Aprile 7th, 2025 Riccardo Fucile
IN MENO DI DUE MESI FDI PERDE IL 2,9%… LA LISTA SALIS GUADAGNA IL 3,1%
Come annunciato ecco i risultati dei nuovi sondaggi che Primocanale ha commissionato all’istituto di ricerca Tecnè per inquadrare meglio la corsa alle elezioni amministrative di Genova. Le domande sono state fatte ai genovesi il 31 marzo e il primo di aprile.
La prima domanda è stata fatta sulla “notorietà’” dei candidati. Pietro Piciocchi, candidato del centrodestra, è ancora più noto rispetto al sondaggio di febbraio con l’88% seguito di soli 3 punti da Silvia Salis a 85. Mattia Crucioli al 58%
Abbiamo poi chiesto ai cittadini se vorrebbero conoscere prima la squadra del sindaco o sindaca. Ben il 57% vorrebbe saperlo prima del voto.
Nel sondaggio poi che abbiamo fatto sui partiti, risulta a destra un calo abbastanza netto di Fratelli d’Italia. Mentre a sinistra risulta un calo per il Partito Democratico dì due punti.
In ambedue i casi si nota anche un aumento del voto alle liste civiche o del Sindaco/a.
Si arriva infine al dato più significativo e cioè per chi voterebbero oggi i cittadini tra Salis, Piciocchi e Crucioli. E il risultato vede prevalere in modo abbastanza netto Silvia Salis con 7.5% su Piciocchi. Va sottolineato come ben il 52.5% ad oggi è collocabile tra indecisi e astensionisti.
(da Primocanale)
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Aprile 7th, 2025 Riccardo Fucile
IL 36% CREDE CHE L’ITALIA DOVREBBE MEDIARE FRA STATI UNITI E UNIONE EUROPEA. IL 32% VORREBBE IMPORRE CONTROTARIFFE NEI CONFRONTI DEGLI USA , PER IL 20% DEGLI ITALIANI LA SOLUZIONE È INTERLOQUIRE DIRETTAMENTE CON TRUMP
Gli elettori italiani bocciano la politica dei dazi di Donald Trump, secondo l’ultimo
sondaggio di Youtrend per Sky Tg24. L’80% del campione ha un giudizio negativo sull’introduzione delle nuove tariffe annunciate dal presidente statunitense, solo il 13% le accoglie con favore.
Gli elettori si dividono però sulle possibili contromisure da parte del governo italiano: per il 36% l’Italia dovrebbe mediare fra Usa e Ue (soluzione preferita per gli elettori di FI e FdI), per il 32% dovrebbe imporre nuovi dazi agli Stati Uniti e cercare altri partner commerciali (come sostenuto dagli elettori di Pd, M5S e AVS), per il 20% negoziare direttamente con Trump (opzione preferita dagli elettori della Lega).
A proposito del presidente Usa, ha fiducia in Donald Trump solo il 14% degli italiani, e il giudizio è oggi negativo anche fra gli elettori della Lega (39% ha fiducia) e Fratelli d’Italia (29%). Per fare un confronto, il 23% degli elettori ha fiducia nella presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.
(da agenzie)
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Aprile 7th, 2025 Riccardo Fucile
PER LA POSSIBILE MORATORIA DI 90 GIORNI DELLE TARIFFE SUBITO SMENTITA DALLA CASA BIANCA… BLOOMBERG STIMA CHE IN SOLI TRE GIORNI SULLE PIAZZE GLOBALI SIANO STATI BRUCIATI 9.500 MILIARDI DI DOLLARI: “NEGLI ANNALI DELLA STUPIDITÀ POLITICA CI SONO AUTOGOL E AUTOGOL. QUESTO DEI DAZI È UN AUTOGOL EPICO”
Mercati azionari del Vecchio continente ancora in scivolata con l’introduzione dei dazi statunitensi: la Borsa peggiore è stata quella di Madrid, che ha chiuso con un ribasso del 5,1%, seguita da Parigi e Amsterdam in calo del 4,7%. Londra ha ceduto il 4,4% finale, mentre Francoforte ha perso il 4%.
