politiche. Molto, assicurano dalle parti di via dell’Umiltà , dipenderà dagli sviluppi delle vicende processuali del Cav.
Analizzando le singole poste del rendiconto del movimento di Fi, spicca l’aumento di 27milioni 178mila 917 euro dei “debiti complessivi” rispetto all’anno passato. “Questo effetto — scrive l’unico tesoriere, il senatore Sandro Bondi — è stato provocato dall’incremento dell’esposizione finanziaria per complessivi 12 milioni 398mila 347 euro e dall’iscrizione del debito verso il Pdl per 14 milioni 807 mila 342 euro”, poi estinto dal Cav con l’assegno personale di 15milioni di euro.
I costi ‘per servizi’ ammontano a 1milione 084 mila 625 euro e sono così ripartiti: 346mila 705 euro di spese per collaborazioni e consulenze e 168mila 157 euro per le utenze telefoniche. In particolare, 147mila 226 euro sono stati pagati per servizi di produzione e postproduzione audiovideo e 60mila 626 euro per internet.
Al 31 dicembre Fi non detiene partecipazioni, nè tramite società fiduciarie, nè per interposta persona, in società editrici di giornali o periodici.
Restano, però, a carico del movimento azzurro anche i costi della Tv della Libertà , fortemente voluta da Michela Brambilla nel 2008 quando era leader dei Circoli della libertà , che lo scorso anno ha sospeso le trasmissioni.
“Nel 2008 Fi ha acquistato la totalità delle quote dell’impresa ‘La Tv della Liberta’ srl con socio unico, società che gestisce la televisione omonima in onda con le proprie trasmissioni sul canale satellitare 897 di Sky — scrive il tesoriere e commissario straordinario Bondi nella relazione gestionale — il valore nominale delle quote possedute è di 100.000, pari all’intero capitale sociale”.
Nel corso del 2012 e fino al 31 ottobre, informa Bondi,“la società ha proseguito le sue programmazioni sostanzialmente indirizzate alla divulgazione delle informazioni e dei filmati relativi all’attività istituzionale del presidente Berlusconi e del governo da lui presieduto.
Successivamente — prosegue il senatore — la società ha sospeso le trasmissioni in attesa della definizione di nuove strategie di comunicazione che il nostro movimento andrà nei prossimi tempi a indicare”.
Conti alla mano, nell’ultimo anno Berlusconi si è proprio svenato.
Sulle sue spalle gravano anche le casse pidielline: ad aprile ha dovuto sborsare “a titolo di prestito infruttifero con scadenza 30 aprile 2014” 2,8 milioni di euro per finanziare la manifestazione nazionale organizzata dal Pdl il 23 marzo in piazza del Popolo a Roma contro ‘l’oppressione fiscale, burocratica e giudiziaria’.
E ha dovuto aumentare le fidejussioni personali anche nei confronti del Popolo della libertà , portandole da 4 a 14,8 milioni di euro.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 7th, 2013 Riccardo Fucile
BARRIERE ARCHITETTONICHE, BAGNI MALEODORANTI, CANTIERI APERTI E POCHE INDICAZIONI….ECCO CHI CI GUADAGNA E COSA C’E’ DIETRO LA MALAGESTIONE DELL’AREA ARCHEOLOGICA DI ROMA
A’ centuriò! Percorrere la via dei Fori Imperiali significa entrare nel ventre di Roma. 
Qui la città si espone, la romanità si offre generosa al mondo intero.
Ab Urbe condita, diceva Tito Livio: la fondazione della città è messa in scena ogni giorno, con questi energumeni che ti accolgono sorridenti pronti a brandire le loro spade lucenti e mimare duelli cruenti, a favore di macchina fotografica e qualche euro.
Fingersi turista fra giapponesi, inglesi, cinesi e tanti altri espone al rischio dei centurioni molesti: prima ancora d’arrivare al piazzale lastricato di fronte al Colosseo vengo investito dalla commedia che recitano ogni giorno.
Legionari o meno, tutti abbronzatissimi, sfoggiano un fascino che non hanno, cercano di sedurti con movenze eroiche e quel linguaggio, grottesco e perciò anche divertente, d’un inglese maccheronico.
“Could you take a photo of me wearing your cucullus”?, aveva chiesto uno di questi alla moglie di un amico qualche tempo fa.
Sapessero i turisti che sono quasi tutti (“tutti”, assicurano i carabinieri lì vicino) pregiudicati. Vabbè. Scartati i centurioni arrivo finalmente in fila per entrare a visitare il simbolo di Roma, il monumento più visitato d’Italia, la memoria di pietra più nota del nostro Bel Paese
MOSTRE TUTTO L’ANNO
La fila c’è già alle 8,30 del mattino, all’apertura. Biglietto: 12 euro.
Chissà perchè, ricordavo meno. Non venivo da tempo, mi sembrava costasse 9 euro.
Controllo online (impulso compulsivo da smartphone) e in effetti ricordavo bene. Costava 9 euro ma poi c’è la mostra “accessoria”, diciamo così, che costa 3 euro.
Non è finita qui: da qualche anno infatti sono stati riaperti gli ipogei e il secondo anello superiore. Restaurati con i soldi pubblici, va da sè.
Ma per chi volesse vedere questi splendori romani dovrà affidarsi a una visita guidata, perchè questi ambienti sono percorribili soltanto in gruppo e accompagnati. Prezzo: dai 6 ai 9 euro, a seconda del tipo di visita.
Beh, bene, a giudicare dalla folla festante e sudaticcia che mi sta vicino penso a quanti soldi fa la Sovrintendenza di Roma (che ha uno statuto speciale e quindi amministra le entrate dei propri siti in maniera autonoma).
Chiedo allora al custode, gentile, che accompagna la visita.
Dice che da primavera ad autunno le visite vanno a gruppi di 20, 25 persone, e ne partono più o meno una ogni mezzora.
Insomma, un bel bottino in più rispetto a quanto incassa soltanto di ingressi. Chiedo perciò sempre al custode se i 3 euro che ho pagato in più per la mostra allestita all’interno del Colosseo (per la cronaca, si tratta di “Costantino 313 d. C.” che celebra l’anniversario dell’Editto di tolleranza promulgato dall’imperatore) sono un evento eccezionale: “Maddechè! Qua fanno una mostra dopo l’altra. E il turista non lo sa, tanto non può scegliere, quando fa il biglietto gli caricano i 3 euro in più. Potrebbero anche fa ‘na mostra de pentole qua dentro! ”. Dopo la visita agli ipogei e all’anello superiore torno sotto.
Voglio capire meglio questa cosa del biglietto. Chiedo a un altro custode.
Si guarda intorno, quasi furtivo, poi mi spiega che un concessionario privato che ha in gestione la biglietteria prende il 15% del biglietto normale (9 euro), il 70% della maggiorazione per la mostra (3 euro) e l’intera somma delle visite guidate (6 o 9 euro).
Perchè? “La Sovrintendenza dice che non ha personale, quindi ha fatto una gara d’appalto e i soldi, o almeno una parte dei soldi, se li prendono loro”.
Ah, però
IL MEGAFONO E LA SEDIA A ROTELLE
A un certo punto mi chiedo: e se un disabile volesse entrare?
In effetti ci sono due ascensori. “Hanno creato grossi problemi all’inizio, mancava l’aria condizionata e si sono bloccati diverse volte con decine di turisti dentro: pensi che abbiamo dovuto chiamare i vigili del fuoco”, mi dice una custode.
Comunque, hanno risolto il problema e ora funzionano.
Con quelli un disabile arriva al primo piano. Al secondo piano non ha possibilità di salire, ma la struttura è tale che le barriere architettoniche non sono eliminabili.
