Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile
FERMATO A PANAMA E’ GIA STATO RILASCIATO: “DA ROMA DOCUMENTAZIONE INSUFFICIENTE”… IN ITALIA FANNO I CAVOLI LORO I KAZAKI, FIGURIAMOCI GLI AMERICANI
Robert Seldon Lady, l’ex capocentro Cia di Milano condannato a 9 anni per la “extraordinary rendition” di Abu Omar, fermato ieri a Panama ed inseguito da un mandato di cattura internazionale dall’Italia, sarebbe stato rilasciato già stamattina dalle autorità locali per imbarcarsi poi in volo alla volta degli Usa.
La notizia è stata riferita prima dal Washington Post e poi confermata dal dipartimento di Stato Usa.
“E’ in viaggio per tornare negli Usa”, si è limitata a dichiarare Marie Harf, portavoce di Foggy Bottom.
Secondo il quotidiano di Washington il rilascio di Lady sarebbe stato deciso per “evitare la possibilità che venga estradato verso l’Italia”.
Gli autori dell’articolo, Greg Miller e Karen De Young, citano una fonte di alto livello dell’amministrazione Obama, che dichiara: “in base alle nostre informazioni, (Lady) si trova a bordo di un aereo alla volta degli Stati Uniti proprio in questo momento”.
Ieri il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri ne aveva chiesto la conferma del fermo, ritenendo di avere due mesi per chiederne l’estradizione.
Manca, però, un trattato bilaterale con Panama. L’ex funzionario della Cia si sarebbe quindi sottratto all’ipotesi di tornare in Italia a scontare la pena grazie alla complicità delle autorità panamensi, molto sensibili ai desideri di Washington.
Fonti del ministero degli Esteri panamense hanno affermato che Lady è stato rilasciato perchè non esiste alcuna trattato di estradizione con l’Italia e perchè la documentazione inviata da Roma, era “insufficiente”.
Lady è stato arrestato ieri e trattenuto solo per 24 ore.
Il Washington Post aggiunge che non sono noti i mezzi con cui gli Usa abbiano ottenuto il rilascio e la consegna di Lady.
Abu Omar venne sequestrato il 17 febbraio del 2003 nella periferia di Milano nell’ambito della “guerra al terrorismo” lanciata dagli Stati Uniti dopo l’attacco dell’11 settembre 2001.
Venne trasferito in Egitto dove venne interrogato e sottoposto a torture.
(da La Repubblica“)
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Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile
OGNI NOTTE LA VERGOGNA DELLA TRATTA DEI MINORI…E SPUNTA ANCHE UN PICCOLO DI SEI ANNI
Seduto su una transenna, le gambe penzoloni e lo sguardo che segue il richiamo ai clienti delle due ragazze sedute con lui, prostitute abituali di Piazza Garibaldi a Napoli. Loro sono molto
giovani. Lui non sembra avere più di 11 anni.
IL SUK DEL SESSO
Succede nella piazza della stazione centrale, dove dalle otto di sera in poi lungo il perimetro del cantiere della ferrovia si svolge il suk del sesso e c’è la fila di auto in attesa per alcune ragazze.
Cosa ci fa un bambino tra le prostitute? Qualsiasi risposta è un pugno nello stomaco. Purtroppo non è un caso.
Pochi giorni dopo dietro quella stessa transenna i ragazzini erano tre. Poco distante, al corso meridionale, strada lungo la quale da anni si prostituiscono gli uomini, ora ci sono tanti giovanissimi: quindici, sedici, diciassette anni, quasi sempre stranieri, spesso rumeni o rom, a volte bulgari o nord africani.
Berretti, bermuda e telefonino aspettano le auto e si alternano nei check point tutta la notte. Ce ne sono alcuni che hanno la postazione fissa nei pressi di una concessionaria di auto.
IL BAMBINO
Tra loro, una sera, spunta anche un bambino. Sembra non avere più di sei anni, quasi certamente rom. Accanto a lui un uomo grosso e adulto.
Ripassiamo di continuo, per capire se resta tra i prostituti. Lui c’è sempre. Sta lì per tutta la serata. Qualche giorno dopo avviciniamo con una scusa i due ragazzi che «lavorano» abitualmente su quella strada.
Sono dei veri e propri operai della prostituzione: il loro turno è dalle 19.30 in poi.
