Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile
PREVISTO L’ARRIVO A FIUMICINO DI OLTRE 100.000 FEDELI PER L’ADDIO A PAPA FRANCESCO … LO SCONCIO DI SPECULARE ANCHE SU UN FUNERALE
Una città pronta a salutare il suo Papa e, insieme, una sfida logistica ed economica per migliaia di pellegrini in arrivo da ogni parte del mondo. Con l’avvicinarsi del funerale di Papa Francesco, previsto per sabato 26 aprile, Roma si prepara a un vero e proprio esodo religioso, con oltre centomila fedeli attesi tra voli internazionali, pullman e treni. Ma per chi cerca un letto in città, e soprattutto nei pressi del Vaticano, la situazione si fa complicata e costosa: le tariffe sono alle stelle.
I prezzi folli delle stanze a Roma
I principali portali di prenotazione online parlano chiaro: molte strutture mantengono i prezzi abituali, ma non mancano casi di speculazione e rincari folli. Come riporta l’edizione romana de la Repubblica, una doppia in un b&b a piazza Risorgimento è proposta “in offerta” a 1.015 euro a notte, mentre in via Cola di Rienzo si arriva a 920 euro per una notte in hotel tre stelle. Un hotel a cinque stelle nei pressi di via di Porta Cavalleggeri chiede 2.232 euro per una notte del 25 aprile. Anche le soluzioni più modeste costano care: una camera in un hotel tre stelle in zona Ottaviano parte da 670 euro, mentre un altro albergo nei pressi di viale Vaticano si ferma, si fa per dire, a 537 euro.
Il rifugio delle case religiose
A rappresentare una boccata d’ossigeno è l’offerta delle case religiose, coordinate dall’Associazione Ospitalità Religiosa Italiana. Il presidente Fabio Rocchi conferma: «I religiosi non aumentano i prezzi: le tariffe restano bloccate tutto l’anno. Una doppia viene 90 euro con colazione inclusa, cena opzionale a 15 euro». Ma c’è un problema: molte strutture sono già piene per via del Giubileo degli Adolescenti, che si sovrappone alle esequie papali.
20mila fedeli in arrivo
Si prevede che oltre 20mila fedeli arriveranno a Fiumicino con voli internazionali, anche pagando cifre esorbitanti, oltre 3mila, euro per un diretto dall’Argentina. Le diocesi italiane, invece, si stanno organizzando con pullman e treni speciali per convogliare a Roma centinaia di migliaia di persone. Secondo Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi, la situazione è sotto controllo: «Ci sono più prenotazioni del previsto ma non siamo ancora al tutto esaurito. C’è stato un primo momento di cancellazioni, poi nuove prenotazioni legate al funerale».
(da agenzie)
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Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile
QUEI POLITICI SENZA VERGOGNA CHE SI PROCLAMANO CRISTIANI E GOVERNANO SEMINANDO ODIO SONO INDEGNI DI PRESENZIARE AI FUNERALI DI PAPA FRANCESCO, RESTINO NELLA FOGNA DOVE VIVONO
Ai funerali del papa ci saranno parecchie persone che lo detestavano. Politici e
governanti di destra, ufficialmente cristiani, per i quali questo papato è stato un macigno indigeribile. Basterebbero le parole di Bergoglio sui migranti – disse che escluderli dalla società è “schifoso, peccaminoso e criminale” – per capire quale abisso separi il Vangelo secondo Bergoglio dal cristianesimo di Stato di Trump, che non crede in nulla che non sia profittevole per lui, e usa la fede come uno sfollagente; o dalla religione armigera di “Dio, Patria, Famiglia”, che in Italia, si sa, è al governo.
Per non dire della appassionata fede ambientalista (francescana) così bene scritta nell’enciclica Laudato si’ e messa in ridicolo da molti, a destra, come tutto ciò che impiccia il profitto, e l’ottusa comodità delle abitudini. Che sarà mai, la Terra, se non un grosso limone da spremere.
Sono stato battezzato ma non sono cristiano, non credo che Gesù fosse il figlio di Dio incarnato in una vergine: la fede è una cosa seria, non la si può aggiustare. Ma la morte di questo papa è un mio lutto (e di altri simili a me), molto ma molto di più di quanto lo sia per una moltitudine di cristiani “ufficiali” ai quali Bergoglio dev’essere sembrato un intruso – tal quale Gesù ai suoi coevi, e Francesco d’Assisi ai suoi.
Non è vero, non è mai stato vero che sia la disciplina formale della religione (andare a messa, pretendere il crocifisso nelle scuole e negli edifici pubblici) a fare la differenza. La differenza più profonda, più significativa dal punto di
vista umano, è la differenza politica, ovvero come si cerca di guardare al mondo e agli uomini. È quella che segna i pensieri e le vite.
