Luglio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
PARLANO TUTTI SENZA POTER PROVARE QUELLO CHE DICONO, COSI’ LA TENSIONE AUMENTA… SE IL SENATORE CERCA NOTORIETA’ FAREBBE MENO DANNI SE ANDASSE DA “AMICI” COME RENZI
Stefano Esposito, senatore Pd, accusa una manifestante No Tav di aver mentito sulle
molestie della polizia.
Poi arriva anche una lettera intimidatoria nei confronti del senatore e della sua famiglia, firmata con la stella a cinque punte che ricorda quella delle Brigate Rosse.
E le minacce diventano un caso politico. “Ormai la tua vita non vale più niente”, è scritto in un passaggio della lettera.
“Io non ho paura perchè questi sono buoni solo dietro una maschera antigas in 200 a fare il tiro al poliziotto. Nella vita mi sono scelto questa battaglia e li aspetto, vengano pure”, ha commentato Esposito.
“Queste persone – dice ancora – sono legittimate da alcuni partiti, forze politiche e personaggi: Cinque Stelle, Vendola e Rifondazione Comunista che parla di occupazione militare”
E dopo le minacce ha ribadito la sua idea circa le dichiarazioni di Marta Camposana, pisana, movimentista No Tav, che aveva denunciato violenze e molestie subite da parte della polizia: “Si è inventata di essere stata toccata, palpeggiata. Una vergogna per le donne che subiscono violenza. Hanno fatto bene a manganellarla”.
Esposito, fervente sostenitore dell’alta velocità , aveva commentato su Twitter le denunce di Camposana, pisana, movimentista No Tav. Aveva scritto “Parte da Pisa per andare a fare la guerra allo Stato, prende giustamente, qualche manganellata e si inventa di essere stata molestata #bugia”.
E sugli scontri: “Se vogliamo debellare questa forma di guerra allo stato dobbiamo ‘decapitare’ i mandanti politici e le organizzazioni che li sostengono”.
In un modo o nell’altro, l’accusa di maltrattamenti e molestie lanciata dall’attivista No Tav Marta Camposana sabato dopo gli scontri a Chiomonte lascerà degli strascichi.
E il sindacato di Polizia è pronto anche a fare partire una denuncia per diffamazione ai danni della ragazza.
“O la ragazza procede con una denuncia formale, oppure sarà il sindacato a prendere l’iniziativa, per difendere l’onorabilità e la reputazione degli agenti. Chi lancia accuse di questo tipo deve essere pronto a sopportarne anche tutte le conseguenze. O la ragazza ha un filmato che mostra i poliziotti che la palpeggiano e allora ben venga una condanna, ma se non fosse vero e dovesse avere inventato tutto visto che negli ultimi tempi lo sport sembra essere quelli di andare addosso al carabiniere, al poliziotto, al finanziere, allora ne risponderà “.
Quello di sconcertante in tutta questa vicenda è che tutti parlano ma non esiste uno straccio di prova: chi la esige dagli altri poi sfiora il grottesco e chi fomenta disordini, da una parte o dall’altra, dovrebbe essere richiamato alle proprie responsabilità .
Chi manifesta in modo violento va sanzionato in base alle leggi, così come chi eccede nella repressione del dissenso.
Marta Camposana non è affatto obbligata a stare a casa, in Italia manifestare è ancora lecito senza per questo meritare di essere manganellata come auspica il sen Pd, novello capomanipolo.
La Camposana ha evidenti segni di percosse (meritate. secondo Esposito) così come alucini poliziotti feriti.
Ai poliziotti però nessuno avrebbe palpato il fondoschiena o altro, qua starebbe la differenza.
La Camposana sostiene di essere stata insultata (cosa che peraltro sarebbe successo anche ad Alma definita “puttana russa”, in altre circostanze), ma afferma cose che non può evidentemente provare.
Peggio fa il sindacato di polizia che la invita a mostrare il filmato del palpeggiamento, come se esistesse la possibilità per un fermato di filmare i momenti del proprio fermo in una caserma o location simile, sporgere il culo e immortalare la toccata e fuga del milite ignoto.
Peggio di tutti ancora il senatore capostazione Esposito che, quasi fosse stato presente, accusa la Camposana di esservi inventata tutto.
Per poi fare l’apologia del manganello.
Ciliegina sulla torta la lettera di minacce da sedicenti gruppi simil Br: ci manca giusto che qualcuno accusi Esposito di essersela scritta da solo e le comiche sono complete.
Ma qualcuno che inviti ad abbassare i toni esiste o dobbiamo tutti immolarci per la nuova madre di tutte le battaglie?
Cominci magari Epifani, regalando a Esposito una comparsata da Amici, in puro stil Renzi: magari capisce che può farsi conoscere anche parlando di nulla, piuttosto che fungere da provocatore, categoria già abbastanza diffusa, sparando ad alzo zero senza prove.
Oppure stabiliamo una regola deontologica: tutti girino con un casco con telecamera incorporata, cos’ sono tutti tutelati, rivoluzionari e questurini, palpeggiate e palpeggiatori, provocatori e provocati.