Caos a Wall Street e sui mercati. Le borse reagiscono con entusiasmo al presunto annuncio di Kevin Hassett, direttore del Consiglio economico nazionale degli Stati Uniti, secondo cui Trump sarebbe pronto a una pausa di 90 giorni nei dazi. L’annuncio fa il giro dei social grazie al tweet di tale Walter Bloomberg (nessun legame con l’agenzia di notizie). Ma a ben vedere Hassett, nell’intervista alla Fox da cui tutto avrebbe avuto inizio, non risponde “sì” alla domanda sullo stop di 90 giorni. Usa solo un intercalare. Walter Bloomberg cancella il post e sostiene che la prima a dare la notizia sarebbe stata l’agenzia Reuters. Comunque sia, la Casa Bianca dopo poco smentisce l’idea dei 90 giorni di pausa, e i mercati tornano a crollare
Un’altra giornata nera per i mercati di tutto il mondo dopo i dazi imposti da Donald Trump. Milano ha chiuso a -5,18%, ancora in coda alle Borse Europee che hanno lasciato molte perdite per il terzo giorno consecutivo dall’annuncio delle tariffe. Wall Street ha aperto male e recuperato in parte per la possibile moratoria di 90 giorni delle tariffe per tutti – tranne la Cina – subito smentita dalla Casa Bianca.
Trump ha poi minacciato ulteriori tariffe del 50% sulla Cina, l’interruzione dei negoziati con Pechino e l’avvio immediato delle trattative con tutti gli altri Paesi. Bloomberg stima che in soli tre giorni sulle piazze globali siano stati bruciati circa 9.500 miliardi di dollari.
(da agenzie)
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Aprile 7th, 2025 Riccardo Fucile
LA BANCA AMERICANA, JP MORGAN, LO SBUGIARDA IN DIRETTA: “I DAZI FARNNO SALIRE I PREZZI E LA CRESCITA DEL PIL RALLENTERÀ”
“I prezzi del petrolio sono in calo, i tassi di interesse sono in calo (la lenta Fed
dovrebbe tagliare i tassi!), i prezzi dei prodotti alimentari sono in calo, non c’è inflazione e gli Stati Uniti, da tempo maltrattati, stanno incassando miliardi di dollari a settimana dai Paesi che abusano delle tariffe doganali già in vigore”
Lo scrive Donald Trump su Truth, appena prima dell’apertura di Wall Street, dopo un lunedì nero ch in Europa ha mandato in fumo quasi mille miliardi di dollari in poche ore. “Questo – scrive ancora – nonostante il fatto che il più grande abusatore di tutti, la Cina, i cui mercati stanno crollando, ha appena aumentato i suoi dazi del 34%, in aggiunta alle sue tariffe ridicolmente alte da lungo tempo, non riconoscendo il mio avvertimento di non fare ritorsioni.
Hanno guadagnato abbastanza, per decenni, approfittando dei buoni vecchi Stati Uniti! I nostri “leader” passati sono da biasimare per aver permesso che questo, e molto altro, accadesse al nostro Paese. Make America Great Again!”.
Il ceo di Jp Morgan Jamie Dimon chiede di risolvere “il prima possibile” la questione dei dazi per via degli effetti che rischia di produrre sull’economia e delle molte “incertezze” che genera e definisce “disastrosa” una “frammentazione” del sistema delle alleanze Usa, a partire dall’Europa.
“Quanto prima si risolve questo problema, tanto meglio è perché alcuni degli effetti negativi aumentano cumulativamente nel tempo e sarebbero difficili da invertire”, avverte nella lettera agli azionisti della banca. “Mantenere le nostre alleanze unite, sia militarmente che economicamente, è essenziale”, aggiunge Dimon.