«Minorenni? Si, ce ne sono. Non sempre però. Dipende dalle famiglie, sono loro che li mettono sulla strada. Io ne conosco qualcuno, sono rom del campo di Gianturco (un enorme discarica/bidonville nella zona orientale della città e poco distante dalla stazione ndr). Ci sarà anche qualcuno che lo fa di nascosto ma in generale sono le famiglie a mandarli».
LA PROSTITUZIONE MINORILE
Il fenomeno della prostituzione minorile è una nuova forma di tratta: i bambini vengono venduti, o usati dalle famiglie per fare soldi.
«Purtroppo è così — spiega Deborah Divertito, operatrice sociale da anni impegnata sul fronte della prostituzione e dei minori — e Napoli è diventata una meta allettante per questi traffici perchè è facile ottenere documenti falsi tramite le organizzazioni criminali o anche attraverso laboratori clandestini del centro città o della zona flegrea. Inoltre i controlli sono pochissimi e c’è molta tolleranza».
Con Deborah facciamo un vero e proprio tour, durante il quale veniamo anche bersagliati con dei sassi.
«Le postazioni sono quasi sempre le stesse, per gli uomini spesso i clienti sono abituali. Sulla strada ci sono per lo più adolescenti, sia maschi che donne. Offrono prestazioni sessuali a prezzi bassi. I ragazzi si riconoscono più facilmente mentre le ragazzine si truccano molto e si vestono in modo da attirare i clienti, quindi sembrano più grandi. Sono quasi sempre ragazze dell’est o nigeriane, quasi sempre vittima di tratta, entrate in Italia con dei sogni e buttate per strada con violenze e ricatti. I ragazzi sono per lo più rom o bulgari e partono dai 13 anni. Molto spesso si prostituiscono nei cinema a luci rosse dove per entrare esibiscono documenti falsi».
Decidiamo di entrare in qualche cinema: in effetti la sala per le visioni è praticamente deserta, mentre nei corridoi, nella hall e verso i bagni è pieno di persone.
In effetti ci sono tanti ragazzini, le loro facce e i berretti tradiscono la giovanissima età . Li senti contrattare con altri clienti del cinema.
Qualche coppia si dirige verso le «cabine»: si tratta di stanzette piccolissime in cui, pagando un’extra si può vedere un film in totale privacy.
Cosa possa succedere in quelle salette è facile immaginarlo. Questo tipo di prostituzione avviene in genere di mattina e nel pomeriggio.
Anche quella nei pressi del Corso Meridionale e del Centro Direzionale avviene alla luce del sole.
LO SCEMPIO
«Sono qui già dalle nove del mattino — racconta Alessandro Gallo, consigliere della IV municipalità — spesso incrociano i bambini che vanno a scuola qui al Centro Direzionale.
Questa vergogna è sotto gli occhi di tutti: qui ci sono le principali sedi istituzionali della città , ci sono gli uffici della Regione Campania e del Consiglio Regionale, c’è il tribunale.
Solo il pensiero che intorno a questa zona si aggirano pedofili fa rabbrividire. Se parcheggi l’auto da queste parti sei costretto a scendere su un tappeto di preservativi usati e fazzoletti.
La gente della zona e dei quartieri limitrofi come il rione Luzzatti, è molto colpita da questo fenomeno e così ho promosso una raccolta di firme, ce ne sono quasi duemila con tanto di documento, per chiedere al sindaco di Napoli un consiglio comunale monotematico per affrontare e risolvere la questione.
Va salvaguardata la sicurezza dei residenti e il diritto dei bambini ad essere semplicemente bambini e non costretti a prostituirsi.
Qui è pieno di sottopassaggi e anfratti e quindi i clienti di prostitute e prostituti hanno gioco facile, anche se proprio i ragazzini spesso si mettono proprio sui muretti del centro direzionale ad aspettare i clienti. L’area è completamente videosorvegliata anche se molte telecamere non sono funzionanti».
C’è una telecamera anche alla fine del Corso meridionale, proprio dove c’è uno dei più frequentati check point. Facciamo un po’ di giri dopo mezzanotte anche nel centro direzionale: ci sono ancora bambini che giocano a pallone o con le biciclette.
Tutti sono accompagnati dai genitori.
Cento metri più in là , per strada, altri bambini, invisibili, a cui hanno rubato l’infanzia.