In caso di dubbi si potrebbe chiedere sempre la moviola, Biscardi lo sostiene da tempo.
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Luglio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
MA LO SLITTAMENTO POTREBBE ESSERE CHIESTO DAI COIMPUTATI
«Se devono condannarmi, tanto vale che lo facciano subito. Non ne posso più. È inutile prolungare ancora questa farsa. Tanto i giudici hanno già deciso tutto». Ufficialmente Berlusconi non parla del processo Mediaset, ma con amici e avvocati rompe gli indugi.
È stanco, lo ammette, a chi gli suggerisce un rinvio dice: «È inutile, serve solo a prolungare questa attesa che mi sta stressando e a riproporre ogni giorno gli stessi articoli sui giornali».
Fango nel ventilatore, insomma.
Meglio chiudere il 30 luglio, in quell’udienza in Cassazione criticatissima dai difensori perchè, dicono loro, «non rispettosa dell’effettiva prescrizione e del pieno diritto della difesa».
Un’udienza – è il cicaleccio ricorrente nelle stanze del Cavaliere – che alla Suprema corte sarebbe stata fissata soprattutto grazie al filo diretto con la procura di Milano che ha anticipato il più possibile la data di scadenza della prescrizione.
Il 3 agosto, hanno detto i pm.
Il 26 settembre, controbatte l’avvocato Niccolò Ghedini che, secondo il collega Franco Coppi, «ha fatto calcoli minuziosi e precisi, per difetto semmai, ma di certo non per eccesso».
Il 29 agosto, sostiene palazzo Chigi, che si è costituito parte civile.
Nel guazzabuglio delle date – almeno fino a ieri sera, perchè con Berlusconi ogni giorno porta la sua sorpresa a seconda di dove spira il vento della politica – lui ha deciso che gli conviene non fare mosse per spostare il processo.
Nessuna richiesta di rinvio, dicono dunque i suoi legali Ghedini e Coppi.
«Salvo che non la chiedano i difensori degli altri tre imputati » aggiungono. Ma gli avvocati di Frank Agrama, Gabriella Galetto, Daniele Lorenzano – Roberto Pisano, Filippo Dinacci, Luca Mucci e Luigi Fenizia – non hanno ancora deciso e, per quanto si può capire, tendenzialmente si comporteranno come quelli di Berlusconi
I quali sono convinti che se deve arrivare una condanna, tanto vale che cada proprio il 30 luglio per numerosi motivi.
Si potrà dire che, vista la fretta, la conclusione «era già scritta tant’è che i giudici non hanno voluto sfruttare il tempo di cui pure avrebbero potuto godere per studiare la causa ».
In pieno agosto, la sentenza di condanna, che viene data per certa al 90%, «sarà fagocitata dal solleone, e presto dimenticata, com’è avvenuto per quella di Ruby».
Lo stesso dicasi per il dibattito sull’interdizione che il presidente della giunta per le immunità del Senato Dario Stefà no vuol far partire immediatamente.
Dunque, avanti. Viene messa da parte anche l’ipotesi di rinunciare alla prescrizione, pensata soprattutto come escamotage mediatico.
Il “principe del foro” Coppi, che pur l’ha ipotizzata e proposta, non se la sente di incassare l’eventuale no della Cassazione perchè, come Repubblica ha scritto sin dal 13 luglio anticipando il possibile «inghippo», la prescrizione è rinunciabile quando essa è maturata e non prima.
Ogni giorno che passa perde peso anche l’ipotesi del rinvio, perchè ne potrebbe nascere solo un ulteriore peggioramento della già cattiva situazione
È necessario spiegare bene questo passaggio perchè è cruciale in quest’ultima partita a scacchi sulla vita giudiziaria e politica del Cavaliere, alla fine della quale ci potrebbe essere una condanna a 4 anni per frode fiscale e l’interdizione di 5 anni dai pubblici uffici.
A Ghedini e Coppi un rinvio del processo non dispiacerebbe. Ma è solo questione di date. In che giorno verrebbe rinviato l’ultimo step del caso Mediaset?
In pieno agosto, alla fine del mese, oppure a settembre?
Ogni ipotesi fa cambiare lo scenario dei giudici.
Un rinvio breve lascerebbe il caso nelle mani della sezione feriale presieduta da Antonio Esposito e del relatore Amedeo Franco.
Il primo giudicato «un nemico», il secondo «un ottimo magistrato». Tra gli altri tre giudici del collegio, almeno altri due «nemici»
Che succederebbe con un rinvio più o meno lungo?
Uno entro agosto lascerebbe il giudizio nelle mani delle sezioni feriali, in cui la radiografia delle toghe fatta nelle stanze del Cavaliere vede soprattutto toghe rosse, come quella di Gennaro Marasca.
La soluzione ideale, il rinvio lungo alla terza sezione ordinaria dopo il 15 settembre, presupporrebbe da parte della Cassazione di condividere in toto la tesi che la prescrizione scade oltre il 20 settembre.