Per il ceo di JPMorgan, Jamie Dimon, i dazi di Trump faranno salire i costi sia delle merci prodotte in Usa che dei prodotti importati, pesando sull’economia americana. Nella lettera agli azionisti, Dimon ha parlato dell’annuncio del presidente Trump del 2 aprile: “Qualunque sia l’opinione sui motivi legittimi alla base dei nuovi dazi annunciati e, naturalmente, ce ne sono alcuni, o sul loro effetto a lungo termine, positivo o negativo, è probabile che ci siano effetti significativi nel breve termine”.
Per il ceo “è probabile che si verifichino effetti inflazionistici, non solo sui beni importati, ma anche sui prezzi interni, poiché aumentano i costi dei fattori produttivi e la domanda di prodotti nazionali”. Ora “resta da vedere se l’insieme dei dazi porterà a una recessione, ma di certo rallenterà la crescita”, ha aggiunto. I mercati, ha poi concluso, “sembrano prezzare gli asset presumendo che l’economia continuerà ad avere un ‘atterraggio morbido’, ma non ne sono così sicuro”.
Goldman Sachs stima di aspettarsi “un’accelerazione significativa” della Cina sulle misure di allentamento fiscale per compensare le nuove difficoltà alla crescita emerse con i dazi aggiuntivi al 34% annunciati dagli Stati Uniti la scorsa settimana, superiori alle aspettative.
La banca d’affari americana, in un rapporto diffuso domenica, ha ipotizzato un impatto di “almeno lo 0,7%” in meno sul Pil di Pechino per il 2025. “Prima dei dazi, la crescita stava procedendo al di sopra delle nostre previsioni e stavamo contemplando una revisione al rialzo delle relative aspettative sul Pil per il 2025”, ha
rimarcato Goldman Sachs.
Goldman ha sottolineato la portata di un commento del 6 aprile apparso sul Quotidiano del Popolo che accennava ad azioni di politica monetaria e ad altre misure che la Cina potrebbe adottare.
“In base all’evoluzione della situazione, c’è ampio margine di adeguamento negli strumenti di politica monetaria come i tagli al coefficiente di riserva obbligatoria e le riduzioni dei tassi di interesse, che possono essere introdotti in qualsiasi momento”, ha affermato la testata che è la voce del Partito comunista cinese, sottolineando una possibile e ulteriore espansione dei deficit fiscali, di obbligazioni speciali e di titoli del Tesoro speciali.
Gli analisti della banca d’affari, inoltre, hanno affermato in un rapporto separato, diffuso sempre domenica, di aver mantenuto le previsioni di crescita del Pil della Cina per cinese il 2025 al 4,5% a causa di dati del primo trimestre migliori del previsto e di maggiori attese di allentamento delle politiche, ma ha ridotto le sue previsioni di crescita degli utili per l’anno al 7% dal 9% precedente
(da agenzie)
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Aprile 7th, 2025 Riccardo Fucile
L’EVENTUALITA’ CHE, DOPO OCCHIONI E MOINE MELONIANE, IL TRUMPONE RINCULI DAL 20% A ZERO DAZI E’ DA ESCLUDERE, MA L’UNDERDOG NON PUO’ TRATTARE NEMMENO UN DIMEZZAMENTO DELLE TARIFFE RECIPROCHE AL 10% PERCHE’ LA NEGOZIAZIONE DEVE PASSARE PER BRUXELLES
Giorgia Meloni volerà negli Stati Uniti il 16 aprile per il tanto agognato faccia a faccia con Donald Trump. Ma cosa andrà a fare, e quale risultato otterrà dal Caligola di Mar-a-Lago è un insondabile mistero.
Innanzitutto perché il presidente americano ha dimostrato di essere inaffidabile, irrazionale, mosso da pulsioni umorali e prive di qualsiasi logica politica e diplomatica, come confermano i suoi primi tre mesi di Casa Bianca.
L’eventualità che il protervo Trump, sedotto dagli occhioni e dalle moine meloniane, decida di rinculare a zero dazi, è da escludere: perderebbe la faccia in mondovisione.
La Ducetta spera di riuscire a mitigare la mannaia dazista all’Unione europea, dimezzandoli dal 20 al 10%? Suona subito come una mission impossible per le seguenti ragioni.