Amalia De Simone
(da “il Corriere della Sera”)
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Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile
SUL NO ALLA SFIDUCIA: “VOLETE SALVARE LE POLTRONE”
Apri la pagina Facebook di Guglielmo Epifani e ti accoglie un insulto: «Bravo… buffone!!!».
Scorri quella di Anna Finocchiaro e ti colpisce una citazione: «Io nun ce l’ho co’ te, ma co’ chi te c’ha messo e nun te sputa in faccia».
Clicchi sul profilo di Dario Franceschini e ti imbatti nella peggiore delle accuse: «La dignità è persa per una poltrona».
Insomma, per il Pd è una Caporetto del web.
Subìta in nome di Angelino Alfano.
Il colpo di frusta sul caso kazako è doloroso.
Insultati su Twitter, dileggiati su Facebook e messi alla berlina in Rete, i dirigenti democratici sono costretti ad assistere a un’escalation di critiche. Durissime.
Un assaggio? Basta spulciare: «Ogni volta che un ministro di (irriferibile-ndr) fa (irriferibile- ndr) si invoca dal Pd l’emergenza del Paese. Ecco cos’è il Pd, una banda di ipocriti», scrive Paolo con incontenibile rabbia.
Il picco della delusione si registra nel pomeriggio, alimentato dall’annuncio del no alla mozione di sfiducia al ministro berlusconiano.
La cosa migliore, per chi ha a cuore le sorti di via del Nazareno, è evitare almeno per un giorno il terreno minato di Twitter.
Le parole chiave “Alfano” e “Pd” vanno forte. E a mettere in fila i commenti si ottiene un risultato e uno soltanto, in barba a ogni media statistica: «Chi lo avrebbe mai detto che votando Pd – dice ad esempio Mauro – avresti salvato la poltrona di Alfano?». «Curioso di sapere quanti voti ha perso il Pd nell’ultimo mese tra balletti giudiziari e spettacoli kazaki».
Tanti, tantissimi giurano che mai più voteranno democratico.
Nessuna prova che l’abbiano fatto in passato, ma comunque: «Non vi interesserà – premette secco Walter – ma da oggi avete un voto in meno».
O Anna Maria: «Così facendo tradite i vostri elettori e pagherete tutto questo alle prossime elezioni. Preparatevi a scomparire!».
Letteralmente sommerso da cinguettii infausti è soprattutto il segretario a tempo Epifani.
Lo prendono di mira e lo bersagliano per l’intero pomeriggio. Basta cercare “@gu-epifani” e attendere pochi istanti. «Vergogna – siindigna Innocenzo – salvare Alfano… sono da oggi un ex pd». «Mi astengo dal giudizio per evitare una querela», si contiene a stento un altro utente.
O, ancora: «Prima o poi si tornerà a votare. Allora raccoglierete i frutti di questa incomprensibile, ininterrotta semina».
Andrea, addirittura, sembra aver perso le parole: «#clap clap clap clap!!!! #Pd #Alfano #fidatevi».
Pochi, pochissimi la prendonocon ironia.
Una è Maria Francesca: «Ma quindi “Mi Fido Di Te” di Jovanotti… era una dedica ad Alfano? ». E come Fabio: «Tra un po’ ad Alfano gli danno la tessera del Pd ad honorem. È come se l’Inghilterra naturalizzasse Maradona ».
Anche la compagnia di voli low cost Ryanair deride il ministro dell’Interno per promuovere la tratta tra Roma e la siciliana Comiso.
Qualcuno chiama in causa anche Matteo Renzi, che in tv spiega perchè avrebbe sfiduciato Alfano. C’è chi ironizza sulla divisione dei senatori vicini al sindaco e chi invece punta tutto sul politico fiorentino.
Come Monica: «E allora perchè non fondiamo un altro partito? Lasciamoci alle spalle il Pd con le sue incongruenze».
E “Angelino”? Grande appassionato dei social, il ministro dell’Interno non cinguetta da cinque giorni.
Dopo il 13 luglio, il silenzio.
Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica”)
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Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile
L’ EDITORIALE: “CREDIBILITA’ DEL GOVERNO IN CRISI”
Il Financial Times commenta il caso Shalabayeva a proposito del ruolo avuto nella vicenda dal
ministro dell’Interno Angelino Alfano scrive: “Sarebbe saggio dimettersi e lasciare l’incarico di ministro dell’Interno a un collega di partito”.