Proprio questo rinvio “lungo” appare un miraggio, e quindi Berlusconi e i suoi avvocati ritengono che tanto vale chiudere il processo il 30 luglio e non pensarci più.
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Luglio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
LA “BANCA DELLE MARCHE” HA FINANZIATO GLI IMPRENDITORI DEL MATTONE, ORA TRAVOLTI DAI DEBITI… E FINISCE NEL MIRINO DELLA BANCA D’ITALIA
Uno degli imprenditori presenti parla di scena surreale: “Ci voleva Kafka”. È accaduto
giovedì scorso.
Il Governatore delle Marche, Gian Mario Spacca, ha convocato un centinaio di imprenditori, i più importanti della regione, e ha chiesto loro di mettersi una mano sul cuore e una sul portafoglio e di tassarsi per salvare la Banca delle Marche.
Accanto a Spacca c’era il presidente dell’istituto di credito, Rainer Masera, nominato appena il 9 luglio scorso su indicazione (sussurrata) della Banca d’Italia.
Masera, una prestigiosa carriera alle spalle, da Bankitalia all’Imi, ministro del Bilancio nel governo Dini (1995), ha fatto coro con Spacca inneggiando alla “marchigianità ” della banca. Ma tutti hanno riconosciuto che i conti sono “un disastro”.
L’ennesima storia di banche scassate e di politici locali che non vogliono perdere la presa.
Solo che stavolta la Banca delle Marche è veramente scassatissima.
Gli ispettori della Banca d’Italia, che dall’anno scorso stanno aprendo tutti i cassetti nella sede centrale di Jesi (in provincia di Ancona), non si decidono a chiudere la loro ispezione.
Qualcuno paventa lo la spettro del commissariamento a breve.
I numeri non perdonano.
A fine giugno la banca ha emesso un “prestito obbligazionario subordinato Upper Tier II”, cioè un prestito a tasso di rischio così elevato che la cedola promessa è del 12,5 per cento.
Si tratta di 80 milioni, che vanno trovati entro il 31 luglio per rientrare nei coefficienti patrimoniali minimi fissati dalla vigilanza bancaria.
Finora 20 milioni li hanno versati le Fondazioni di Jesi e di Pesaro, che insieme a quella di Macerata controllano il 55 per cento della banca.
Fondazioni squattrinatissime, modello Siena, con in più la Macerata in rotta con le altre due, che le hanno respinto la proposta di un’azione di responsabilità contro gli amministratori che hanno ridotto la banca in condizioni pietose.
Mancano all’appello 60 milioni, ed è questione di vita o di morte. Se gli imprenditori locali non si tassano Bankitalia prenderà in mano la situazione e Banca delle Marche sarà verosimilmente salvata da qualche gruppo del credito maggiore.
Il bilancio 2012 di Banca delle Marche, chiuso con 526 milioni di perdita, illustra perfettamente come si può ridurre una banca quando viene gestita dalle oligarchie politico-economiche del mai troppo lodato territorio. L’anno si è chiuso con 13,9 miliardi di finanziamenti in bonis, cioè senza problemi apparenti, e 4,7 miliardi di crediti deteriorati, come si dice in gergo.
Di questi, 1,3 miliardi sono stati semplicemente cancellati, cioè dati per persi, e sono rimasti 3,4 i miliardi di crediti deteriorati (cioè di difficile recupero), pari al 19,7 per cento degli impieghi. Per farsi un’idea si consideri che il sistema bancario italiano nel suo complesso, che se la passa sempre peggio come potete leggere nell’articolo a pagina 3, ha i crediti deteriorati attorno al 7 per cento degli impieghi.
La Banca delle Marche si è distinta perchè dopo il 2008, mentre gli altri istituti italiani chiudevano i rubinetti alle società immobiliari, ha deliberatamente ignorato la crisi del mattone innescata negli Stati Uniti, e ha continuato a largheggiare in crediti al settore.
Un’inchiesta del settimanale L’Espresso rivelò nel 2011 che “lo scrigno dei soldi facili della Cricca era stato individuato dai magistrati di Firenze e e Perugia nella Banca delle Marche. Balducci, Anemone e la loro corte di amici, soci e familiari godevano di percorsi facilitati per muovere denaro”.
La Banca d’Italia scrive da anni lettere di fuoco ai vertici dell’istituto di Jesi, che hanno reagito con girandole di nomine e dimissioni, fino all’arrivo di Masera.
In una di queste, rilevando una girandola di assegni per 160 mila euro versati su un conto dell’allora direttore generale Massimo Bianconi, la vigilanza tuonava: “Tali operazioni evidenziano profili di opacità che non appaiono coerenti con la deontologia professionale che deve connotare l’operato del-l’alta dirigenza di una banca”.
Bianconi ha lasciato la Banca un anno fa, con lauta buonuscita, dopo che Bankitalia aveva allungato lo sguardo su una’altra “opaca” operazione immobiliare fatta da Anna Rita Mattia, moglie di Bianconi, con l’immobiliarista Vittorio Casale, poi in dissesto con il suo gruppo Operae e arrestato.