Chiedo al piano terra se c’è un percorso per la sedia a rotelle. Dicono che c’è una passerella che si affaccia sul-l’arena centrale. Ci vado ma non la trovo. Torno indietro e insisto.
Il custode mi accompagna. Ci sono due rampe di scale e, quasi in mezzo, una piccola rampa che serve da affaccio. È strapiena di turisti e di sedie a rotelle manco l’ombra.
“Che le devo dì? Lì ci vanno i turisti per far le foto”.
Mi avvicino: è stretta e affollatissima. Un’orda di tedeschi che guarda la romanità antica dal mirino mi precede.
Ma se arrivasse ora un disabile in sedia a rotelle?
Giro la domanda al custode: “Quando arriva ci avvisano col megafono e cerchiamo di far scansare quelli che stanno a far le foto”. Insomma, soluzione all’italiana.
QUELLE PORTE TROPPO PICCOLE
Il Colosseo e il Foro Palatino hanno un unico biglietto d’ingresso. Uscito dall’uno mi dirigo all’altro. Sempre una gran ressa.
Appena entrato chiedo se un disabile in sedia a rotelle può entrare per una visita. Mi mostrano una specie di gimkana: sembra un percorso di un parco giochi per bambini. Ha qualcosa di ridicolo.
Guardo il custode e non faccio in tempo a chieder nulla. “Una chicca eh? Per fare questo percorso hanno smembrando una parte di questa meravigliosa scalinata. Prima l’impatto era soave, a destra e a sinistra una specie di roseto e due pini.
Che hanno fatto?
Hanno completamente squartato la parte sinistra e pare che abbiano speso un mucchio di soldi. Qualcuno dice addirittura 750.000 euro” (ma poi chiedo a un altro custode che è più parco: 300.000 euro).
A quel punto chiedo, ingenuo, se non sarebbe stato meglio mettere sulla scalinata una seduta assistita, un montascale mobile per sedie a rotelle.
Avrebbero risparmiato centinaia di migliaia di euro senza peraltro rovinare nulla.
La risposta non arriva. “Vuole vedere? Venga con me”. Iniziamo a salire.
Da un lato splendide rovine, dall’altro cantieri. Tanti, uno dopo l’altro: transenne, transenne e transenne. Non ce la faccio a contarli tutti, sono troppi.
Arriviamo al Museo Palatino.
Ci sono le scale: il piano terra è quasi seminterrato e bisogna scendere. Pochi scalini, e poi ancora scale per salire al piano superiore.
Qui c’è la seduta assistita: “Non ha mai funzionato, credo che non sia stata nemmeno collaudata”, mi dice il custode. Però c’è l’ascensore per i disabili, quello per andare al piano di sopra.
Oggi non si può prendere, l’area è chiusa. Insisto un po’, e alla fine me lo mostrano da dietro una porta. Piccolo!
La sentenza è inappellabile. Non c’è proprio nulla da fare: una sedia a rotelle non ci passa. “Se so sbagliati dotto’”, dice il custode. L’apertura non è abbastanza grande da far passare una carrozzella. “E allora che fate se arriva un disabile? ”.
“Se l’incollamo. Ma solo se c’è la persona giusta: ci sono custodi che hanno una certa età , altri sono gracilini e non ce la fanno, altre sono donne”.
IL CANTIERE ETERNO
Esco dal Museo sconsolato. Mi rifaccio gli occhi su una serie di scorci mozzafiato. Ma poi ancora un cantiere.
Vedo un altro custode dalla faccia simpatica. “A’ dotto’, ma che non vede? saranno almeno trentacinque”.
Il turista più che visitare il sito è costretto a fare lo slalom fra cantieri. “Alcuni non si capisce proprio perchè li aprano.
Sembra quasi che appena c’hanno un po’di soldi fanno la corsa a spenderli aprendo un cantiere”.
Ma a che servono? Insomma, sono cantieri di restauro? “No, soltanto alcuni.
Ma la maggior parte non si capisce a che servono. Aprono un cantiere in un posto, lo tengono lì, transennato, magari per una ventina di giorni, poi lo chiudono, infine lo riaprono”.
Un valzer senza senso, dice laconico. “Smonta e rimonta, smonta e rimonta: non famo altro.
C’è il Tempio di Antonina e Faustino che è tutto un apri e chiudi”. L’area del Palatino è enorme, più di 35 ettari, un sito importantissimo dal punto di vista archeologico, un parco senza rivali al mondo. Ebbene, il 90% dei siti sono chiusi.
O meglio, sono aperti a tempo. Per le mostre.
“Vede, anche ora lo stadio è aperto soltanto perchè c’è una mostra dentro” – si tratta di “Post Classici”, un’esposizione di artisti contemporanei – “ma appena finirà la mostra lo richiuderanno”.
Faccio un giro e vado verso la Curia, fra i monumenti più noti: è stato chiuso a lungo e l’hanno riaperto da poco.Ma oggi è chiuso perchè all’interno della Curia vengono montate le strutture per le mostre temporanee organizzate dal concessionario della biglietteria, mi dice un altro custode. Non posso vederla.
Devo aspettare che ci organizzino un’altra mostra. “Non si preoccupi: tanto ne fanno una dietro l’altra perchè son soldi”.
Sono molti i monumenti chiusi: Santa Maria Antiqua, in restauro da anni. Le Vestali sono state aperte un anno fa, circa.
Chiediamo al custode: “Dotto’, qua ogni volta che aprono un monumento fanno l’inaugurazione: invitano sottosegretari e giornalisti, fanno il picnic, e poi dopo un po’ la richiudono. Le Vestali ora sono chiuse! ”.
Si possono vedere dall’alto.
Chiedo a un custode lumi su queste mostre: “Ne utilizziamo i ricavi per poter aprire quel monumento. Per esempio ora il Tempio di Romolo è aperto perchè dentro c’è una mostra: se non ci fosse, non avremmo il personale per poter aprire quel monumento. Invece così si utilizza personale in conto terzi: siamo sempre noi della Sovrintendenza, ma veniamo pagati con la bigliettazione, ovvero dal concessionario — come se ci pagassero gli straordinari”.
LA LOBBY DEI BAGNI
Ormai sono ore che sono qui. Vorrei andare al bagno. E mio malgrado affronto un tema che ha del sublime.
Hanno pensato di costruire un sacco di bagni. Come dire: un esercito di incontinenti ci seppellirà .
Eppure i turisti che mi accompagnano in questa giornata non sono tutti vecchini desiderosi di andar al bagno ogni cinque minuti. Sarà .
Un sacco di toilette, e pare che ogni volta l’hanno pure inaugurate!
L’impresa è trovare quella aperta. Al povero addetto che sfinisco con le domande balena un’espressione perfida e un ghigno satanico. “C’è un problema serio di fornitura idrica e di attacchi fognari mancanti”.
Insomma, l’acqua è poca e non basta per tutti i bagni.
Quindi? “Li aprono a turno”.
Non finisce qui. Dicono che non si può fare altrimenti, che non ci si può attaccare alla fogna e quindi bisogna tenersi le fosse.
Che, ovviamente, deve contenere l’enorme afflusso di turisti. E mica si può regolamentare l’accesso! Certo, si potrebbe immaginare un addetto di stanza alle porte dei bagni per interrogare i turisti: “Lei che deve fare? ”; “Pipì”, “Bene, allora entri”. “E lei invece? ”. “Beh, sa, io quella grossa”. “Eh no, mio caro Lei, non può mica. Se la tenga e vada a farla al bar qui fuori, appena esce sulla sinistra: quelli hanno la fogna! ”.
Torniamo alla realtà . Sono arrivato al Museo del Palatino.
Vado finalmente al bagno e vengo accolto da uno schifido fetore.