In un editoriale intitolato “Romès imbroglio”, il quotidiano della City rileva che “l’Italia non può permettersi una crisi politica” ma aggiunge che “la credibilità del governo sarebbe messa in crisi se nessuno si prendesse la responsabilità della vicenda”.
“Anche se Alfano non avesse saputo” del blitz con cui furono rimpatriate la moglie e la figlia del dissidente kazako, argomenta il Financial Times, “questo vorrebbe dire che non ha un adeguato controllo sul suo ministero”.
L’editoriale giudica pesantemente anche le forze dell’ordine italiane: “Non sono famose per la loro efficienza ma a maggio la polizia è stata sorprendentemente veloce nel deportare la moglie e la figlia di un dissidente kazako”.
E sottilinea poi la portata politica della vicenda. “Sorprendentemente nessuno si è assunto la responsabilità politica del pasticcio. Giuseppe Procaccini, capo dello staff del ministro si è dimesso e lo stesso Alfano nega di aver saputo alcunchè della deportazione ma le sue dichirazioni sono contraddette da quelle di Procaccini”.
In ogni caso, insiste il quotidiano della City, “anche se Alfano davvero non avesse saputo, questo vorrebbe dire che non ha un adeguato controllo del suo ministero”.
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Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile
UN GULAG SENZA GARANZIE: ISOLAMENTO E VIOLENZA NELLE CARCERI, REPRESSIONE DEL DISSENSO FUORI
La terra dei Cosacchi, degli spiriti indipendenti, dei leggendari cavalieri liberi e selvaggi, è in realtà un luogo di abusi e di impunità , grande più dell’Europa occidentale ma molto meno popolato, dove le carceri sono incubi e la repressione ancora quella dei tempi di Stalin, che proprio qui aveva voluto i suoi campi di concentramento per dissidenti.
Il regime di Nursultan Nazarbaev, l’ultimo ad abbandonare riluttante l’Urss in disfacimento, ha garantito una continuità di metodo: le organizzazioni per la difesa dei diritti umani raccontano di un gulag senza garanzie e senza speranze, con violenza e isolamento dentro le prigioni, repressione e paura fuori.
L’unica rottura con il passato è in economia, con il via libera allo sfruttamento dei lavoratori, in nome del capitalismo petrolifero.
Il regime è considerato “tollerante” in tema di religione, e la storia delle deportazioni volute dal “piccolo padre” georgiano ha imposto una tradizione di convivenza fra diverse etnie.
Ma forse nazionalismi e religioni sono considerati sovrastrutture, ciò che conta sono i giacimenti, su cui si svela il pugno di ferro dell’ex leader sovietico, eletto presidente per la terza volta con oltre il 95 per cento dei voti.
Il “caso” più eclatante, lo sciopero degli operai represso brutalmente a Zhanaozen, è rimasto un simbolo dell’incapacità di uscire dalla logica dittatoriale, tanto che le autorità kazake stanno valutando persino se proporre alla popolazione locale un referendum per dimenticare il vecchio nome sporco di sangue e ribattezzare la cittadina Beket-Ata, con il nome di un filosofo Sufi nato da quelle parti.
Era il 2011 quando gli operai del campo di Ozenmunaigas incrociarono le braccia, per sentirsi dire che lo sciopero era illegale e decidere di occupare la piazza del paese.
Nei disordini che seguirono, almeno 15 persone rimasero uccise.
Chi sopravvisse alle pallottole della polizia, finì poi davanti ai giudici, decisi a non ascoltare le denunce di tortura e abusi.
Nè il presidente Nazarbaev ha mai ascoltato il cantante Bavyrjan, che ai fatti di Zhanaozen ha dedicato una canzone: era così critica che il regime ha preferito vietarla.
Ufficialmente la repressione era dovuta al sospetto che lo sciopero degli operai fosse stato strumentalizzato da un vecchio nemico di Nazarbaev, l’oligarca Mukhtar Ablyazov, per cercare di rovesciare il presidente.
Ma nessun riferimento a cospirazioni internazionali può cancellare le denunce di Amnesty International, di Human Rights Watch, della Fondazione Open Dialog, sulla gestione dei processi, sul trattamento dei detenuti, sui limiti alla libertà di stampa e al diritto di espressione.