Negli anni della direzione generale di Bianconi, dal 2004, la Banca delle Marche aveva abbondantemente finanziato Casale.
Ma altri sono i gruppi immobiliari che hanno beneficiato di crediti che oggi mettono nei guai la banca. Tra questi il noto gruppo che fa capo alla famiglia Lanari.
Dopo l’uscita di Bianconi è esploso il caso del direttore generale organizzazione, Corrado Faletti, indagato dalla procura di Bergamo per falso e truffa al locale ateneo, nel quale si era candidato per una docenza di economia — dopo aver già insegnato nell’Università marchigiana di Camerino — vantando nel curriculum due lauree, una in biologia e una in fisica dei calcolatori, inesistenti.
Mentre si frantumavano i conti e la reputazione della Banca delle Marche, la politica locale ovviamente non si è accorta di niente, restando intenta come al solito a spartirsi le poltrone nelle Fondazioni e nell’istituto di credito.
Seguendo alla perfezione il modello Siena, anche le tre Fondazioni che controllano l’istituto marchigiano non hanno più risorse per salvarlo, ma vogliono ad ogni costo mantenerne il controllo in nome e per conto della politica e delle trasversali alleanze massoniche che guardano a Masera come al possibile salvatore.
L’ultima speranza è una cordata di imprenditori vogliosi di investire nella banca: la sta organizzando un avvocato di Recanati Paolo Tanoni, e sembrano interessati Francesco Merloni (crisi Indesit) e Adolfo Guzzini (quello delle lampade). Vedremo a giorni se partono i bonifici da 60 milioni.
Solo per cominciare.
Giorgio Meletti
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
IN UN PARTITO DOVE OGNUNO DICE QUELLO CHE GLI PARE ARRIVA L’AUT AUT DELLA COMMISSIONE DI GARANZIA SOLO PER IL GOVERNATORE SICILIANO…. CROCETTA REPLICA: “VICENDA SURREALE, IO VADO AVANTI”
Aut aut della commissione nazionale di garanzia del Pd al presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta, che a questo punto deve scegliere o il Pd o il Megafono.
E’ la sostanza di quanto deciso dall’organismo dei Democratici che ha esaminato il “caso Crocetta”.
La commissione, guidata da Luigi Berlinguer, ha aperto il fascicolo in seguito alle contestazioni che alcuni dirigenti siciliani hanno mosso circa la militanza del governatore siciliano nel movimento il ‘Megafono’.
Crocetta aveva già replicato alle contestazioni definendo la vicenda “surreale” e montata “dall’ex senatore Mirello Crisafulli, ritenuto incandidabile dal Pd alle ultime politiche”, ora suo maggiore accusatore.
“Se vogliono cacciarmi lo facciano pure, se vogliono farmi passare per un eretico, io da sempre sono stato un eretico”, ha detto il governatore.
A puntare il dito contro Crocetta anche il deputato Davide Faraone, leader dei renziani nell’isola, che lo ha definito “professionista dell’antimafia 2.0”.
A queste parole la reazione del Presidente della Regione Sicilia è stata dura: “E’ vergognoso, nel mio governo ci sono familiari di vere vittime della mafia. Sono disgustato per questi attacchi, questi sì sono atti mafiosi”.
E sottolinea che “il processo” contro di lui arriva in un “momento preciso: il lancio di una questione morale in Sicilia, dove abbiamo scoperto ammanchi e furti alla Regione di centinaia di milioni di euro che coinvolgono una parte del gruppo dirigente regionale del partito”.
Dunque nessun passo indietro da parte sua: “Nessuno mi può fermare, io vado avanti”, ha detto, anche se ha stigmatizzato il silenzio dei dirigenti nazionali: “Mi sarei aspettato una telefonata da Epifani, almeno per dimostrarmi vicinanza” e “invece niente.
Crocetta difende comunque il suo ‘Megafono’, ribadendo che “non è un partito ma una idea” e rilanciando il progetto federativo col Pd.
Dopo averlo esportato in Toscana, proprio in casa Renzi, adesso il governatore prepara una convention del movimento a Palermo.
Ma dal partito arriva un richiamo secco e preciso: “Sono escluse dalla registrazione nell’anagrafe degli iscritti e nell’Albo degli elettori del Pd le persone appartenenti ad altri movimenti politici o iscritte ad altri partiti politici o aderenti a gruppi consiliari diversi da quello del Partito democratico”.
Insomma, se Crocetta dovesse perseverare nell’idea di mantenere e rafforzare il Megafono decadrebbe automaticamente.
Il documento riconosce che “è nella natura stessa del partito allargare le sue iniziative, aumentare i suoi contatti con la società e i suoi movimenti, ma sancisce, soprattutto, che “l’esistenza di episodi e di presenze collaterali al partito non può trasformarsi in una organizzazione di iscritti e in una strutturazione parallela articolata, finalizzata ad una presenza permanente sulla scena politica che risulterà e risulterebbe alternativa e contraria alle normative che disciplinano la vita interna del Pd”.
