Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
LA RUSSA VUOLE INDICARE LUPI, MA TAJANI FRENA: “NON DEVE ESSERE UN POLITICO, IL FUTURO DI MILANO NON SI DECIDE A CENA”
Parole taglienti quelle del leader di Forza Italia, Antonio Tajani, sulla cena che si è
tenuta a casa del presidente del Senato, Ignazio La Russa, durante la quale i convitati hanno iniziato a ragionare sui possibili candidati sindaci per Milano. «Il futuro di Milano non si decide a cena – l’azzurro frena – Abbiamo rispetto per tutti i nomi fatti, persone di prestigio, ma siamo convinti che serva un candidato civico, se vogliamo vincere». Attorno al tavolo di La Russa, presenti anche Giovanni Donzelli e Carlo Fidanza per Fratelli d’Italia, Licia Ronzulli e Maurizio Gasparri per Forza Italia, e Alessandro Morelli per la Lega, si è discusso delle candidature per la carica di primo cittadino e secondo diverse ricostruzioni giornalistiche, La Russa
ha frenato sulla scelta di un “civico”, lasciando intendere che Maurizio Lupi, leader di Noi Moderati, sarebbe il più papabile tra i nomi che può offrire il centro destra come possibile successore di Beppe Sala alla guida di Palazzo Marino, il cui mandato terminerà nel 2027. Il nome non trova l’appoggio di Tajani: «Il candidato non deve essere un politico. Se politicizziamo troppo la sfida, facciamo un favore alla sinistra: il miglior candidato deve essere un civico», dice il leader di Forza Italia.
«Non siamo un’alleanza da salotto»
Sul ritrovo a casa di La Russa, il leader azzurro aggiunge: «Ben venga il dibattito, e nulla in contrario alle cene. Ma come centrodestra dobbiamo trasmettere l’idea di non essere un’alleanza da salotto, bensì una coalizione capace di stare tra la gente. Personalmente, alle cene preferisco le periferie». Per Tajani la priorità è «dare il miglior governo possibile a Milano. Per questo insisto sui contenuti e sulle grandi battaglie da portare avanti. L’obiettivo non è guadagnare consenso per Forza Italia, ma vincere le elezioni». In ogni caso, non si tratta di una corsa ai nomi, «anche se il centrodestra può contare su figure di rilievo, come Letizia Moratti o Gabriele Albertini. I nomi non ci mancano, ma non dobbiamo sventolare bandiere di partito».
Nevi: «Nessuna rottura con Noi moderati»
E perché non appoggiare Maurizio Lupi? Forse l’ennesima prova dello scricchiolio interno alla maggioranza di Governo? «Nessuna rottura con Noi Moderati – chiarisce a Open il portavoce di Forza Italia Raffaele Nevi – abbiamo sempre detto che per noi la cosa più importante è prendere più voti possibili alle urne, dobbiamo, quindi, mettere insieme il centrodestra, tenendo conto di tutto un insieme di liste civiche e movimenti che non si riconoscono specificatamente nei partiti e che possano invece avere la possibilità di avere una proposta più civica». E sull’uscita netta di Antonio Tajani: un’esternazione di pancia? «Macché – replica Nevi – Tajani è uno che quando c’è da parlare, parla. Se ha scelto di dirlo, evidentemente ha ritenuto fosse il momento giusto. Ormai è grande».
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
L’ULTIMA RILEVAZIONE DI YOUGOV PER L’ECONOMIST IMPIETOSA COL LEASER USA: FRUSTRAZIONE CRESCENTE SULL’ECONOMIA ANCE TRA GLI ELETTORI REPUBBLICANI
Quando ha annunciato sui social e poi in pubblico la (mezza) retromarcia sui dazi universali, Donald Trump ha detto di esser tornato sui suoi passi per via delle lusinghe arrivategli dai governi di mezzo mondo, abbastanza freddi – Cina a parte – dall’evitare di imporre controtariffe agli Usa. Non certo perché i mercati negli Usa e in tutto il mondo nel frattempo erano crollati… E se c’entrasse invece, ancor più semplicemente, lo sguardo che Trump e i suoi avevano dato ai primi sondaggi dopo l’annuncio dei dazi? Ora che è passato qualche giorno, quei dati si sono consolidati, e trasmettono il senso di un vero e proprio allarme rosso per la Casa Bianca. Secondo l’ultima rilevazione di YouGov per l’Economist, a poco meno di tre mesi dal suo ritorno al potere il consenso di Trump sarebbe già crollato di 14 punti percentuali. Già all’inizio del primo mandato la delusione degli americani cominciò ad emergere prima, ma questa volta il collasso è impressionante: nel 2017 alla fine dello stesso periodo il calo era stato di cinque punti. Pare evidente come a trainare la frustrazione, che serpeggia pure fra i suoi elettori, siano le questioni economiche. La fiducia nelle capacità di Trump di guidare l’economia è crollata a partire da marzo sino a toccare ora quota -7. Cosa forse più preoccupante per la Casa Bianca, uno su cinque tra chi ha votato Trump nel 2024 disapprova la sua gestione di inflazione e prezzi, e il 12% la gestione dell’economia e dell’occupazione. Pochi giorni fa un altro sondaggio dell’Università del Michigan aveva fotografato il pessimismo crescente tra gli elettori repubblicani sulle prospettive dell’economia.