Alla fine, dietro le sbarre sono finiti 37 fra operai e attivisti, ma nessun agente.
La certezza dell’impunità favorisce poi il trattamento disumano di arrestati e detenuti. E i racconti che filtrano sono raggelanti: l’attivista sindacale Roza Tuletaeva, che organizzava i lavoratori di Zhanaozen, ha rifiutato di fornire durante il processo i dettagli degli abusi sessuali subiti, perchè in aula c’erano i suoi parenti e amici. Pestaggi, esposizione al freddo, minacce, persino soffocamenti provocati da buste di plastica: la lista delle sevizie è lunga.
Ma nemmeno i richiami dell’Onu e quelli dell’Europa hanno smosso qualcosa.
Oltre alle vicende italiane, anche la recente visita del premier britannico David Cameron, che ha posto con linguaggio molto prudente il problema dei diritti umani, ne è la prova: Nazarbaev ha risposto che nessuno stato straniero deve dire cosa fare al Kazakhstan.
In altre parole, finchè il presidente-padrone controlla i rubinetti del petrolio, nessuno potrà impedirgli di fare del suo popolo quello che vuole.
Giampaolo Cadalanu
(da “La Repubblica“)
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Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile
ACCOLTE LE RICHIESTE DEL PM CHE AVEVA DEFINITO LE SERATE DI ARCORE “ORGE BACCHICHE”
I giudici hanno condannato Emilio Fede e Lele Mora a 7 anni a di reclusione, a Nicole Minetti
inflitti a 5 anni sono per il reato di favoreggiamento, mentre sono stati assolti dall’accusa di induzione alla prostituzione.
Mora e Fede sono stati anche condannati all’interdizione perpetua dei pubblici uffici, mentre per l’ex consigliera regionale del Pdl è stata fissata l’interdizione a 5 anni.
I giudici, come già successo nel processo principale, hanno trasmesso gli atti alla Procura perchè valutino le dichiarazioni di molti testimoni, dello stesso Silvio Berlusconi e dei suoi avvocati: Niccolò Ghedini e Piero Longo.
La procura, rappresentata dal pm Antonio Sangermano e dall’aggiunto Piero Forno, per gli imputati avevano chiesto sette anni di carcere per induzione e favoreggiamento della prostituzione anche minorile.
Durante la requisitoria l’accusa aveva definito le serate di Arcore “orge bacchiche”.
Il processo principale si era concluso con la condanna a sette anni di reclusione per Silvio Berlusconi, accusato di concussione e prostituzione minorile.
Secondo gli inquirenti sono in tutto 34 le ragazze che sono state indotte a prostituirsi durante le serate ad Arcore per soddisfare, come è stato chiarito in requisitoria, il “piacere sessuale” del Cavaliere.
Serate che erano “articolate” in tre fasi: la prima “prevedeva una cena”, mentre la seconda “definita ‘bunga bunga’” si svolgeva “all’interno di un locale adibito a discoteca, dove le partecipanti si esibivano in mascheramenti, spogliarelli e balletti erotici, toccandosi reciprocamente ovvero toccando e facendosi toccare nelle parti intime da Silvio Berlusconi”.
La terza fase riguardava infine la conclusione della serata e il suo proseguimento fino alla mattina dopo: consisteva, scrivono i pm, “nella scelta, da parte di Silvio Berlusconi, di una o più ragazze con cui intrattenersi per la notte in rapporti intimi, persone alle quali venivano erogate somme di denaro ed altre utilità ulteriori rispetto a quelle consegnate alle altre partecipanti”.
A queste feste, per 13 volte (il 14, il 20, il 21, il 27 e il 28 febbraio, il 9 marzo, il 4, il 5, il 24, il 25 e il 26 aprile, e l’1 e il 2 maggio del 2010) c’era anche Karima El Mahroug, in arte Ruby Rubacuori, non ancora 18enne.
La ragazza marocchina, in base all’ipotesi accusatoria, sarebbe stata scelta da Fede nel settembre del 2009 dopo un concorso di bellezza in Sicilia, a Taormina, dove lei era tra le partecipanti e l’ex direttore del Tg4 uno dei componenti della giuria.
Secondo le indagini, andò ad Arcore la prima volta accompagnata da Fede con una macchina messa a disposizione da Mora.