Il governatore è stato inoltre richiamato anche per le sue dure posizioni nei confronti del partito: l’opera di rinnovamento e di affermazione dei principi etici che “devono informare la vita del partito e la necessaria leale collaborazione non può essere favorita da formulazioni assolute e indiscriminate di denigrazione e di accusa rivolte al Partito e ai suoi dirigenti”.
E tra i primi commenti c’è quello del segretario regionale del Pd sicilliano Giuseppe Lupo.”La Commissione ha deciso in sintonia con quanto stabilito con il documento finale della direzione regionale di sabato, approvato a larghissima maggioranza. E’ un dato importante”
(da “La Repubblica“)
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Luglio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
“HO RITENUTO INCANDIDABILE CRISAFULLI, ORA VOGLIONO FARMELA PAGARE”
“Perchè il Pd ce l’ha tanto con me? Non lo so, quando li faccio vincere questo non succede”.
Rosario Crocetta, il governatore della Sicilia, è sotto processo: è finito nel mirino della Commissione di garanzia del Partito democratico.
Che oggi potrebbe decretare la sua espulsione. A denunciarlo, racconta, è stato Mirello Crisafulli.
Quello che la medesima commissione lo scorso gennaio definì incandidabile.
Lui però pensa pure di candidarsi al congresso. Una sfida.
Crocetta, ma che sta succedendo?
Pago lo scoperchiamento della questione morale in Sicilia. E non solo.
Cioè?
Quando ho fatto la Giunta, volevano che nominassi assessori lo stesso Crisafulli, il cognato di Francantonio Genovese, Franco Rinaldi (indagato anche lui, ndr) e Luigi Cocilovo, che qualche problema con la formazione ce l’ha, visto che è parte di alcuni progetti della Regione. E dunque sarebbe stato quanto meno inopportuno un suo incarico. Poi ho fatto prevalere il criterio che gli assessori non potessero essere deputati.
E ora che succede?
In un gioco quasi surreale potrei essere espulso dal Pd su indicazione dell’incandidabile Crisafulli.
Qual è la motivazione ufficiale?
Dicono che noi come Megafono siamo una specie di partito, incompatibile col Pd.
Non è vero?
È un progetto, un’idea. E per questo non volevo fare la lista: ma me lo chiesero Bersani, Zoggia e Migliavacca. Per le comunali, pure, me l’hanno chiesto tutti i sindaci. E adesso mi vogliono cacciare.
La motivazione reale?
Mentre mezzo Pd siciliano è indagato è più facile parlare dell’espulsione di Crocetta. Ma le pare normale voler buttare fuori me, che ho escluso dai progetti regionali persone che non lavoravano o addirittura detenuti col 416 bis? Le pare normale prendersela con chi cerca di affrontare la questione? In Sicilia per la comunicazione legata alla Regione spendiamo 160 milioni di euro l’anno, più che negli Usa.
Il Pd su questo che fa?
Non esprime neanche solidarietà . E ora mi condannerà al rogo.
Ma perchè tutto questo accanimento?
È una vita che mi vogliono cacciare. Negli anni ’70 non mi volevano perchè ero gay, ma dicevano che me ne dovevo andare perchè facevo parte del partito radicale. Ora hanno provato a impormi un rimpasto. Ma è possibile, avendo fatto la giunta il 2 dicembre?
Perchè non se ne va lei?
Vuole mettere la soddisfazione di essere condannato al rogo? E poi scusi: in Sicilia c’è il tesseramento bloccato da 4 anni. Le tessere sono in mano sempre agli stessi notabili. Il Pd abbia il coraggio di affrontare il cambiamento.
Insomma, lo fa per loro?
È una questione di igiene politica: decidano se nel Pd ci sta meglio Crisafulli o Crocetta. Ma non hanno le palle.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Luglio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
FAMIGLIE E IMPRESE NON RIMBORSANO PIÙ I PRESTITI… E I NOSTRI ISTITUTI DIVENTANO SEMPRE PIÙ FRAGILI
Basterebbe ascoltare il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nei suoi frequenti richiami, ma la politica italiana preferisce far finta di nulla. E anche i risparmiatori, che di cattive notizie in questi anni ne hanno ricevute fin troppe.
Ma il problema c’è, anche se tutti preferiscono non vederlo: le banche italiane non se la passano bene. E cominciano a preoccupare.
I numeri raccontano una storia sempre più inquietante.
Secondo l’ultimo rapporto mensile dell’Abi, l’associazione di categoria del settore del credito, a maggio 2013 le sofferenze lorde sono arrivate a 135,7 miliardi di euro.
Significa che nei loro bilanci le banche italiane hanno crediti verso soggetti in stato di insolvenza, quindi probabilmente non in grado di ripagare il dovuto, per quella somma.
Una cifra colossale. E che è destinata a crescere, perchè anche se la seconda metà del 2013 registrerà una lieve ripresa del-l’economia reale, gli effetti sulle imprese si vedranno con un certo ritardo, e molte aziende ormai soffocate dai debiti probabilmente ormai sono spacciate.
Il ritorno della crescita aiuterà soprattutto quelle appena nate e ancora sane.