Chiedo al custode: “Non può capire. Quando siamo allo stremo, dopo diversi giorni che segnaliamo la puzza, allora chiudiamo il Museo”.
Cosa? “Eh già , chiudiamo perchè onestamente non ci si può stare qui dentro”. “D’accordo, ma che scrivete sul portone, chiuso per troppa puzza di merda? ”.
La risposta è un sorriso sardonico. E triste.
CARTELLI, PANCHINE E TELECAMERE
Altro problema. Mi sono perso.
Un giapponese diligente con una cartina dettagliatissima mi aiuta.
Ma a pensarci bene non ho visto nemmeno un cartello. Ho vagato a vuoto, ho trovato i vari siti solo perchè ho chiesto o perchè mi ci sono scontrato.
Nemmeno un’indicazione o una freccia. Guardo meglio. In effetti qualcuna c’è, ma pochissime, insufficienti e poco chiare.
E poi mi guardo intorno e vedo un sacco di gente seduta a bere o a riposarsi qualche minuto su: capitelli, colonne, muretti… Nemmeno una panchina.
Chiedo a un altro custode: “Finchè sono seduti non gli diciamo nulla, poveretti, altrimenti dove dovrebbero stare? ”.
Però ci sono le telecamere. Ah, quelle non mancano. Mi avvicino alla splendida casa di Augusto. Meravigliosa. Mi accorgo di essere spiato per tutto il tragitto. P
er scrupolo chiedo: qui siete proprio al sicuro con tutte questi occhi elettronici, no? Il sorriso beffardo del custode la dice lunga. “Mah, sa, qualche telecamera funziona”. “Qualche? ”. “Beh, sì, non tutte”. Ah… “Ma poi il problema non sarebbe nemmeno tanto le telecamere… se funzionano o no… il problema è un altro”. Mhm, cioè? “Non glielo posso mica dire”. Ma come? “Vabbè, ma non lo dica a nessuno, mi raccomando: nella sala di regia non c’è nessuno! ”. Insomma, le telecamere (quelle che funzionano) riprendono sì quello che succede, ma non c’è nessuno dietro a uno schermo a guardare le immagini.
IL PORTIERE DI NOTTE
Esco dalla visita con un senso di spaesamento.
Chiamo Claudio Fianco dell’FLP, il sindacato che ha indetto le assemblee nelle domeniche di giugno (il 9, 16 e 23) e per questo ha tenuto fuori dal Colosseo migliaia di turisti.
Lui ora lavora di notte, al Palatino. Posso fare tutte le domande che mi sono rimaste.
Inizia spiegandomi che i lavoratori di Colosseo e Palatino lavorano 363 giorni l’anno.
“Forse sono gli unici monumenti al mondo senza quello che viene chiamato riposo ambientale, ovvero una giornata riservata alle grandi manutenzioni, alle pulizie straordinarie, agli spostamenti di materiali. E per dare al personale il giorno di riposo. Ma l’amministrazione dice che non può chiudere perchè ci rimetteremmo economicamente”.
A proposito di soldi: com’è questa storia del concessionario che gestisce la biglietteria e le mostre?
“Il concessionario, Coopculture con Electa Mondadori, ha la gestione della biglietteria (ha vinto la gara molti anni fa, anche se quell’appalto è scaduto e continua in deroga) e quindi ha un notevole vantaggio economico. Hanno le royalties sugli ingressi e poi il bookshop, i servizi di guida, il noleggio degli strumenti per l’accompagnamento dei turisti come le audioguide. A dire il vero forniscono anche piccoli monumenti, come la Cripta Balbi, che hanno introiti molto più bassi. Ma l’area centrale, il Palatino e il Colosseo, sono una miniera d’oro. Lo scorso anno ha fatto circa 6 milioni di ingressi”.
Se questo concessionario guadagna anche solo una percentuale sulla maggiorazione per la mostra, e visto che ormai queste mostre coprono l’intero anno solare (“appena smontata una se ne monta subito un’altra, o spesso si accavallano 2 o 3 insieme”) hanno il loro bel guadagno. Considerando che poi sulla visita guidata del Colosseo (ipogei e secondo anello) non godono soltanto di una parte dell’incasso ma del totale, è un vero affare. In effetti non bisogna essere un matematico: fossero anche solo pochi euro, per sei milioni di ingressi l’anno…
La vera domanda è: perchè la Sovrintendenza lascia a un privato questa fetta di torta?
“Il problema è che siamo pochi: al Colosseo lavorano poco più di trenta addetti. Abbiamo problematiche organizzative, e strutturali e gestionali. E poi ci sono gli ex Assistenti tecnici museali, selezionati per la conoscenza delle lingue e dei monumenti: ma una volta assunti sono stati dislocati altrove — vanno sugli scavi, seguono i funzionari, fanno studi, lavorano in biblioteca, oppure fanno servizio di informazioni. Il fatto è che erano stati assunti come custodi ma ora fanno altre mansioni. Tanto che la Sovrintendenza, mancando la sorveglianza, ha esteso il contratto della ditta di vigilantes (che normalmente fornisce il servizio di metal detector, e non si capisce perchè ai Musei Vaticani lo fornisca la Polizia di Stato e da noi no) per due persone che lavorano al primo piano del Colosseo”.
Insomma, parliamo dell’area del Colosseo e del Palatino, quasi 16.000 ingressi al giorno, ricavi per 35 milioni di euro l’anno.
Ha resistito a tutto, intemperie e incuria, ma forse sarebbe arrivato il tempo di gestirla come si deve.
Marco Filoni
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Luglio 7th, 2013 Riccardo Fucile
OLTRE 300 IMMIGRATI TRASFERITI NEL CIE DI MINEO… FRANCESCO VOLEVA UN VOLO DI LINEA….DELLE PROMESSE DI BERLUSCONI NEL 2011 RESTA SOLO UNA VILLA
Arriva il Papa a Lampedusa, ma non troverà gli immigrati.
Li stanno trasferendo tutti, l’ultimo gruppo ieri. Li hanno imbarcati sul traghetto per Porto Empedocle, destinazione l’inferno di un Cie, quello di Mineo.
Ora sull’isola che Papa Francesco ha scelto come meta del suo primo viaggio fuori dalle mura Vaticane, restano 125 migranti, erano quasi cinquecento con gli sbarchi dei giorni passati.
Una decisione che non mancherà di suscitare polemiche.
Il Santo Padre arriva in sobrietà .
Francesco non voleva atterrare sullo scoglio che fa da prima frontiera tra l’Africa e l’Europa con gli onori e i privilegi che gli sono riservati.
Il Pontefice aveva obbligato i suoi collaboratori a prenotare normalissimi biglietti Alitalia per sole quattro persone.
Si è scatenato il panico tra le diplomazie vaticane e italiane e alla fine Francesco ha dovuto cedere: arriverà a Lampedusa con un volo di Stato.
Ma è l’unica concessione a riti e formalità che il Pontefice ritiene orpelli inutili.
L’isola lo aspetta, mettendo in campo la stessa, identica solidarietà dei giorni dell’emergenza sbarchi.
Tutti si sentono coinvolti. Dal falegname che sta ancora modellando la croce da donare al Papa ricavata dal legno dei relitti delle imbarcazioni naufragate negli anni passati, al sindaco Giusi Nicolini.
“È una occasione unica — dice Giusi, attivista ambientalista e da sempre in prima fila nelle lotte per i diritti degli immigrati — questa visita cambierà la storia, non sarà mai più come prima. Spero che le autorità italiane capiscano il significato del gesto di Papa Francesco e cambino radicalmente rotta in tema di immigrazione rispetto alla sciagurata legge Bossi-Fini”.
Tutta l’isola è in fermento.
Donne, giovani, anziani pescatori stanno pulendo lo spazio di fronte all’area marina protetta, dove il Papa terrà la sua omelia.