Per i pm, però, ciascuno dei tre imputati, in quello che è stato chiamato “sistema prostitutivo”, aveva un ruolo ben preciso.
Lele Mora “individuava e selezionava”, anche insieme a Emilio Fede, “giovani donne disposte a prostituirsi” nella residenza dell’ex capo del Governo scegliendole in alcuni casi “tra le ragazze legate per motivi professionali all’agenzia operante nel mondo dello spettacolo” gestita dall’ex agente dei vip. Inoltre Mora, come Fede, “organizzava” in alcune occasioni “l’accompagnamento da Milano ad Arcore” di alcune delle invitate alla serate “mettendo a disposizione le proprie autovetture”, con tanto di autista.
I pm in requisitoria hanno paragonato Mora e Fede ad “assaggiatori di vini pregiati”, perchè valutavano la gradevolezza estetica delle ragazze e le sottoponevano a “un minimo esame di presentabilità socio-relazionale”, prima di immetterle nel “circuito” delle cene. Nicole Minetti, invece, avrebbe fatto da intermediaria per i compensi alle ragazze — in genere girati dal ragionier Giuseppe Spinelli, allora fiduciario e “ufficiale pagatore” per conto del leader del Pdl — che consistevano “nella concessione in comodato d’uso” degli appartamenti nel residence di via Olgettina e “in contributi economici” per il loro mantenimento o addirittura per il pagamento delle utenze di casa o delle spese mediche fino agli interventi di chirurgia estetica. Inoltre anche l’ex consigliere regionale, nonchè ex igienista dentale di Berlusconi, “in alcune occasioni” si premurava di mettere “a disposizione” delle giovani le proprie auto per raggiungere Villa San Martino.
I pm in aula l’hanno definita una sorta di “amministratrice di condominio”, sottolineando come lei nelle serate, non solo era una delle ‘spogliarelliste’, ma abbia anche compiuto “atti sessuali retribuiti”. Sia Minetti sia Mora e Fede, infine, secondo i pm, sapevano che Ruby era minorenne, quando l’hanno indotta a prostituirsi con l’ex premier.
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Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile
GHANESE, VIVE DA 16 ANNI IN ITALIA, E’ OPERAIO ALL’ELECTROLUX DI PORCIA, PARLA PERFETTAMENTE L’ITALIANO E MANTIENE QUATTRO FIGLI…LA QUESTURA DI PORDENONE GLI FA L’ESAME DI POLITICA E LO BOCCIA…LA FIGLIA LO FA AI CONCITTADINI ITALIANI E SCOPRE CHE NE SANNO ANCORA MENO
Se li conosci li eviti, se non li conosci rischi l’espulsione.
Così insegna la storia di Addai, un ghanese che ha tutti i requisiti ma non ottiene la cittadinanza italiana perchè non sa chi siano Alfano, Berlusconi, Casini.
E a dirla tutta, neppure Grillo, Di Pietro, etc…
Mentre il governo Letta e tutti noi siamo costretti a mandar giù le battute razziste di Calderoli e improbabili autoassoluzioni di Alfano sullo scandalo kazako, l’Italia cambia idea sull’immigrazione: la cittadinanza si ottiene grazie allo “ius partiti”.
Non è uno scherzo, è successo davvero.
Lo rivela il surreale e kafkiano parere con cui l’Ufficio Immigrazione della Questura di Pordenone, lo scorso gennaio, ha addotto quelle motivazioni per negare la naturalizzazione di un immigrato che — altra colpa grave — “conosceva i nomi di Monti e Napolitano, ma non di Ciampi”.
Il solerte funzionario non ha dubbi: respinto. La relazione, trasmessa alla Prefettura perchè finisca al Ministero dell’Interno, mette fine alle speranze di Addai Richie Akoto, operaio, padre di quattro figli in Italia da 16 anni.
Lo incontriamo a Pordenone, scopre da noi la brutta notizia.
La famiglia gli si stringe attorno. A sentire tutta la storia non ci sono dubbi, è un perseguitato politico.
Ma non dalle autorità del Ghana, da cui è scappato nel 1997 passando per la frontiera di Ventimiglia quanto da quei politici che distrattamente vede in tv.
Il rapporto, che è un atto interno, riporta un casellario giudiziale intonso, un quadro sociale sereno.