Più lunga la recessione, peggiore diventa la qualità dei bilanci delle banche, perchè sale il numero dei soggetti che non riesce a rimborsare i prestiti.
Ma guardiamo le sofferenze sul capitale e le riserve, un indicatore che misura quanto i crediti deteriorati pesino sul patrimonio delle banche e dunque sulla solidità : a gennaio 2013 il sistema italiano aveva un rapporto del 16,95 per cento, a maggio del 17,91.
Un Paese comincia a essere a rischio crisi bancaria quando la percentuale tra sofferenze nette, capitale e riserve arriva al 15 per cento.
Giusto per dare un’idea: la Grecia ha un tasso di sofferenze al 25 per cento, l’Irlanda, che ha già attraversato una crisi bancaria e un disastroso salvataggio a spese dello Stato, al 19.
Le banche sono in grado di affrontare l’emergere di tutti questi buchi nei loro attivi? Non ci sarebbero grossi problemi se gli istituti avessero solide garanzie su cui rifarsi: se l’imprenditore non rimborsa il finanziamento, gli si pignora il capannone, i macchinari e così via.
Ma se le garanzie perdono di valore, come gli immobili che si stanno svalutando pesantemente , allora il problema è più grave, perchè il peso delle sofferenze rischia di essere ben più alto di quello che dicono i bilanci.
Qualcuno — anche alla Banca d’Italia — comincia a preoccuparsi. Come ha scritto su lavoce.info l’economista Carlo Milani, “il tasso di copertura dei crediti deteriorati è collocato su un livello inferiore a quello osservabile prima dello scoppio della crisi”. Nel 2007 per ogni euro di finanziamento deteriorato, le banche avevano fondi per copertura di perdite su crediti di 50 centesimi, nel 2011 ne avevano solo 40 e nel 2012 è sceso ancora.
E la percentuale delle sofferenze coperta da garanzie è salita di poco, dal 32 al 34 per cento a metà 2012.
Il guaio è che è sceso il valore di quelle garanzie, e nessuno sa bene di quanto perchè le banche sono parecchio restie a fare questo genere di conti.
Ma i mercati sanno fare le somme.
Hanno notato, per esempio, che dei 300 miliardi restituiti alla Bce sui 1.000, prestati a tasso agevolato al sistema creditizio, neppure uno arriva dalle banche italiane.
Che, finchè possono, si tengono ben stretti i quattrini (il prestito scade l’anno prossimo). Mediobanca ha annunciato — ma è solo un annuncio — che li restituirà . Altri istituti tacciono.
E c’è chi scommette che alla fine la Bce di Mario Draghi sarà costretta a prorogare i prestiti d’emergenza.
La sfiducia, nella finanza, si paga: perfino Unicredit, che è la banca italiana più grossa, ha emesso pochi giorni fa obbligazioni a due anni per 750 milioni con un tasso di interesse pari all’Euribor più uno spread, cioè una differenza, dell’1,55 per cento. Un po’ alto per una banca così grande e solida, segno che i mercati stanno alzando il prezzo per finanziare le banche.
Anche perchè con le nuove regole europee, in caso di salvataggio il conto non viene più presentato allo Stato in cui la banca ha sede, ma agli azionisti della banca, ai creditori e, se necessario, perfino ai risparmiatori che hanno sul conto corrente una somma superiore a quella garantita in tutta Europa, 100 mila euro.
L’unica notizia positiva per le banche potrebbe arrivare dal ministero del Tesoro: da anni l’Abi chiede un aumento della deducibilità fiscale per le perdite su crediti.
Il ministro Fabrizio Saccomanni ha promesso che, nonostante le ristrettezze del bilancio, un aiutino arriverà .
Ma non può certo risolvere tutti i problemi.
Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
IN UN POST ANNUNCIA: “TORNIAMO A SETTEMBRE, CERCHIAMO GIOVANI E TANTI ITALIANI CON ENTUSIASMO”
Due ore fa nei pressi di Roma (tanto per mutuare il linguaggio del più noto dei social
network), Silvio Berlusconi scrive un post sul suo profilo Facebook che fa traballare il destino del Pdl: «Abbiamo deciso di tornare a Forza Italia».
Il leader del centrodestra guarda alle origini perchè, spiega, «vorremmo, come ci riuscì 20 anni fa, rivolgerci ai giovani e ai protagonisti del mondo del lavoro per chiedere di interessarsi al nostro comune destino».
APPUNTAMENTO A SETTEMBRE
Il Popolo della Libertà pare dunque arrivato al capolinea.
«Non è giusto che solo alcuni si interessino del nostro Paese e gli altri guardino da lontano criticando chi invece si impegna – sottolinea l’ex premier -. Spero che con il lancio di Forza Italia nel mese di settembre possano aggiungersi a noi tanti italiani con il loro entusiasmo e loro passione».
Seguono diverse migliaia di «mi piace» e decine di commenti, anche se in rete sono molte le reazioni critiche, soprattutto verso quell’appello ai giovani che da parte di un leader ormai avviato verso gli 80 anni.