La delusione per le scelte economiche e il ruolo del Congresso
C’entra ovviamente il caos di annunci, reazioni di governi e mercati e marce indietro sui dazi, coi relativi effetti già visibili su crescita, scambi commerciali, investimenti e risparmi. Ma c’entrano pure secondo l’Economist i tagli radicali voluti da Trump e eseguiti dal Doge di Elon Musk al bilancio federale Usa, che hanno portato alla chiusura pure di programmi cari a elettori di Trump, come quelli di aiuti agli agricoltori. Se
i segnali critici sull’economia dovessero crescere e portare gli Usa in recessione, la situazione dei consensi rischia di peggiorare. Non che sia in discussione la presa di Trump sugli elettori repubblicani – il 92% si dichiara tuttora entusiasta di lui, e il bagno di folla dello scorso weekend alla finale Utc di Miami lo ha ricordato – ma il discorso si fa assai più delicato quando si tratta di conservare il consenso dei swing voters, quegli elettori incerti tra Democratici e Repubblicani che a novembre gli hanno garantito un solido successo, e che già alle elezioni di mid-term del prossimo anno potrebbero invece abbandonarlo. Significherebbe, per Trump, perdere il controllo del Congresso: di fatto, mettere in archivio l’era dell’«onnipotenza» di cui, a torto o a ragione, si sente depositario in questa prima fase del mandato presidenziale.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
L’ESPERTO HA DICHIARATO AL COPASIR CHE IL GOVERNO ITALIANO POTREBBE FACILMENTE RISALIRE AGLI AUTORI DELLE INTERCETTAZIONI (SE VOLESSE O SE NON L’HA GIA’ FATTO)
Presso l’aula del VI piano di Palazzo San Macuto di Roma, si è svolta un’importante
audizione al Comitato parlamentare per la sicurezza della
Repubblica (Copasir). L’incontro ha visto la partecipazione di esperti di Citizen Lab, il laboratorio dell’Università di Toronto, che ha svolto un’analisi dettagliata sull’uso dello spyware Graphite, utilizzato per spiare Luca Casarini, fondatore dell’ong Mediterranea, Beppe Caccia, responsabile delle operazioni della stessa ong e attivista, e il direttore di Fanpage.it, Francesco Cancellato. Durante l’incontro, John Scott-Railton, uno degli esperti di Citizen Lab, non ha mancato di sottolineare che il governo italiano possiede gli strumenti necessari per risalire con certezza agli autori delle intercettazioni: “Noi crediamo che, vista la nostra conoscenza di come funziona Paragon, il governo italiano abbia la capacità di controllare le tracce dello spyware Graphite in ogni dispositivo in uso in Italia e dire chiaramente e velocemente se questa tecnologia è stata usata contro Francesco Cancellato. Se la risposta è no, il passo successivo è chiedere ad altri governi, chiedere a Paragon. Noi speriamo che il governo italiano faccia una comunicazione chiara: “siamo stati noi o non siamo stati noi”, ha dichiarato l’esperto.
L’audizione odierna si inserisce nell’ambito di un’indagine ben più ampia da parte del Copasir sul caso dello spyware di Paragon Solutions, che ha sollevato gravi preoccupazioni riguardo la sicurezza, la privacy e la libertà di stampa in Italia. Finora il governo ha ammesso l’utilizzo del software contro Mediterranea Saving Humans, confermando che l’attività di sorveglianza è stata condotta secondo quanto previsto dalla normativa italiana su spyware e intercettazioni. Dopo mesi di pressioni, esecutivo e servizi hanno dunque riconosciuto la responsabilità del monitoraggio, pur senza chiarire i motivi alla base dell’operazione.
Diverso il caso del direttore di Fanpage.it, Francesco Cancellato: secondo alcuni osservatori, essendo un giornalista pubblicista e non professionista, il suo telefono potrebbe essere stato intercettato senza violare formalmente la legge. Una possibilità che però resta politicamente delicata, vista l’inchiesta pubblicata da Fanpage sul principale partito di governo. Su questo fronte, i servizi e il governo continuano a negare ogni coinvolgimento.