Vive in appartamento “per il quale versa un affitto di 650 euro” con tre figli e la moglie, tutti cittadini stranieri regolarmente soggiornanti. Versa anche 180 euro al mese per la stanza della figlia che frequenta Geologia a Trieste.
Quei soldi Addai se li suda e lo zelante estensore lo scrive pure: dal 2004 è assunto a tempo indeterminato all’Electrolux di Porcia, cuore industriale di Pordenone alle prese con 150 esuberi e con cassa e mobilità in scadenza a fine mese.
Se perde il posto, lui rischia l’espulsione con tutta la famiglia. Non conta.
Il dirigente vuole invece accertare, come impone la legge, il suo livello di preparazione linguistica e culturale.
Addai parla e legge l’italiano e “comprende anche le parole più complesse”.
Evviva, e allora? “Tuttavia ha una conoscenza storica, geografica e delle Istituzioni del nostro paese non sufficiente, confusa e lacunosa”.
Che avrà mai detto? Non ricorda le date delle feste nazionali, confonde quella della Repubblica con l’Unità d’Italia (istituita appena due anni fa e ignota ai più, ndr), i relativi periodi storici ed “afferma che Garibaldi era prima un politico e poi uno scrittore, senza essere in grado di dare la risposta esatta”.
Alt, parentesi: sul politico si può discutere, ma non c’è dubbio che abbia scritto poemi, lettere, memorie e trattati. Il meglio arriva ora: “Quanto alle istituzioni conosce i nomi di Napolitano e Monti, ma non di Ciampi e neppure la durata in carica del presidente della Repubblica che indica a vita”.
Il doppio settennato di Napolitano, in realtà , sembra anche dargli ragione.
Ed ecco il brivido vero: “Conosce il Parlamento e le due camere, (..) alcuni partiti principali, ma ha sbagliato i leader del Pdl, non conosce Grillo nè Casini e Di Pietro”. Inaccettabile: “si esprime parere sfavorevole”.
Così un dirigente ha deciso il destino di un aspirante italiano e chissà quanti altri. Almeno fino a luglio, quando il Ministero è ricorso a più miti consigli, anche grazie a un’interrogazione parlamentare di Sel sull’anomala parsimonia nelle concessioni.
La legge sulla cittadinanza (L.91/1992) e la circolare con le procedure di concessione fanno riferimento a “principi fondamentali cui si ispira il nostro ordinamento”. Qualcuno qui, ma forse anche altrove, fa a modo suo, assumendo che esponenti dei partiti (e non delle istituzioni) siano parte dell’ordinamento.
E che l’infausto destino dei cittadini italiani sia di doverli conoscere uno per uno. Postilla: con la terzogenita Jonaqline, quarta liceo, siamo andati a fare le stesse domande rivolte al padre ai residenti italiani.
Il risultato è esilarante.
E ora, chi si prende la briga di revocare loro la cittadinanza?
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile
IL PD ESPOSITO INFURIATO: “CHI SI E’ ASTENUTO DEVE ANDARSENE: NOI CHE ABBIAMO VOTATO COME CI HA DETTATO IL GRUPPO COSA SIAMO, DEI CRETINI?”… MOLTI ELETTORI PD GLI RISPONDEREBBERO: “SI’, LO SIETE”
Tutto come previsto. Il Senato respinge la sfiducia al ministro dell’interno Angelino Alfano per il
caso Ablyazov.
Il partito democratico segue gli ordini del Colle e ingoia il boccone amaro. “Non ci si avventuri a staccare spine o creare vuoti”, aveva detto durante la cerimonia del Ventaglio, Giorgio Napolitano, aggiungendo: “Se cade il governo i contraccolpi sarebbero irrecuperabili”.
Così sono stati 226 i voti contrari alla sfiducia, 55 a favore dai banchi del Movimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia e Libertà , tredici gli astenuti.
Pippo Civati, il deputato democratico che ha accennato una rivolta: “Siamo commissariati dal Quirinale”, ha scritto sul blog.
Ma nonostante i mal di pancia, il risultato è stato l’astensione di alcuni senatori della Lega Nord e di un gruppo Pd. Nella lista di chi ha osato andare contro le indicazioni dell governo delle larghe intese ci sono Laura Puppato, Lucrezia Ricchiuti e Walter Tocci. Non hanno partecipato al voto, usciti al momento della chiamata.