(da “il Corriere della Sera“)
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Luglio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
DALLA BATTAGLIA DEL GRANO A QUELLA PER LA “GRANA”: IL TRISTE DECLINO DI UN MONDO TRA PRESUNTI REGALI AL PDL, PERIZIE E ACCUSE RECIPROCHE
Manca un partito di riferimento. Manca un leader di riferimento.
Pochi, pochissimi gli ex di Alleanza nazionale ancora in Parlamento, falcidiati da diaspore, scissioni, litigi, quorum ed epurazione berlusconiana.
Ma un qualcosa di concreto, reale, esiste ancora.
E lo chiamano “tesoretto”, un diminutivo che non rende onore alla cifra disponibile: oltre 400 milioni di euro tra immobili e contanti, confluiti in una Fondazione all’alba della fusione con Forza Italia nel ripudiato Popolo della libertà . Stanno lì.
Le furibonde liti dei camerati
Tra cause, contro-cause, perizie, liti, accuse e smentite. Udienze. Tentativi di riconciliazione in nome del vecchio cameratismo, carte bollate e occupazioni delle sedi.
Il primo a scardinare la serratura è stato Francesco Storace, leader de La Destra, lesto nel dire “qui ci siamo noi, ci spetta”, in un immobile in via Paisiello, zona chic di Roma.
Da due anni nessuno lo reclama.
Quindi la sede storica, in via della Scrofa: 34 vani a due passi da piazza Navona e Campo de’ Fiori, acquistata negli anni Ottanta per poco più di 3 miliardi grazie alla lungimiranza pratica di Giorgio Almirante e grazie a un mix di rimborsi, plusvalenze e donazioni di militanti.
Adesso ha sede la Fondazione An, specchio fedele di cosa è rimasto della Destra, tra stanze semivuote, qualche targhetta, nessuno all’entrata e come unica attività recente la messa in stampa e successivo attacchinaggio di un manifesto con in primo piano Giorgio Almirante.
E pensare che qui si sono tenute le riunioni più dure, qui si affacciava un giovane Gianfranco Fini; qui si è progettato il passaggio dal Msi ad An e ancora il Pdl.
Qui la scorsa settimana un gruppo di ragazzi di “Adesso noi” ha deciso di occupare simbolicamente per chiedere la “ricostituzione di un partito unico”; per stimolare “la rinascita di una comunità di destra lontana da Berlusconi, quanto da Fini”, spiegano “perchè quei soldi fanno parte del popolo della destra, devono servire per un progetto. Altrimenti è meglio se vanno in beneficenza”.
Difficile una donazione, di questi tempi, nonostante le maglie strette, strettissime della Fondazione.
Ab origine si optò per un comitato di gestione che avrebbe operato secondo le indicazioni di un altro organo, il comitato dei garanti.
Vennero designati i nomi dei singoli individui deputati al controllo degli “obiettivi strategici, anche di periodo, da perseguire per la conservazione, la tutela e lo sviluppo delle risorse (…) l’impiego e la destinazione dei fondi”.
I comitati si insediarono il primo aprile del 2009 e, in un amen, fu guerra tra gli ex colonnelli di An e i fedelissimi di Gianfranco Fini.
Una guerra sporca, senza esclusione di colpi, durata per mesi e persa dai secondi, costretti ad assistere a un “golpe” fra le mura di casa.
Dal comitato di gestione, non a caso in piena bufera Montecarlo, venne estromesso Franco Pontone (espulso dal comitato dei garanti nel 2010) e al suo posto nominato il senatore Mugnai.
Da allora e fino a oggi, complice la frattura tra Fini e Berlusconi, quello che era stato definito “il divieto di confusione del patrimonio di An con quello del Popolo della Libertà ” divenne un terreno di perenna conquista.
Con gestioni allegre, rappresaglie ad hoc, purghe e campo libero a transazioni impensabili, come l’assegnazione a uso gratuito di 28 immobili ai giovani del Pdl; o prestiti bizzarri come quello del 12 luglio 2011, in cui il comitato di gestione della Fondazione di An concesse su richiesta degli onorevoli Crimi e Bianconi del Pdl, la cifra di 3 milioni e 750 mila euro a titolo di prestito infruttifero.
Attenzione, un prestito a un partito rivale. Soldi, quindi, non solo mattoni.
Il prestito poi fu restituito ad Alleanza Nazionale.
Mittente il Pdl, tramite una banca con sede in un paradiso fiscale, mai rivelato.
La querela: quei soldi andati al Pd
Sarebbe questo uno dei tanti favori fatti al partito di Berlusconi, come racconta una denuncia, presentata alla procura di Roma, dagli ex onorevoli Antonio Bonfiglio ed Enzo Raisi.
Infatti lo scontro tra i finiani e chi ha lasciato il partito, per confluire nel Pdl, si gioca anche a colpi di procedimenti sia penali che civili.
Bonfiglio e Raisi hanno infatti denunciato i loro colleghi d’un tempo per la presunta scomparsa di 26 milioni di euro dai soldi di An.