La prima è che, come confermato pubblicamente da Ursula von der Leyen, a trattare sui dazi è solo il commissario europeo al commercio, lo slovacco Maros Sefcovic (che questa mattina ha anticipato il vertice sui dazi in Lussemburgo parlando di “un nuovo paradigma del sistema commerciale globale”).
Nessun altro leader è dunque autorizzato a parlare in nome dell’Unione sulle tariffe. Una linea condivisa dai principali leader europei e ribadita oggi dal ministro tedesco
dell’Economia, Robert Habeck: “L’Europa non si lascerà dividere adesso. Ciò significa che i Paesi non dovrebbero cercare di negoziare i vantaggi per se stessi, perché questo non gioverebbe a nulla. Abbiamo visto che i Paesi che in passato hanno cercato di farlo non sono stati risparmiati. La forza nasce dall’Unione”.
La seconda ragione è che nell’ormai celebre cartellone mostrato da Trump, al momento dell’annuncio delle nuove misure sul commercio internazionale, non c’erano i singoli Paesi dell’Ue ma una generica dicitura “Europe” (giusto sotto la Cina, mettendo in correlazione i due principali “nemici e parassiti” dell’America).
La terza ragione è che, se Giorgia Meloni sperasse di ottenere uno “sconto” per l’Italia sui dazi relativi al settore agroalimentare, si isolerebbe in Europa: già adesso è considerata poco più che una cheerleader trumpiana, in quel caso entrerebbe nel club dei traditori insieme a Orban e alle altre quinte colonne del mondo “Maga” in Ue.
L’unico spazio che oggi ha a disposizione la Thatcher della Garbatella è il perimetro stabilito da Ursula von der Leyen, ormai in modalità “Kaiser” dopo che Starmer, Macron. Merz e Tusk le hanno fatto indossare l’elmetto e la mimetica, e si riassume in tre punti: dialogo, reazione e diversificazione dei mercati.
In tale “mantra” di Ursula, Giorgia Meloni può solo provare a esercitare una moral suasion sul suo amico Trump, spingendolo ad aprire una trattativa con il commissario al Commercio di Bruxelles.
Ma dopo due mesi di presidenza, è chiaro a tutti che l’America di “The Donald” non si muove seguendo una linea politica “tradizionale”, come abbiamo avuto modo di conoscere nei tempi passati: i rapporti di forza sono più rilevanti per lui rispetto alle tradizionali alleanze.
Nel loro precedente incontro a Mar-a-Lago, Trump si mostrò malleabile al limite del menefreghismo per aiutare il Governo italiano nella liberazione di Cecilia Sala dalla galera iraniana. Ma all’epoca il tycoon sei volte bancarottiere non si era ancora ufficialmente insediato alla Casa Bianca e il “costo” politico dell’operazione era, ai suoi occhi, irrilevante.
Oggi, invece, Giorgia Meloni si ritrova di fronte un Trump sordo e cieco a tutti gli appelli alla logica economica e alla ragionevolezza politica, compresi gli avvertimenti sulle conseguenze pericolose di un dazismo senza limitismo dello stesso Elon Musk (che in una settimana ha perso 30 miliardi e ora invita il King Donald a ripensarci).
Allo svalvolate Doge dei miei stivali, si aggiunge una grande fetta del “vecchio” partito repubblicano, allarmato in vista delle elezioni di midterm del 2026.
Se non ascolta i suoi più stretti consiglieri, perché Trump dovrebbe essere sensibile agli occhioni della Statista from Garbatella, perdendo la faccia con un dietrofront imbarazzante
È questo il cul-de-sac in cui si ritrova Giorgia Meloni: il suo viaggio è un terno al lotto. È molto probabile che la premier si accontenti dell’ennesimo riconoscimento (di lei Trump cinguettò che “è una magnifica leader”, “ha preso d’assalto l’Europa”), delle foto allo Studio Ovale e delle strette di mano. Un premio di consolazione per non sentirsi da meno rispetto agli altri leader, come Starmer e Macron, che ben prima di lei hanno varcato la soglia della Casa Bianca.