Responsabilità e trasparenza, i principi invocati dal premier Enrico Letta.
Qualcuno però ha provato a reagire e non tutti hanno accolto con tolleranza l’indipendenza dei colleghi del partito democratico.
Ad attaccare i “dissidenti” è il senatore Stefano Esposito: “E’ inaccettabile”, dice “che non abbiano seguito la linea indicata dal gruppo e non abbiano partecipato al voto sulla sfiducia ad Alfano. Non puoi stare in un partito per sputargli addosso, non possiamo andare avanti con gli abbonati alle posizioni in dissenso. Vuoi fare l’eroe? Vuoi il voto di Grillo? E allora vattene con Grillo”.
Se la faccia la perde uno, che lo facciano tutti, è il concetto che ripete Eposito: “Ora basta. Ieri abbiamo discusso quattro ore e oggi abbiamo votato la fiducia a Letta e scaricato Alfano: è chiaro? Ma cosa siamo noi che abbiamo votato come ci ha chiesto il gruppo, dei cretini? Siamo tutti dei cretini? La loro mancata partecipazione al voto non si motiva: l’intervento di Zanda li rende ridicoli”.
E se la prende con quello che chiama il “mandante”: “Gli astenuti sono tutti civatiani, capisco che Civati voglia fare il suo gruppo. Ma a questo punto cosa si candida a fare alla segreteria se non gli piace il partito?”.
“C’è un regolamento, e a quello bisogna attenersi, una decisione condivisa e che qualcuno non ha rispettato, ha concluso Esposito.
“Mercoledì 23 luglio”, ha annunciato su twitter, “è stato convocata urgentemente una riunione al Senato se non saranno assunti provvedimenti io uscirò dal gruppo”.
Chi minimizza è invece Luigi Zanda, capogruppo in Senato del Partito democratico e autore di un discorso che ha lanciato molte accuse al ministro dell’interno: “Ci incontreremo, ma sarà una semplice riunione organizzativa”.
In molti non hanno apprezzato le parole del senatore, tanto che Silvio Berlusconi ha commentato: “Alla fine pensavo che il senatore avrebbe votato sì alla mozione. Non mi sono piaciuti quegli attacchi”.
L’esponente del Pd al momento del suo intervento in Senato non ha abbassato i toni, ma chiesto trasparenza e una riflessione allo stesso Alfano: “Valuti se ha tempo per svolgere i tre ruoli di ministro, segretario del Pdl e di vicepremier”.
E ha concluso invocando l’applauso per il bel gesto di Josefa Idem, ministro dimissionaria appena un mese prima. “Un gesto di generosità politica”, che qualcun altro non è riuscito a fare”.
Zanda insomma avrebbe voluto che fosse Alfano a togliere le castagne dal fuoco al Pd, perennemente incapace di scelte coraggiose.
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Luglio 19th, 2013 Riccardo Fucile
PIETRO GRASSO LO GELA: “NON CREDO CHE SALVATORE SIA ANCORA IN CONDIZIONE DI ESSERE RICORDATO”
Agende rosse in Aula al Senato: le hanno esibite i senatori del Movimento 5 Stelle, per ricordare l’attentato di via D’Amelio e l’agenda di Paolo Borsellino misteriosamente scomparso.
Ma trasformarsi in apprendisti stregoni senza averne le basi talvota costa caro e fa emergere tutto i limiti che i Cinquestelle hanno quando si tratta di parlare di qualcosa di diverso dalle diarie.
Può capitare che in un gruppo composto da decine di deputati qualcuno si confonda, per carità .
Ma che sia addirittura il capogruppo del M5S Nicola Morra l’autore di una colossale gaffe è singolare.
Morra, chiudendo il suo intervento, dice sicuro di voler ricordare “Salvatore Borsellino” e di voler sapere dov’è finita l’agenda rossa.
Il presidente del Senato Pietro Grasso prima richiama i senatori M5S a rimuovere le agende rosse esibite dai banchi dell’opposizione, poi rimbrotta Morra: “Dobbiamo ricordare Paolo Borsellino, non credo che Salvatore (fratello di Paolo, tuttora vivente e animatore appunto del movimento della agende rosse che chiede verità e giustizia sulla strage, ndr) sia ancora in condizione di essere ricordato”.
Sconcerto tra le file grilline: anche oggi una brutta figura sono riusciti a rimediarla.
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