Stando alla querela, ci sarebbero nel portafoglio del partito 55 milioni di euro provenienti dai contributi elettorali (erogati fino al 2006), dei quali 26 sarebbero spariti a favore del Pdl.
Sul fronte penale è stato aperto un fascicolo, affidato al pubblico ministero Attilio Pisani, che tuttavia ha chiesto l’archiviazione. Non sono ravvisabili i reati di appropriazione indebita come invece si riteneva nella denuncia.
Ma se la questione penale sembra infondata, resta in piedi quella civile.
Lo stesso Antonio Bonfiglio infatti ha sollevato davanti al giudice civile la questione relativa alla nullità del congresso avvenuto il 22 marzo in cui si è deciso lo scioglimento del partito e la creazione della fondazione.
Lo scorso 18 luglio sono state depositate le ultime note di replica ed entro settembre sarebbe prevista la conclusione, che potrebbe decidere le sorti di quel che resta.
E magari ripartire con un soggetto politico unico, come vorrebbe la base.
Anche perchè la parte economica c’è, eccome.
Alessandro Ferrucci e Valeria Pacelli
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 23rd, 2013 Riccardo Fucile
E PER VERITA’ STORICA LE RIFORME SOCIALI, IL WELFARE, LA SCUOLA E LA SANITA’ PUBBLICA, LA TUTELA DEI LAVORATORI IN ITALIA LE HA INTRODOTTE IL FASCISMO, NON LA SINISTRA
Nell’intervista a Stefano Rodotà che pubblichiamo, il giurista dice cose in gran parte
condivisibili: non a caso è un politico di sinistra “poco ortodosso”, inviso a gran parte della nomenklatura Pd.
Ma anche lui non dice tutta la verità , o quanto meno rivela vuoti di memoria che non dipendono certo dalla sua età , ma da una innata inclinazione della sinistra italiana a imporre gramscianamente la propria presunta “egemonia culturale”.
Nello specifico, Rodotà afferma che valori quali l’eguaglianza, il lavoro, la solidarietà , la dignità siano patrimonio della sinistra. E che debbano pertanto rimanere ben distanti e distinti la destra e la sinistra, concetto messo in pericolo da una “pacificazione” strisciante che lo fa inorridire.
Forse dovrebbe rivolgere questo appello in primis al futuro candidato premier del suo ex partito, quel Matteo Renzi che nella fattispecie non mi pare abbia le idee molto chiare.
O forse dovrebbe chiedersi quali siano le basi di questo riavvicinamento tra certa destra e certa sinistra: se più che questioni ideologiche non siano ormai solo interessi comuni di potere che riavvicinano gli “opposti estremismi”.
Ma non ci interessa entrare in questo aspetto delle sue considerazioni, guardiamo oltre.
L’errore di fondo della sua analisi è un altro: ritenere, o peggio voler far credere, che la destra italiana sia rappresentata da quella “berlusconiana” che tutto è salvo che una destra con solidi riferimenti e radicati appoggi storici.
Non è infatti una destra dal “senso dello Stato”, del “rispetto delle istituzioni”, dalla “lotta alla corruzione”, dal “largo alla meritocrazia”, nel solco della classica destra storica liberale o conservatrice.
Non è una destra delle riforme, delle liberalizzazioni, del principi cattolici della solidarietà , del ruolo europeo del nostro Paese, come tante altre destre del nostro Continente.
Quella cui si riferisce Rodotà è semplicemente un partito del Principe che sceglie i suoi vassalli in base a criteri personali di fedeltà , comunque la si pensi, in aperto contrasto quindi con i metodi di selezione posti in essere dalle altre destre europee.
E un attento studioso come Rodotà non può dimenticare che, pur generalizzando sul termine destra come lui lo fa con il concetto di sinistra, se in Italia sono state approvate prima che in tutti gli altrui Paesi europei leggi a tutela dei lavoratori, delle donne, del lavoro minorile, norme previdenziali e anti-infortunistiche, disposizioni in tema di orario di lavoro e maternità e infanzia, di scuola e sanità pubblica, non lo si deve certo alla sinistra, ma al cavalier Benito Mussolini.
E che nel dopoguerra una certa parte della Dc, quella più legata ai valori della solidarietà , ha mantenuto posizioni a tutela dei diritti, così come, in una certa fase il craxismo (il famoso socialsmo tricolore).
Probabilmente esistono valori comuni trasversali che Rodotà non ama ammettere ai fini dei suoi ragionamenti di parte: nessuno auspica omogeneizzati, solo civile confronto di idee nelle differenze.
Ma senza che nessuno vesta l’abito di cattedratico senza averne titolo.
Quanto alla dignità , che investe comportamenti sempre personali, per molti a destra (quella vera) è stata una scelta di vita e di coerenza.
Ricordo il mio esame di maturità , una commissione di docenti esterni di sinistra e con il membro interno che mi disse: “hai perso qualche punto sostenendo certe tesi di destra agli orali”.
Nessun problema, per me solo un motivo di orgoglio.
Anche da queste parti la dignità non è mai stata in vendita, caro Rodotà …
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