Trump tratterà eventualmente solo con i vertici dell’Unione europea, smentendo il suo stesso trombettiere, Salvini, che invece invoca un canale diretto Roma-Washington per ammorbidire i dazi ai prodotti italiani.
Ad aggiungere incertezza a un incontro già pieno di incognite è il totale disprezzo che Trump prova verso le consuetudini e i riti della diplomazia.
Solitamente, i faccia a faccia tra i leader vengono preparati dai rispettivi sherpa con un certosino lavoro diplomatico sui temi da discutere e sui toni da utilizzare. Dopodiché, una volta raggiunto un accordo sull’agenda, si parte e si firma sotto i flash un pezzo di carta. Con Trump, come ha dimostrato l’agguato teso a Zelensky nello Studio Ovale, è tutto inutile: è talmente imprevedibile che la situazione può degenerare in qualsiasi momento rendendo vani mesi di trattative. Buon viaggio
(da Dagoreport)
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Aprile 7th, 2025 Riccardo Fucile
IL SONDAGGIO ELABE PER LA TRIBUNE DIMANCHE
Mancano due anni alle elezioni presidenziali della primavera 2027, che però sono già
al centro dell’attenzione
Secondo il sondaggio Elabe per BFMTV – La Tribune Dimanche pubblicato ieri, nonostante i guai giudiziari Marine Le Pen resta in testa al primo turno, ben oltre al 30%. E se davvero Le Pen non potesse presentarsi e il candidato del Rn fosse Jordan Bardella, anche lui arriverebbe in prima posizione, e con una percentuale simile.§La lotta per il secondo posto, cruciale per qualificarsi al secondo turno, sembra riguardare soprattutto il campo centrista, dove Edouard Philippe (sopra al 20%) sembra più avanti rispetto a Gabriel Attal, fermo al 18%.
Nel terzo blocco, quello della sinistra, la personalità che raccoglie maggiori consensi è Raphaël Glucksmann, forte della sua affermazione alle europee, che supera il 10%, davanti al rivale più radicale Jean-Luc Mélenchon leggermente sotto.
Altre personalità in vista, come Eric Zemmour all’estrema destra o Dominique de Villepin al centro (in questi giorni tornato protagonista intervenendo in tv sul conflitto medio-orientale), non riescono a superare la soglia del 5 per cento.
In sostanza, il candidato lepenista, chiunque sarà, potrebbe arrivare in testa al primo turno, ma poi perderebbe di nuovo nel ballottaggio finale, perché gli elettori di centro-destra e centro-sinistra tenderanno a convergere sul suo avversario, chiunque sarà.
(da agenzie)
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Aprile 7th, 2025 Riccardo Fucile
LE NUOVE NORME, SECONDO I MAGISTRATI, SMANTELLERANNO IL SISTEMA DI CONTROLLI SU SPRECHI E AMMINISTRATORI INFEDELI
Cara Meloni, così non va: questa riforma danneggia il Paese, mina la figura del giudice come garante della corretta gestione dei fondi pubblici, lede i diritti dei cittadini. Firmato: l’Associazione nazionale dei magistrati della Corte dei conti.
È una forma di protesta tanto irrituale quanto trasparente, la pagina pubblicitaria firmata dall’Amcc che oggi i lettori potranno scorrere su Repubblica e sulle sue piattaforme online . Il lungo appello, condiviso dalla presidente dell’Amcc Paola Briguori con giunta e associazione, è indirizzata direttamente alla premier (anche nella forma più gradita a Giorgia: “Signor presidente del Consiglio”) e avverte: così si preparano «scenari di illegalità diffusa e di inefficienza».
E arriva proprio nel giorno in cui approda in aula – oggi pomeriggio, alla Camera – il disegno di legge della destra, firmato Foti, con la volontà di ottenere il primo sì entro Pasqua. L’obiettivo è anche rinnovare il mega scudo erariale per i politici, ormai in scadenza il 30 aprile, per le opere Pnrr.