“Qui” ci dice un pescatore che nel corso di questi decenni di tragedie nel mare che divide le coste dell’Africa dalla porta d’Europa ne ha viste tante, “abbiamo ospitato e sfamato quei disgraziati che due anni fa arrivarono a decine di migliaia. Non avevano che occhi per piangere. Ognuno di noi portò quello che poteva”.
Papa Bergoglio pregherà su questo spiazzo avendo di fronte un muro di barconi sfasciati. Ma prima, quando dall’aeroporto si sposterà con una papa-mobile spartana, una Fiat campagnola, farà il gesto più significativo di questa sua visita.
Andrà al largo a bordo di una motovedetta per lanciare una corona di fiori nel mare della morte.
La tomba negli ultimi vent’anni di 20mila bambini, donne, uomini, tunisini e libici, egiziani e palestinesi, gente che cercava un briciolo di futuro in Europa.
E il mare azzurro che bagna Lampedusa è il tema portante del murales che un gruppo di giovani da giorni sta preparando per accogliere il Santo Padre.
C’è prima un’onda altissima, scura, che fa paura, poi acque calme, piatte e azzurre.
“Sono la calma e la pace che questa visita ci porterà ”, ci dice Antonio, uno dei writer che sotto un sole da dissuadere chiunque, sta lavorando perchè tutto sia pronto per la giornata che cambierà la storia.
Uno scenario diverso dall’ultima visita importante che l’isola ricordi, quella di Silvio Berlusconi.
Era l’aprile del 2011, a Lampedusa erano arrivati più di diecimila migranti. Ondate ininterrotte, naufragi tragici, e il centro di accoglienza allo stremo.
Migliaia di migranti furono costretti a dormire in condizioni disumane per giorni, con cibo scarso e servizi igienici inesistenti.
Sul molo i lampedusani esasperati vedevano i containers della Protezione civile chiusi e sorvegliati dai militari in armi. L’ordine era di non trasformare Lampedusa in un enorme campo profughi.
Berlusconi arrivò e parlò nello stesso luogo dove lunedì il Papa terrà la sua omelia.
E promise soldi, investimenti, disse che l’isola era brutta e propose un piano per “ritinteggiare” tutte la case.
“Sarò presto proprietario di una villa qui”, disse in una affollata conferenza stampa mostrando le copie dei contratti di affitto.
“Lampedusa diventerà una nuova Portofino”, giurò l’allora premier.
Ma i lampedusani, gente di mare, uomini e donne abituati alla rudezza della vita su un’isola che non è Africa, ma non è mai diventata Europa, non si mostrarono entusiasti. La casa, un villa con una vista mozzafiato sul Mediterraneo, Berlusconi l’ha comprata davvero, nei giorni scorsi si sono viste squadre di muratori e imbianchini.
Lavorano alacremente, anche se del proprietario si sono perse le tracce da due anni.
Storie passate.
Arriva il Papa per incontrare migranti e isolani.
Viene da pellegrino, da figlio di emigranti.
Altri arrivarono come moderni sultani di un mondo che sta finendo.
Enrico Fierro
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Luglio 7th, 2013 Riccardo Fucile
DALLA NUOVA RESIDENZA ALLA ROTTURA DELLA PRASSI: COSI’ LA SOBRIETA’ INVESTE I SACRI PALAZZI
Alle quattro di pomeriggio con l’afa romana che dà il meglio di sè, due guardie svizzere in
uniforme e un gendarme con la divisa stazionano davanti all’ingresso della Casa Santa Marta, la residenza stabile del Papa e di un’altra quarantina fra vescovi, monsignori e laici che lavorano Oltretevere.
È il segno che il numero uno si trova in sede.
La bandiera bianca e gialla con le insegne vaticane svetta immobile e flaccida davanti alle finestre del secondo piano di questo parallelepipedo anonimo, fatto costruire da Giovanni Paolo II a metà degli anni Novanta per dare una sistemazione degna ai cardinali in conclave.
Sono le stanze di Francesco.
Dopo l’identificazione, l’ospite scende per la scala semicircolare che porta nella hall, austera e un po’ fredda.
Lì, dietro il grande bancone, attende un laico dai tratti orientali con un abito color tabacco. Tutto è silenzioso. L’estate si avverte anche a Santa Marta e in più, ormai, gli ospiti sanno bene che Bergoglio può spuntare all’improvviso dall’ascensore, da una porta che si apre, dalla sala mensa, da uno dei salottini. Se si esce di stanza, bisogna essere sempre vestiti bene.
All’interno, nella hall, ci sono un altro svizzero e un altro gendarme, entrambi in borghese.
«Mi hanno fatto accomodare in una saletta con alcune poltrone foderate di verde. Il Papa – racconta il nostro interlocutore, ricevuto in udienza privata – è arrivato all’improvviso, da solo, senza segretari nè maggiordomi, portando con sè una busta con dei rosari. Alla fine del colloquio lui stesso ha aperto la porta e mi ha accompagnato ai piedi della scala d’uscita».
È una scena che meglio di qualunque altra descrive il cambiamento avvenuto nei sacri palazzi.
Casa Santa Marta è una via di mezzo tra un albergo e una casa del pellegrino: difficile ripristinare qui il senso della corte, così evidente nel palazzo apostolico e nella sua rinascimentale dignità .
Il nostro viaggio attraverso le più importanti novità prodotte dal Papa argentino, le piccole e grandi rotture del protocollo, e il loro significato, non poteva che cominciare da qui.
La scelta di rimanere nella residenza dove ha alloggiato da cardinale durante il conclave, presa «per motivi psichiatrici», perchè non gli piaceva «l’isolamento». Come aveva scritto all’amico prete argentino Enrico Martinez detto “Quique”: «Sono visibile alla gente, faccio una vita normale, mangio nella mensa con tutti…». E per il caffè non ci sono valletti ma una più prosaica macchinetta a gettone, nel corridoio comune.
Al secondo piano, occupa la suite numero 201: pareti bianchissime e un po’ spoglie, un salotto con un paio di poltrone e una scrivania, una libreria a vetri, dei tappeti persiani, parquet chiaro tirato fin troppo a lucido, una camera da letto con un imponente letto in legno scuro, un bagno.
Era la suite tenuta libera per gli ospiti importanti del Papa, come il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I.
Ricevendolo, Francesco s’è scusato con lui: «Mi perdoni se le ho rubato la stanza…». «Ma io gliela lascio volentieri» è stata la risposta del patriarca ortodosso.
Nelle stanze accanto al Papa vivono i due segretari: quello che Francesco ha «ereditato» dal predecessore, il maltese don Alfred Xuereb, e quello che si è scelto, l’argentino don Fabià¡n Pedacchio.
Figure meno ingombranti e certamente meno potenti dei loro immediati predecessori. Jorge Mario Bergoglio, continuando a concepire se stesso come un prete al servizio di Dio e perciò degli altri, non un monarca, è rimasto tale e quale anche dopo quel 13 marzo che gli ha cambiato la vita impedendogli di usare il biglietto di ritorno per Buenos Aires, già prenotato.
Così Francesco, il Papa della porta accanto, ha voluto continuare ad abitare qui, spostandosi soltanto di qualche metro nello stesso piano, dalla più piccola stanza 207 assegnatagli per il conclave.
Ha deciso di non occupare l’appartamento papale, anzi «l’Appartamento» con la A maiuscola, come veniva chiamata in gergo l’«entità » rappresentata dal più stretto entourage.
Ne ha preso possesso, rimanendo impressionato per quanto grande fosse: «Qui c’è posto per trecento persone!».
Non si tratta certo di una reggia. Ma si può capire la reazione, per uno abituato a vivere da cardinale in un paio di stanzette, rifacendosi il letto ogni giorno.