“Se quanto dichiarato dall’esperto di Citizen Lab corrisponde al vero e cioè che il ‘governo italiano può sapere chi ha spiato il direttore di Fanpage’, per quale motivo a Palazzo Chigi sono muti e fanno finta di niente. Anzi a quanto pare, quando sentono la parola Paragon impallidiscono e balbettano? Di cosa hanno paura? L’Italia esige la verità'”, a scriverlo sui suoi social network il deputato di Alleanza Verdi-Sinistra e segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni.
Davide Faraone (Iv): “Perché il governo non dice la verità?”
Anche il vicepresidente di Italia Viva, Davide Faraone ha commentato le parole di John Scott-Railton, uno degli esperti di Citizen Lab: “Il Governo italiano sa chi ha spiato il direttore di FanPage Francesco Cancellato, dicono gli esperti internazionali del caso Paragon. Una sola domanda: perché il Governo non dice la verità?”, ha infatti scritto Farone con un post su X (ex Twitter).
Le opposizioni: “Un caso politico, serve chiarezza”
Intanto, il caso Paragon è arrivato anche all’Associazione Stampa Estera di Roma, dove i leader dell’opposizione, Giuseppe Conte, Elly Schlein, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni e Riccardo Magi, sono intervenuti, pochi giorni fa, a una conferenza sulla libertà di stampa per chiedere trasparenza. Conte ha denunciato il silenzio istituzionale sul possibile spionaggio ai danni del direttore di Fanpage, parlando di un governo che “dice di non sapere nulla”. Schlein ha definito “estremamente grave” che non vi sia ancora una risposta su chi abbia utilizzato uno spyware riservato agli enti statali per colpire un giornalista.
(da agenzie)
argomento: Politica | Commenta »
Aprile 17th, 2025 Riccardo Fucile
I GIUDICI DEVONO ESPRIMERSI SULL’HUMPHREY’S EXECUTOR, LA NORMA CHE IMPEDISCE AL PRESIDENTE DI LICENZIARE IL CAPO DELLA FEDERAL RESERVE: SE LA CORTE SUPREMA CONCEDESSE A TRUMP QUEL POTERE, L’INDIPENDENZA DELLA BANCA CENTRALE ANDREBBE A PUTTANE, E CON ESSA LA STABILITÀ DEL SISTEMA MONETARIO AMERICANO
Gli investitori sono già preoccupati per la sicurezza del dollaro e del debito del Tesoro statunitense. La Corte Suprema potrebbe presto dare loro un motivo in più per esserlo.
La Corte sta per esaminare una questione che, pur non riguardando direttamente la Federal Reserve, potrebbe determinare se il presidente Trump abbia o meno il potere di licenziare il presidente della Fed.
Non ci sono indicazioni che i giudici intendano effettivamente conferire al presidente tale autorità. E anche se lo facessero, non è detto che Trump licenzierebbe Jerome Powell, che è stato nominato proprio da lui.
Ma concedere al presidente questo potere equivarrebbe, di fatto, a svuotare dell’indipendenza la banca centrale, rendendo i suoi sette governatori — incluso il presidente — funzionari revocabili a piacimento, come il segretario al Tesoro.
Gli investitori giungerebbero così alla conclusione che la politica monetaria non riflette più esclusivamente il giudizio della Fed sull’inflazione, sull’occupazione e sulla stabilità finanziaria, ma anche le priorità del presidente.
Ciò potrebbe introdurre una dose notevole di incertezza e volatilità nei mercati finanziari. Le ultime settimane offrono un assaggio delle possibili conseguenze: azioni, obbligazioni e dollaro hanno oscillato bruscamente mentre Trump imponeva e poi parzialmente ritirava i dazi. E mentre questi ultimi alimentavano le aspettative di inflazione, Trump ha invitato la “lenta” Fed ad abbassare i tassi d’interesse.
I governatori della Fed sono nominati dal presidente e confermati dal Senato per un mandato di 14 anni, con uno di loro che ricopre contemporaneamente un mandato quadriennale come presidente.
Il Federal Reserve Act stabilisce che possono essere rimossi solo per giusta causa. Secondo gli studiosi, la Corte Suprema ha sancito questo principio nel 1935, quando impedì a Franklin Roosevelt di licenziare membri della Federal Trade Commission per motivi puramente politici, in quanto — a differenza dei normali dipendenti del ramo esecutivo — ricoprivano un ruolo quasi giudiziario.
Ma a febbraio, l’amministrazione Trump ha chiesto alla Corte di annullare quel precedente, noto come Humphrey’s Executor, sostenendo che esso interferisce con il controllo del presidente sull’esecutivo. Trump ha poi forzato la questione licenziando un membro democratico del National Labor Relations Board e un altro del Merit Systems Protection Board.