«Signor presidente, se ci rivolgiamo a lei pubblicamente è nella convinzione che sia nostro dovere fare ogni tentativo per evitare che scelte poco meditate possano danneggiare le istituzioni». La riforma, a dar retta agli argomentati rilievi di magistrati e giuristi, finirebbe per smantellare il sistema di controlli su sprechi e amministratori infedeli e a indebolire i poteri di inchiesta, riducendo drasticamente il risarcimento del danno. Con le nuove norme, in sintesi, si restituisce – nel migliore dei casi – solo fino al 30 per cento.
«Una riforma necessaria, che finalmente abbatte la paura della firma», ha sempre spiegato la destra. Ma spicca un dettaglio sospetto, infilato nella notte durante l’ok all’esame nelle commissioni: è l’emendamento Montaruli (FdI) che rende retroattiva la norma sulla presunzione rafforzata della “buona fede” per i politici, così come lo “sconto” del 70 per cento sul danno erariale. Due “regali” per tanti, nei giudizi pendenti in tutta Italia. In più, è prevista anche una forma assicurativa.
«L’irragionevole e indistinta limitazione della responsabilità di amministratori e funzionari, ma anche di privati che gestiscono risorse pubbliche, svilisce la funzione giurisdizionale» e solleva, per i magistrati, anche possibili conflitti con l’Europa «per le risorse che da essa provengono».
I giudici vedono un rischio più ampio: disincentivare l’etica pubblica. «L’introduzione di tetti irrisori alla risarcibilità del danno innescherà processi di deresponsabilizzazione di chi gestisce le risorse». Sotto accusa il nuovo sistema di controlli preventivi e pareri. Perché prefigurano, scrivono ancora, «possibili forme di cogestione che sono incompatibili con l’indipendenza dei giudici e non auspicabili» per lo Stato. Così si compromette «ogni standard di buona amministrazione, con possibili scenari di illegalità diffusa e inefficienza ».
«Abbiamo scelto questa forma di confronto leale perché a nessuna delle nostre preoccupazioni è arrivata ancora una risposta. Ma restiamo fiduciosi nella possibilità di un dialogo aperto. Con questa riforma tramonta la figura del giudice garante su una sana gestione delle risorse pubbliche», spiega Briguori a Repubblica . Quindi, chiude la lettera a Meloni, «le chiediamo, con urgenza un incontro chiarificatore. Nel superiore interesse del Paese».
(da agenzie)
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Aprile 7th, 2025 Riccardo Fucile
I PIÙ FAVOREVOLI AI CPR FUORI DALL’ITALIA SONO GLI ELETTORI DI LEGA (84%) E FDI (77%), MA ANCHE LA MAGGIORANZA DI CHI VOTA ITALIA VIVA E DI AZIONE … “LA QUOTA DI CITTADINI CHE INSERISCE L’IMMIGRAZIONE FRA I PRIMI DUE MOTIVI DI PREOCCUPAZIONE È APPENA DEL 13%”
C’è molto dibattito intorno ai Centri di permanenza per il rimpatrio, i Cpr, destinati ai
cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno in attesa del rimpatrio. D’altra parte, la questione degli immigrati, in passato, ha costituito un argomento di polemica.
Alimentato, anzitutto e soprattutto, da destra. In particolare, dalla Lega. Con riferimento particolare agli immigrati che provengono dall’Africa. Anche se circa metà dei cittadini stranieri residenti in Italia sono europei. E provengono dai Paesi dell’Est.
Peraltro, costituiscono la principale base del mercato del lavoro operaio, in Italia. Comunque, insufficiente, se, negli scorsi mesi, Confindustria ha allertato il governo sulla necessità di allargare questo settore del mercato del lavoro. In quanto c’è bisogno almeno di 120 mila immigrati in più all’anno «o si blocca il mercato del lavoro»
Questo tema, tuttavia, oggi non sembra scaldare particolarmente il clima politico del Paese. A differenza di un tempo. Nell’Atlante Politico curato da Demos nello scorso mese di settembre 2024, la quota di cittadini che inseriva l’immigrazione fra i primi due motivi di preoccupazione appare, invece, molto limitata: 13%. E solo il 6% la definisce come questione prioritaria.