Le prime novità erano arrivate già in conclave.
Appena eletto, e prima ancora di indossare la veste bianca, Francesco era andato ad abbracciare il cardinale Angelo Scola, suo «concorrente» durante gli scrutini.
Poi il rifiuto di indossare uno dei quarantacinque paia di scarpe rosse fatte preparare per l’occasione: meglio le grosse scarpe nere.
Più che di gusti, questione di ortopedia, dato che le calzature già consunte gli servono per camminare meglio. Niente mozzetta rossa nè rocchetto di pizzo. Niente croce pettorale d’oro, niente anello papale vistoso a diciotto carati.
Niente macchinona blindata con targa «SCV 1», l’ammiraglia di un parco macchine vaticano che ha visto tornare in auge le più sobrie utilitarie.
Niente scorta e gran movimento di gendarmi per ogni spostamento, anche minimo, all’interno del minuscolo Stato.
Il piccolo mondo vaticano, che monsignor Marcinkus definiva «un villaggio di lavandaie», ha dapprima abbozzato, poi ha cercato di adeguarsi, come si è visto già due giorni dopo l’elezione, quando tutti i cardinali che salutavano il Papa nella Sala Clementina avevano riesumato croci in ferro o d’argento, lasciando nel cassetto quelle d’oro gemmate.
A Santa Marta ci sono due ascensori, e uno si cerca di tenerlo libero per l’inquilino più importante. Ma capita spesso che Francesco s’infili in quell’altro.
Due vescovi se lo sono visto entrare all’ultimo momento, prima che le porte si chiudessero e un po’ imbarazzati si sono appiattiti sul fondo, con il Papa che sorridendo ha detto loro: «No muerdo», non mordo mica…
Gli aneddoti fioriscono, talvolta ingigantiti, come quello della guardia svizzera che aveva fatto il turno di notte e che si sarebbe visto portare un panino da Francesco.
Da Santa Marta Bergoglio ama muoversi a piedi. Sabato 16 marzo ha rifiutato con un’eloquente gesto della mano – come a dire: «Ma state scherzando?» – il corteo di macchine predisposto per fargli fare cinquanta metri.
Mentre un’altra volta uscendo, ha incontrato un vescovo che stazionava davanti all’ingresso: «Che fai qui?», ha chiesto. «Sto aspettando che mi vengano a prendere», è stata la risposta del prelato.
«Ma non puoi andare a piedi?», ha replicato Francesco.
Un Papa «normale» e proprio per questo straordinario.
Che ripete le parole antiche e sempre nuove del Vangelo. «Parole che colpiscono molto – ci dice il professor Andrea Riccardi, storico della Chiesa – perchè risuona in modo particolare l’autenticità della sua persona».
Andrea Tornielli
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Luglio 7th, 2013 Riccardo Fucile
IL RAGAZZO DI MEDA SI E’ UCCISO PER LA DISPERAZIONE DI NON RIUSCIRE A TROVARE UN LAVORO
Uccidersi per la disperazione di non trovare un lavoro, di non essere più indipendenti economicamente.
È sotto l’inquietante ombra della disperazione per la disoccupazione che stamani, in Brianza, si è tolto la vita un giovane di 26 anni.
Il giovane si è sparato in casa dei genitori, con cui viveva, a Meda (Monza e Brianza). Secondo quanto riferito da alcuni parenti (che al momento del suicidio non erano nell’appartamento) alla base del terribile gesto ci sarebbe, ancora una volta, la crisi economica e quella personale di un giovane che non sopportava più di sentirsi un fallito, di non riuscire a trovare un lavoro, di mantenersi.
Il particolare è emerso dai famigliari, che lo vedevano da tempo molto preoccupato e depresso, cioè da quando aveva smesso di lavorare come muratore senza più riuscire a trovare una nuova occupazione.
I carabinieri, giunti sul posto, in via Milano, avvisati dai genitori, intorno alle 12, stanno vagliando alcuni suoi scritti, in particolare due lettere.
Di certo, verso le 11, c’è che i genitori, rientrando a casa e non vedendolo alzato, hanno sfondato la porta della sua camera trovandolo privo di vita con una pistola a fianco.
Al momento non è chiaro come se la sia procurata, ma è probabile che pensasse al suicidio da qualche tempo.
Da molto infatti continuava a ripetere di “non riuscire a trovare niente” e di “non avere nemmeno i soldi per le sigarette”.
Il settore dell’edilizia è uno di quelli che sono stati più penalizzati dalla crisi a livello occupazionale, con moltissime aziende chiuse.
“È una vergogna, questo ragazzo aveva sempre lavorato, era abituato ad avere responsabilità e a mantenersi – dice con rabbia Giuseppe Neletti, lo zio, a sua volta imprenditore edile salito tempo fa agli onori delle cronache per aver malmenato due emissari di Equitalia nel Lodigiano – adesso si lamentava con la sorella che non aveva più nemmeno i soldi per comparsi le sigarette. Questo Stato è incapace”.
“Ma quale Expo – gli fa eco un altro parente – tanti milioni di euro spesi e qui non si lavora, le aziende che prendono i subappalti sono tutte dello stesso giro e gli operai vengono da fuori, pagati in nero. Quali controlli? E cosa deve fare un ragazzo che cerca un lavoro onesto?”.
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Luglio 7th, 2013 Riccardo Fucile
UN’AGENTE IMMOBILIARE SI PRESENTA DAL PM WOODCOCK: “ATTENTI A QUEI DUE”… E SPUNTA IL NOME DI SANTOMAURO
Con l’interrogatorio di una supertestimone e un blitz rivierasco a caccia di indizi, le
numerose inchieste di diverse procure italiane sull’ex tesoriere della Lega Nord, il genovese Francesco Belsito, si arricchiscono di un nuovo filone.
È il pm John Woodcock della procura di Napoli, che per prima aveva posato gli occhi su Belsito, ad aprire un inatteso fronte d’indagine che porta a Chiavari.
Nel mirino ci sono i rapporti tra Belsito e la coppia che ha gestito politica e affari in città negli ultimi dieci anni, l’ex sindaco Vittorio Agostino e suo figlio Alessandro, di professione architetto.
Sullo sfondo, ma forse sarebbe più giusto dire in primo piano, c’è l’affare più ghiotto della riviera di levante: un’operazione immobiliare da decine di milioni di euro sul fronte mare di Chiavari.
In altre parole proprio quell’area Preli che è stata al centro del processo che ha portato alla condanna definitiva per tentata concussione dell’ex sindaco Vittorio Agostino, 6 anni, e del figlio Alessandro, 4 anni.
I tentativi di Agostino junior, supportato dal padre sindaco, di forzare alla vendita dei cantieri la proprietaria Milena Gavazzi Divisi – la donna che lo aveva assunto come progettista e in seguito lo allontanò – tornano d’attualità perchè, di nuovo, sul futuro di questo tratto di waterfront ci sono alcune pesanti perplessità .
Perlomeno le hanno avute gli inquirenti napoletani che in queste ore stanno per trasmettere per competenza alla procura di Chiavari il fascicolo con le prime risultanze delle indagini.
A Napoli, il filone chiavarese prende il via l’estate scorsa.
Nadia Gentilini, agente immobiliare che nel processo contro gli Agostino è stata una teste chiave per la sua attendibilità e per le pressioni e l’ostruzionismo che dovette subire, dopo essere entrata in contatto con l’associazione Libera e in particolare don Marcello Cozzi, viene ascoltata su delega del pm Woodcock da un funzionario della squadra mobile di Napoli.
Già impegnati su uno dei filoni d’indagine che riguarda Belsito, gli investigatori ricompongono un mosaico.
Prima di tutto quello dei rapporti strettissimi tra l’ex tesoriere e gli Agostino.