Entrambi hanno fatto causa, sostenendo che i licenziamenti erano illegali. Il presidente della Corte Suprema, John Roberts, ha lasciato che i licenziamenti rimanessero in vigore mentre la Corte valuta la controversia. Ha chiesto a entrambe le parti di presentare le memorie entro la fine di martedì.
I giudici potrebbero inizialmente decidere solo se i ricorrenti debbano riottenere i loro incarichi, rimandando la decisione di merito a un secondo momento. La maggioranza conservatrice della Corte è nota per guardare con scetticismo al precedente Humphrey’s Executor.
Il presidente della Fed potrebbe avere altri strumenti per contestare un eventuale licenziamento, anche senza il precedente del 1935. Alcuni funzionari dell’amministrazione Trump stessi sembrano diffidare di uno
scontro diretto. Quando, a febbraio, la Casa Bianca ha rafforzato la supervisione sulle agenzie indipendenti, ha incluso la regolamentazione bancaria della Fed, ma ha esentato la sua politica monetaria.
Alcuni studiosi ritengono che anche se la Corte dovesse annullare Humphrey’s Executor, troverà comunque un modo per proteggere l’indipendenza della Fed.
In caso contrario, renderebbe la banca centrale un’istituzione fondamentalmente diversa.
La logica dell’indipendenza delle banche centrali è semplice: i leader eletti sono tendenzialmente inclini a favorire la crescita economica e i tassi d’interesse bassi, anche a scapito dell’inflazione. Gli studi dimostrano che l’inflazione è più bassa quando le banche centrali sono indipendenti.
Le banche centrali indipendenti possono anche commettere errori, come fece la Fed quando nel 2021 ritenne che l’inflazione fosse temporanea. E non sono davvero immuni dalle pressioni politiche: Richard Nixon fece pressioni sul presidente della Fed Arthur Burns affinché mantenesse i tassi bassi in vista della sua rielezione nel 1972. Inoltre, cambiare lo status del presidente della Fed non modificherebbe il suo mandato, che resta quello di mantenere la stabilità dei prezzi e la piena occupazione.
Eppure la politica monetaria comporta innumerevoli valutazioni discrezionali, e un presidente della Fed preoccupato per il proprio posto di lavoro avrebbe la tendenza a orientare tali decisioni in modo da conservarlo.
Trump non è come gli altri presidenti. Rifiuta il concetto stesso di indipendenza e si aspetta che l’intero apparato federale si conformi alle sue priorità, che si tratti di punire gli studi legali che rappresentano i suoi avversari o di deregolamentare le criptovalute, amate dalla sua base e dalla sua famiglia. Esprime pubblicamente le sue preferenze, spesso tramite i social media.
In tal modo, ogni opinione espressa da Trump si rifletterebbe immediatamente nella valutazione dei mercati. Se chiedesse tassi più bassi, i mercati darebbero per scontato che la Fed obbedirà.
La Fed potrebbe tentare di contenere i rendimenti obbligazionari mantenendo bassi i tassi a breve termine o acquistando titoli (poiché all’aumentare dei prezzi delle obbligazioni, i rendimenti scendono). Ma non “sarebbe in grado di contenere l’inflazione stessa”, ha detto Jeremy Stein, economista della Harvard University ed ex governatore della Fed.
Poiché le parole e le azioni della Fed si riverberano sui mercati globali, i suoi funzionari si impegnano a fondare le proprie decisioni su dati oggettivi come inflazione, disoccupazione e prezzi finanziari, in modo che gli investitori possano dedurre come eventuali nuove informazioni influiranno sulla politica monetaria.
“Se l’indipendenza della Fed viene meno, quel processo mentale da parte degli operatori di mercato diventa molto più complicato, perché dovranno considerare ciò che richiede la situazione politica”, ha spiegato David Wilcox, ex economista della Fed oggi affiliato a Bloomberg Economics e al Peterson Institute for International Economics.
Questo è un momento delicatissimo per la Fed per apparire politicizzata. Il Tesoro dovrà emettere migliaia di miliardi di dollari di nuovo debito nei prossimi anni per finanziare i deficit previsti nei bilanci repubblicani. Gli investitori potrebbero rifiutarsi di acquistare quel debito se sospettano che una Fed compiacente permetterà all’inflazione di eroderne il valore. Alcuni stanno già limitando la propria esposizione agli Stati Uniti, come suggerisce il calo del dollaro, l’aumento del prezzo dell’oro e dei rendimenti obbligazionari che ha accompagnato la guerra commerciale di Trump.
(da WashingtonPost)
argomento: Politica | Commenta »