La questione degli immigrati, comunque, continua a generare incertezza. E spiega la scelta del governo di costruire e utilizzare i Cpr in Albania. In attesa del rimpatrio. Un tema che, oggi, divide gli italiani. In misura pressoché eguale. Anche se la quota di persone che si dicono contrarie è un po’ più ampia. Ma, appunto, solo un po’: 52%. Mentre fra coloro che si dicono favorevoli si ferma al 46%. Dunque: di poco sotto.
La principale distinzione, com’era prevedibile, è “politica”. Riflette la diversa appartenenza politica e di partito dei cittadini intervistati. Il grado di consenso, infatti, cala progressivamente e sensibilmente da destra verso sinistra. Tocca il livello più elevato – e quasi “totale” – fra gli elettori che si collocano a destra. In particolare, tra coloro che si dicono vicini alla Lega di Matteo Salvini: 84%. D’altra parte, si tratta del soggetto politico che ha associato la propria immagine alla “paura”, oltre che all’ostilità, nei confronti dello straniero.
Ma il sostegno al progetto di spostare lontano dai nostri confini coloro che li hanno varcati e superati, per sfuggire da una condizione critica, partendo prevalentemente dai Paesi dell’Africa, appare ampio anche nella base dei FdI: 77%. D’altra parte, il progetto è stato fortemente sostenuto da Giorgia Meloni, attraverso il suo legame personale con il primo ministro albanese Edi Rama.
Ma il consenso verso l’iniziativa è rilevante anche tra chi simpatizza per Forza Italia: 72%. Questo “sentimento”, inoltre, risulta maggioritario fra gli elettori che si riconoscono nel Terzo Polo. E si dicono vicini a Italia Viva e Azione.
Più limitata, ma comunque estesa, è la domanda di tenere lontani da noi gli stranieri fra chi si dichiara vicino al M5s e a +Europa. Mentre lo stesso orientamento si riduce ulteriormente nella base del Pd e dell’Alleanza Verdi-Sinistra. Fra i quali coinvolge, comunque, un terzo dei simpatizzanti. Tuttavia, appare diffuso l’atteggiamento favorevole alla gestione dell’immigrazione irregolare dimostrata dal governo. Per quanto ampia, la disapprovazione coinvolge una parte di cittadini comunque “minoritaria”: il 37%. Mentre il 41% pensa che non sia cambiato nulla, rispetto al passato. E il 20% che la situazione sia perfino migliorata.
L’Albania, per questo, appare una sponda “meno lontana” di quanto emerge dal dibattito politico. E nella percezione sociale.
È divenuta una risposta all’inquietudine che pervade il nostro Paese. Perché gli immigrati sono ancora “un” problema. Ma hanno smesso di costituire “il” problema. Come un tempo.
(da La Repubblica)
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Aprile 7th, 2025 Riccardo Fucile
DI FRONTE AI DAZI E ALL’ISOLAZIONISMO AMERICANI, PECHINO È DIVENTATA UN BALUARDO DI STABILITÀ. E CI TIENE A RIBADIRLO: “RESTEREMO UNA TERRA PROMETTENTE E SICURA PER GLI INVESTIMENTI STRANIERI. PROTEGGIAMO CON FERMEZZA I DIRITTI E GLI INTERESSI DELLE IMPRESE”
La Cina assicura di proteggere gli interessi delle aziende Usa e di rimanere una “terra promettente” per gli investimenti stranieri.
Lo ha assicurato il viceministro del Commercio Ling Ji, in base a una nota diffusa oggi dallo stesso dicastero, dopo che Pechino ha imposto venerdì controdazi al 34% su tutto l’import dagli Usa.