Aveva suscitato scalpore, nell’autunno del 2011, il tentativo di Belsito di far entrare al suo posto nel cda di Fincantieri (era stato nominato sottosegretario alla semplificazione normativa e si era autosospeso tenendo però occupata la poltrona per quasi un anno) l’architetto
Agostino allora fresco di condanna in appello per l’affaire di Preli.
L’incarico era poi sfumato ma era indicativo dei legami tra i due.
Va poi ricordato che Belsito e Agostino padre crescono all’ombra di una figura storica della lega Nord, quel Maurizio Balocchi, deputato e soprattutto tesoriere e fedelissimo di Bossi, morto nel 2010 portandosi con sè molti segreti del carroccio e della famiglia del “senatur” in particolare.
C’è qualcosa in più che ha solleticato l’interesse degli inquirenti che a Chiavari hanno anche effettuato un blitz segreto acquisendo documenti e ascoltando delle persone come testimoni.
Riguarda Fabio Santomauro, uno degli imprenditori che partecipa alla società Centro Arte, ovvero la cordata interessata all’acquisto della colonia Fara (la loro offerta non andò in porto a seguito di ricorsi ma è ancora pendente un contenzioso). Santomauro è anche uno dei proprietari dei bagni discoteca di cavi di Lavagna Sol Levante.
Nelle intercettazioni delle indagini di Napoli, Milano e Reggio Calabria, sembrava che Belsito fosse interessato all’acquisto di una quota del locale.
Un’eventualità smentita dai diretti interessati, ma è vero, invece, che l’ex tesoriere è di casa nella discoteca specie per via dell’amicizia e dei rapporti di affari con un’altra leghista di Chiavari, Sabrina Dujani, titolare della società Movida che ha in gestione il Sol Levante.
La Dujani è anche amministratrice di un trust che controlla alcune società delle quali la finanza sospetta che Belsito sia socio occulto, ad esempio quella che controlla il bar Balilla di Genova, in cui compare come azionista l’anziana madre dell’ex tesoriere. Connessioni e retroscena che hanno convinto la procura di Napoli ad approfondire e poi trasmettere i risultati delle investigazioni ai colleghi di Chiavari.
Giulia Destefanis e Marco Preve
(da “La Repubblica“)
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Luglio 7th, 2013 Riccardo Fucile
IMU, LA FARSA CONTINUA: ORA SPUNTA LA STANGATA SUI VILLINI O IL FAR PAGARE OLTRE I 600 EURO DI TASSAZIONE
L’operazione di “rimodulazione” dell’Imu sta imboccando l’ultima curva.
La tempistica è stata dettata dal ministro dell’Economia Saccomanni: prima delle vacanze.
Le modalità sancite dal discorso di Letta in Parlamento: “riforma” dell’attuale tassazione sulla casa.
I tecnici sono al lavoro per trovare una soluzione e, ad oggi, il campo delle ipotesi di intervento si è ristretto a due.
La prima è quella più tradizionale, di cui si discute da settimane e che sarebbe in grado di esentare dal pagamento l’85 per cento di coloro che possiedono la prima casa.
Si tratterebbe di elevare, figli esclusi, la franchigia di ulteriori 400 euro che si aggiungono agli attuali 200 di base portando il totale delle detrazioni a 600 euro.
In questo modo il livello di coloro che non pagano l’Imu sulla prima casa si alzerebbe e la tassa rimarrebbe a carico solo di coloro che possiedono abitazioni con una rendita catastale molto alta.
Tuttavia con questo meccanismo, a scarsa selettività , non si riuscirebbe a colpire immobili di basso valore catastale, spesso situati nei centri storici, ma con un alto valore di mercato e abitati dalle fasce più abbienti.
A meno che non si leghi l’entità della detrazione al reddito Isee come emergerebbe dagli orientamenti della Commissione Finanze del Senato.
Questa operazione viene comunque valutata in un costo approssimativo di 3,3 miliardi
Nelle ultime ore tuttavia si sarebbe concretizzata una nuova ipotesi tecnica. L’obiettivo sarebbe sempre quello far pagare l’Imu a chi sta meglio ed esentare le fasce più basse.
Il parametro sarebbe tuttavia quello della classe catastale di appartenenza dell’abitazione: verrebbe tracciata una linea di demarcazione tra esenti e pagatori, come del resto è stato fatto per il rinvio dell’acconto di giugno quando le classi catastali di lusso (A/8, A/9 e A/1, circa 44.792 abitazioni principali) hanno continuato a pagare mentre tutte le altre tipologie hanno beneficiato del rinvio.
A differenza di allora il nuovo provvedimento prevederebbe lo spostamento, dalla classe degli esenti a quella dei pagatori, della cruciale categoria A/7, quella dei villini, che sarebbe di fatto equiparata ad una abitazione di lusso.
Non si tratta di una cosa di poco conto: i villini, cioè le casette a schiera e le bifamiliari, che popolano la tranquilla provincia italiana, sono 1 milione e 333 mila pari al 6,5 per cento del totale e in grado di fornire 800 milioni di gettito secondo le stime della Uil servizio politiche territoriali.
Presumibilmente abitate dalla piccola borghesia.
Il popolo dei villini si troverebbe così colpito di nuovo dall’Imu prima casa: dal punto di vista del numero degli esenti, l’operazione avrebbe sicuramente un impatto positivo in grado di sgravare la maggioranza dei possessori di prima casa (circa il 90 per cento)
Tuttavia anche in questo caso il parametro della classe catastale di appartenenza non garantirebbe la selettività in base alla situazione patrimoniale del contribuente.
Molti villini vengono infatti ancora accatastati in classi come la A/2 e non cadrebbero così nelle maglie della nuova Imu.
Inoltre resterebbe sempre aperto il problema di far pagare agli attici di Piazza di Spagna e Via Montenapoleone, oggi ancora spesso inseriti in classi popolari, in base ad una adeguata rendita catastale.
Tutto ciò a meno che non si inserisca all’ultimo momento la variabile-Fassino.
Il nuovo presidente dell’Anci ha sul suo tavolo il dossier-Imu, con i Comuni in cronica mancanza di liquidità .
Costretto ad agire rapidamente, il governo potrebbe decidere di mettere una croce sopra l’Imu e di stabilire che la tassa sulla casa si paghi non più in base alle rendite catastali ma in base ai metri quadrati e ai componenti del nucleo familiare.
Saranno così i singoli Comuni, sotto i propri gonfaloni, a gestire le maggiori imposte che gravano sulla prima casa.
(da “La Repubblica”)
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Luglio 7th, 2013 Riccardo Fucile
IL GIURISTA DI SINISTRA FIANDACA E LA TRATTATIVA STATO MAFIA
Il professor Giovanni Fiandaca, giurista “de sinistra”, ha ottenuto un’improvvisa notorietà
con un presunto “saggio” contro il processo sulla trattativa Stato-mafia, rilanciato dal Foglio, dai Macalusi e da altri difensori — professionali e d’ufficio — degli imputati di Stato.
La sera prima della decisione della Corte d’assise sulla competenza del processo — come avveniva nella Palermo metà anni 80 con aulici simposii contro il maxiprocesso di Falcone e Borsellino- l’allegra brigata s’è ritrovata a palazzo Steri per un rito propiziatorio che impetrava il trasloco verso le nebbie e le sabbie romane.
Purtroppo invano: l’indomani i giudici hanno spazzato via tutte le eccezioni delle difese e delle teste d’uovo retrostanti.
Così come il gup Morosini aveva già sbugiardato le loro tesi giuridiche, rinviando a giudizio tutti gli imputati.
Ma il Fiandaca, sia pur un po’ provato, insiste. E, sempre sul Foglio di Berlusconi & Ferrara, mi riempie di insulti, sostenendo che avrei criticato il suo “saggio” senza leggerlo, e comunque se l’avessi letto non l’avrei capito, perchè sono “ignorante”, “prevenuto”, “superficiale”, “giustizialista”, financo “pernicioso”.
Purtroppo il suo cosiddetto “saggio” l’ho letto e temo persino di averlo capito.
Lui mi accusa di “non argomentare” e di rivolgergli “attacchi ad hominem” perchè lo considero “un azzeccagarbugli filomafioso”.
Si rassicuri: io lo considero semplicemente un orecchiante molto sopravvalutato e disinformato. Infatti, nella sua pallosissima dissertazione, non cita mai un solo atto d’indagine, e nemmeno l’ordinanza di rinvio a giudizio del Gup: ma solo la memoria riassuntiva dei pm (una ventina di pagine, poca fatica), esponendo così la sua luminosa scienza giuridica a una serie impressionante di sfondoni, figuracce e balle a volontà .
Vuole che argomenti? Argomento.
Presunto sarà lei
Fiandaca parla di ”cosiddetta trattativa” e “presunta trattativa”. Cominciamo bene.
La trattativa Stato-mafia è giudiziariamente indiscutibile in quanto confermata da sentenze definitive della Cassazione sulle stragi del 1992-’93, oltrechè dai diretti protagonisti e testimoni, non solo mafiosi: Mori e De Donno parlano a verbale di “trattativa” con i capi di Cosa Nostra tramite Vito Ciancimino, e non di una semplice “presa di contatto”, come fa loro dire Fiandaca.
Che deve farsene una ragione: se vuol parlare di trattativa, si legga almeno le sentenze. Ma per lui tutto è presunto.
Infatti, riassumendo le tesi dell’accusa, scrive: “Cosa Nostra avrebbe reagito (alla sentenza del maxiprocesso, ndr) ideando e in parte realizzando un programma stragista”.
Avrebbe? Dunque anche le stragi sono cosiddette e presunte?
Il gioco delle tre carte
L’assenza di reati nella trattativa sarebbe “confermata dal fatto che altri uffici giudiziari, in particolare Firenze e Caltanissetta… non hanno ravvisato ipotesi di reato”. A parte il fatto che, se due procure non trovano reati e una terza sì, non si vede perchè debbano avere ragione le prime due e non la terza, a Fiandaca sfugge che Firenze e Caltanissetta sono competenti sulle stragi e Palermo sulla trattativa: normale che Palermo contesti reati sulla trattativa e le altre procure no.
Trattativa insindacabile
“Ai pm — scrive il Fiandaca — sfugge… la divisione dei poteri: la tutela della sicurezza collettiva… spetta al potere esecutivo e l’eventuale scelta politica di fare qualche concessione ai poteri criminali non è sindacabile giudiziariamente”.
Se avesse letto almeno il capo d’imputazione, saprebbe che qui il reato non è che la mafia tratti con lo Stato e viceversa: il delitto contestato (art. 338 Cp, “violenza o minaccia a corpo politico”) è che la mafia, col delitto Lima e le stragi, ricatta i governi in combutta con alcuni servitori dello Stato veri o presunti, per estorcere scelte politiche e normative che mai quei governi avrebbero adottato senza essere sotto scacco.
Infatti l’ex ministro Conso che non rinnovò il 41-bis a 334 mafiosi non è imputato per quello (anzi è anche lui vittima della minaccia): ma per aver mentito ai giudici sui retroscena di quella decisione.
Quindi non sono in discussione le scelte politiche, ma il ricatto di chi le determinò. Che il ricatto sia reato, è da dimostrare: per questo si fa il processo.
Noi non abbiamo mai scritto che il reato sia provato, ma che spetta ai giudici decidere se i fatti, ormai straprovati, siano reato, e se il reato sia quello contestato, e se i colpevoli siano gli attuali imputati. È Fiandaca che sostiene, sostituendosi ai giudici, che il reato non c’è. Il “giustizialista” è lui, non noi.
Trattativa a fin di bene
Dopo aver messo in forse la trattativa con condizionali e aggettivi dubitativi, Fiandaca la dà per certa, ma con finalità buone, anzi “salvifiche”: “L’obiettivo di far cessare le stragi mai potrebbe essere giuridicamente qualificato come illecito; al contrario esso può apparire doveroso”, una “scelta politica penalmente non censurabile”.
Intanto, come ben sa chiunque abbia letto qualche atto dell’inchiesta, la trattativa — secondo l’impostazione accusatoria già vagliata dal Gup — non partì “per arginare il rischio stragista” o “per far cessare le stragi”, semplicemente perchè partì quando non c’era stata ancora alcuna strage: e cioè dopo il delitto Lima e prima di Capaci.
Lo scopo era salvare la pelle ai politici i cui nomi erano in una lista di morituri dopo Lima: Mannino, Andreotti (o parenti), Vizzini, Andò, Martelli.
I quali puntualmente si salvarono grazie a un cambio di programma di Cosa Nostra, che dopo Capaci abbandonò le vendette sui politici (servivano vivi per recepire il “papello”) e virò su Borsellino, che si opponeva alla trattativa.
Dunque, come si legge nella sentenza definitiva di Firenze sulle stragi del ’93, la trattativa non solo non fermò, ma moltiplicò e rafforzò lo stragismo.
Distogliendolo dai politici e indirizzandolo su Borsellino (a proposito: chi è il “servitore dello Stato” che avvertì i boss che il giudice ostacolava la trattativa?
E chi spiega ai parenti delle vittime di Firenze e Milano che i loro cari dovevano morire ammazzati perchè lo Stato perseguiva il “doveroso” e “salvifico” obiettivo di fermare le stragi incentivandole?).
In ogni caso, che ogni scelta politica sia di per sè insindacabile per chi la fa e chi la chiede è una fesseria: se io pago un politico in cambio di una legge, è corruzione; se minaccio un politico per avere una legge, è estorsione; se minaccio un governo a suon di bombe per ottenere “scelte politiche” elencate in un papello che poi guardacaso diventa legge, è minaccia a corpo politico; se mento al giudice, è falsa testimonianza.
Trattativa all’insaputa
Nella sua rocciosa incoerenza, Fiandaca ipotizza che i “servitori dello Stato” che trattarono con la mafia (ma la trattativa non era presunta?) non siano punibili perchè manca “l’elemento soggettivo”, “il dolo”, l’“autentica coscienza e volontà di concorrere coi mafiosi nelle violenze e minacce ai danni del governo”.
Cioè, politici navigati e ottimi conoscitori della mafia e ufficiali specializzati nella lotta alla mafia trattarono con la mafia, poi si prodigarono per ammorbidire il 41-bis come da papello , ma a loro insaputa.
Un caso Scajola ante litteram, e al cubo
Fiandaca, restando serio, domanda perchè i pm non abbiano contestato i reati di concorso esterno in associazione mafiosa o addirittura concorso in strage.
La risposta è banale: perchè le stragi furono decise da uomini di mafia e non di Stato, o almeno non c’è prova del contrario.
Complimenti comunque al grande giurista per il trucchetto di negare il reato già vagliato dal gup ipotizzandone di più gravi e iperbolici.
Il solito gioco delle tre tavolette.
Movente e contropartita
Per Fiandaca, al Grande Ricatto mancano il movente e la contropartita. Ma il movente, pienamente realizzato, era salvare la pelle ai politici candidati a finire come Lima.
Quanto alla contropartita, è inutile (?) ricordare al giurista di chiara fama che l’estorsione e la minaccia sono reati anche se non sortiscono effetti.
Qui comunque gli effetti ci sono eccome, anche se Fiandaca scrive che “la montagna ha partorito il topolino” perchè i pm sono riusciti a provare “solo” la “revoca di alcuni 41-bis”.