La ritorsione cinese “protegge con fermezza i diritti e gli interessi legittimi delle imprese, comprese quelle americane”, ha detto domenica Ling, incontrando domenica un gruppo di rappresentanti di aziende Usa. Pechino ritiene che le tariffe di risposta mirano a rimettere gli Stati Uniti sulla “strada giusta”.
I leader cinesi hanno discusso nel fine settimana le misure per stabilizzare l’economia e i mercati di fronte allo tsunami tariffario del presidente Usa Donald Trump, inclusa l’ipotesi di accelerare i piani di stimoli ai consumi.
Lo riporta Bloomberg in base a fonti vicine al dossier, secondo cui nell’iniziativa sono stati coinvolti dirigenti e funzionari senior di enti governativi, compresi quelli delle autorità di regolamentazione finanziaria.
Nel mirino l’idea di portare avanti alcune misure pianificate anche prima dei dazi di Trump. Le Borse cinesi, tuttavia, accentuano le perdite con Shanghai a -7,30% e Shenzhen a -10,31%.
La Cina accusa gli Usa di mirare a “un’egemonia in nome della reciprocità” con il massiccio programma di dazi annunciato la scorsa settimana dal presidente Donald Trump.
“Gli Usa stanno cercando un’egemonia in nome della reciprocità, sacrificando gli interessi legittimi di tutti i Paesi per servire i propri interessi egoistici e dando priorità all’America rispetto alle regole internazionali”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Lin Jian. “Questo è tipico unilateralismo, protezionismo e bullismo economico – ha detto Lin nel briefing quotidiano -. Minacce e pressioni non sono il modo migliore per negoziare con la Cina”.
Donald Trump ha provocato il crollo dei mercati la scorsa settimana, annunciando dazi generalizzati contro i partner commerciali degli Stati Uniti, sostenendo che da anni Washington viene «fregata» e affermando che diversi governi stavano facendo la fila per concludere accordi con la Casa Bianca.
Ma, dopo la chiusura dei mercati asiatici venerdì, la Cina ha annunciato una controffensiva: dazi del 34% su tutti i beni statunitensi a partire dal 10 aprile. Pechino ha inoltre introdotto controlli all’export su sette terre rare, tra cui il gadolinio – utilizzato comunemente nelle risonanze magnetiche – e l’ittrio, impiegato nei dispositivi elettronici di consumo.
Le speranze che il presidente americano potesse rivedere la propria posizione alla luce della crisi dei mercati sono state spazzate via domenica, quando Trump ha ribadito che non siglerà alcun accordo con altri Paesi finché non saranno risolti gli squilibri commerciali.
Ha negato di star volutamente provocando i ribassi in Borsa e ha dichiarato di non poter prevedere le reazioni dei mercati. «A volte bisogna prendere la medicina per aggiustare qualcosa», ha commentato, riferendosi al caos che ha già cancellato migliaia di miliardi di dollari di capitalizzazione.
Le vendite in Asia hanno colpito tutti i settori, senza eccezioni: aziende tecnologiche, case automobilistiche, banche, casinò e colossi dell’energia sono stati travolti da
un’ondata di fuga dagli asset più rischiosi.
Tra i titoli più penalizzati, i giganti dell’e-commerce cinese Alibaba e JD.com sono crollati di oltre l’11%, mentre il colosso giapponese degli investimenti tech SoftBank ha perso più del 10%.
Shanghai ha chiuso in calo di oltre il 5%, Singapore ha lasciato sul campo più del 6%, e anche Seul ha perso oltre il 5%, facendo scattare per la prima volta in otto mesi il meccanismo “sidecar” che blocca temporaneamente alcune contrattazioni in caso di eccessiva volatilità.
I timori per un crollo della domanda globale hanno spinto anche i prezzi del petrolio a un nuovo calo superiore al 3% lunedì, dopo una discesa di circa il 7% registrata venerdì. Entrambi i principali contratti petroliferi si trovano ora ai livelli più bassi dal 2021.
Anche il rame – componente chiave per batterie, veicoli elettrici, pannelli solari e turbine eoliche – ha proseguito la sua discesa.
(da agenzie)
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