Alcuni? Il 26 giugno ’93 il nuovo capo del Dap Adalberto Capriotti (che ha preso il posto di Niccolò Amato, inviso ai boss e subito licenziato) invita Conso a revocare centinaia di 41-bis come “segnale di distensione” alla mafia.
Conso, cinque mesi dopo, obbedisce ribaltando le indicazioni della Procura di Palermo e regalando il carcere molle a 334 detenuti: capi-mandamento come Antonino Geraci sr., Vito Vitale e Giuseppe Farinella, pezzi da 90 come Spadaro, Di Carlo jr., Prestifilippo sr., i fratelli Ferrara e Calafato, Giuliano, Miano, Di Trapani, Grassonelli, Spina, Fidanzati jr.
Quasi tutti i maggiori mafiosi allora detenuti, a parte l’appena arrestato Riina che, se fosse uscito pure lui dal 41-bis, avrebbe suscitato un pandemonio.
E questo sarebbe il topolino? In ogni caso, per i pm, era già partita una seconda trattativa con la nascente Forza Italia sul resto del papello, con garanzie così solide da indurre Cosa Nostra a interrompere di botto le stragi e ad annullare quella già decisa allo stadio Olimpico. Ma tutto questo Fiandaca non lo sa. O non lo dice.
Il can per l’aia
Il finale è strepitoso: processare politici sospettati di delinquere significa “processare la politica”, con la “tendenza populistico-giustizialista” già emersa con Mani Pulite di innescare “quel conflitto fra politica e giustizia che nell’ultimo ventennio ha disturbato il funzionamento della democrazia”.
Ma certo, se i politici rubano o trescano con la mafia, non vanno processati per non “disturbare” la democrazia.
Berlusconi non avrebbe detto meglio.
Ps. Caso mai Fiandaca volesse confrontarsi in pubblico, a Palermo o in tv o dove vuole lui, io sono pronto.
Troverà pane per la sua dentiera.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 7th, 2013 Riccardo Fucile
LE ARMI, GLI INSULTI, LA CELLA: LA VERGOGNOSA INCURSIONE DI 50 UOMINI ARMATI DELLA DIGOS PER PRELEVARE E CONSEGNARE IN OSTAGGIO ALLA DITTATURA KAZACA MOGLIE E FIGLIA DI UN DISSIDENTE… LA MAGISTRATURA ROMANA APRE UN’INCHIESTA “NON HO CAPITO SE ERANO DELINQUENTI O POLIZIOTTI IN ABITI CIVILI”
È da poco passata la mezzanotte di mercoledì 29 maggio. In una villetta a Casal Palocco, enclave dei ricchi di Roma, dormono tutti, anche i domestici che vivono nella dependance. Comincia così l’incubo di Alma Shalabayeva, 46 anni, e di sua figlia Adua, che ne ha sei. Colpevoli di essere la moglie e la figlia di Mukhtar Ablyazov, l’ex banchiere e l’ex ministro kazako nemico numero uno del presidente Nazarbajev.
Nel settembre 2012 Alma, che fuggiva da Londra, si era stabilita a Roma «perchè qui, diceva, mi sento tranquilla».
Fino a poche settimane fa, quando 50 agenti della polizia italiana fanno irruzione nella villa, la portano al Cie e la sera di venerdì 31 maggio la imbarcano su un volo per Astana, la capitale del Kazakhstan. La tana del lupo.
Questo – 18 pagine fitte – è il diario di tre giorni da incubo, tutti da chiarire.
L’IRRUZIONE
Nella villa dormono tutti, quando gente picchia alla porta e alle finestre svegliando Alma. «30, 35 sono entrati in casa, 20 sono rimasti fuori. Si trattava di un intero gruppo armato. Avevano un aspetto spaventoso, alcuni portavano l’orecchino, altri grosse catene d’oro, vestivano abiti neri consumati, tra loro c’era una donna ».
Non si presentano, non mostrano alcun mandato.
«Ero terrorizzata, ho pensato che erano venuti per ucciderci e che nessuno ne avrebbe mai saputo niente. Ho chiesto: chi siete, polizia? Quello che sembrava il capo mi ha sventolato davanti un qualche tesserino.
Mi hanno spinto fin quasi a cadere e mi hanno fatto sedere a forza.
Non riuscivo a capire: erano delinquenti o poliziotti in abiti civili? O li avevano ingaggiati i nemici di mio marito ed erano venuti per ucciderci?»
IN CENTRALE
Alma è terrorizzata, confusa. Quando le chiedono le sue generalità , dice solo «sono russa». «Gridavano in italiano, l’unica cosa che ho capito è stata “puttana russa”».
Alma decide di mostrare il suo passaporto centrafricano. La tensione cresce: qualcuno picchia Bolat, il cognato di Alma.
Alle domande su chi siano e cosa vogliano, quello con la catena d’oro risponde «sono la mafia». Sono quasi le tre di notte quando chiedono a prestito un computer per scrivere il verbale della perquisizione (porteranno via 50mila euro in contanti e la memory card della macchina fotografica).
Ma il MacfarmiBook non è configurato per scrivere in italiano e per mezza pagina si arriva fino alle quattro del mattino. «Mi hanno detto: vestiti, tu vieni con noi. Con me non avevo nè soldi, nè documenti, non avevo un avvocato nè un interprete».
A PONTE GALERIA
«Erano le sei passate, mi hanno detto che dovevano prendere le impronte e fare delle foto e che dopo mi avrebbero lasciato andare a casa. Invece mi hanno caricata in macchina per 40 minuti. Una signora si è messa a urlare, diceva che il mio passaporto era falso.
Chiedevo che chiamassero l’ambasciata centrafricana. Ripetevano mille volte le stesse domande: chi sei, cosa fai in Italia. Parlavano un inglese pessimo, faticavo a capire. Non mi hanno mai permesso di telefonare e dopo 15 ore sono crollata.
Ormai mi avevano vista in troppi perchè potessero uccidermi: ho detto chi ero e che il presidente kazako aveva ordinato l’assassinio di mio marito.
Dopo dieci minuti sono venuti a prendermi e hanno solo ripetuto: questo è un passaporto falso. Lì mi avevano tolto i lacci delle scarpe e la fede e mi avevano dato lenzuola usa e getta e un materasso di poliuretano.
In cella c’erano sei letti e tre donne. Io non ero vestita come loro. Mi hanno aiutato a fare il letto e mi hanno rimboccato le coperte ».
IL JET PRIVATO
«Ho dato la mia tessera del cibo a una compagna e lei mi ha permesso di usare il suo telefono. Da casa mi hanno detto che erano stati avvisati gli avvocati, poi li ho fugacemente incontrati all’udienza, tutto è durato meno di un’ora.
Mi hanno fatto telefonare a casa e chiedere di portarmi la mia bambina. All’improvviso c’era di nuovo agitazione. Dobbiamo andare, mi dicevano. Mi hanno caricata su mini-bus, c’erano molte macchine di scorta, e mi hanno portata all’aeroporto di Ciampino.
Hanno aperto una porta ed è comparsa Alua, la mia bambina.
Avevo capito che volevano mandarmi in Kazakhstan. Sapevo cosa avrebbe voluto dire per me, per mio marito, per i miei figli.
Allora ho detto a voce alta: chiedo asilo politico. L’ho detto in inglese, l’ho ripetuto, l’ho gridato. È troppo tardi, mi hanno risposto, tutto è già deciso».
Sulla pista rulla un jet privato, noleggiato da una compagnia austriaca.
A bordo ci sono due diplomatici kazaki. Aspettano le due donne per accompagnarle ad Astana. La missione è compiuta.
Cinzia Sasso
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