(da repubblica.it)
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Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile
LA VOTAZIONE RISALE A PRIMA DEL XIII SECOLO
Conclave. Parola semplice: ma in questi tempi – ormai il latino è diventato poco familiare perfino ai seminaristi – bisognosa forse di una breve spiegazione. Cum clave è espressione appunto latina che significa letteralmente “sottochiave” e indica l’uso, sancito da papa Gregorio X , di chiudere e custodire in una stanza chiusa a chiave i cardinali destinati a decidere con il loro voto della successione pontificia.
Papa Gregorio X – al quale si deve anche il gigantesco piano di riforma fiscale pontificia riguardante le cosiddette “decime” – formulò questa regola durante il II Concilio di Lione tenutosi settecentoquarantun anni or sono, dal 5 gennaio al 13 aprile del 1274, uno dei più importanti nella storia della Chiesa.
E lo fece in quanto personalmente segnato dagli esiti di un’angosciosa esperienza della Chiesa: dopo la morte di papa Clemente IV a Viterbo nel novembre del ’68, l’inimicizia reciproca dei cardinali là convocato per dargli un successore causò una vacanza della Santa Sede lunga oltre due anni e terminata solo quando le autorità cittadine viterbesi, esasperate dal protrarsi della cosa, avevano posto fine agli indugi mettendo i reverendissimi porporati a pane ed acqua e scoperchiando il soffitto della sala dov’erano riuniti.
A quel punto, i litigiosi principi della Chiesa si erano accordati sul nome di un
chierico piacentino, Tedaldo Visconti, che aveva fatto parte in Terrasanta dell’entourage di Edoardo principe ereditario (poi re) d’Inghilterra ed era poi stato designato arcidiacono della cattedrale di Liegi.
Il Visconti, restato oltremare, fu precipitosamente richiamato nel 1271, ordinato sacerdote (era fino ad allora solo diacono), insignito della porpora cardinalizia e quindi della tiara pontificia. Si poteva allora e si può ancora oggi: anche un laico può diventar papa, naturalmente dopo aver precipitosamente percorso i gradi ecclesiali intermedi.
1274, quindi. Ma in realtà la preistoria del conclave affonda le sue origini in un’età ben più arcaica: dai tempi dell’elezione del vescovo di Roma. Secondo gli antichi cànoni confermati nel IV secolo dalla Chiesa di Teodosio ormai divenuta unica autorità religiosa legittima nell’impero romano, un vescovo dev’essere eletto dal clero e dal popolo della sua diocesi, o meglio da una qualificata rappresentanza di entrambi.
Ma nei secoli tale usanza, specie quando di trattava del vescovo di Roma, aveva dato luogo a disordini e abusi tali da indurre i padri riuniti nel concilio lateranense del 1059 a restringere il corpo elettorale a un gruppo di vescovi delle diocesi suburbicarie (cioè suffraganee) della sede romana nonché ai preti e ai vicari delle chiese dell’Urbe insignite del titolo basilicale.
I cardinali – formalmente “vescovi”, “preti” e “diaconi”, in numero in realtà variabile – costituirono da allora il collegio elettorale del capo della Chiesa romana.
Insomma: nel lungo arco di tempo che va dall’età apostolica al 1870, la morte e l’elezione del papa sono state al centro di una complessa evoluzione normativa, rituale e politica. A differenza delle monarchie ereditarie, dove vigeva il principio dell’immortalità simbolica del sovrano, la Chiesa cattolica fonda una parte essenziale della propria identità sulla necessità della sostituzione del pontefice defunto.
Questa sostituzione si articola attraverso un processo in cui si distinguono il corpo sacro e spirituale del papa, che continua a esistere simbolicamente nella figura istituzionale, e il corpo mortale, che deve essere rimpiazzato attraverso precisi meccanismi giuridici e cerimoniali
Nel corso dei secoli, tali meccanismi hanno conosciuto una profonda trasformazione. In epoca tardoantica, l’elezione del papa avveniva con la
partecipazione di una platea relativamente ampia che includeva laici e, in certi casi, anche donne; i vescovi, invece, risultavano esclusi dal processo.
L’approvazione dell’imperatore era richiesta prima della consacrazione, il momento rituale che conferiva ufficialmente i poteri pontifici. Con il consolidarsi del primato del vescovo di Roma, si affermò anche la pratica di celebrare la consacrazione sulla tomba di san Pietro, come mezzo per legittimare simbolicamente la successione apostolica.
A partire dall’VIII secolo, si moltiplicarono le imitazioni di modelli imperiali, e
i papi iniziarono a rafforzare la loro autorità temporale anche attraverso il linguaggio simbolico. L’XI secolo vide l’adozione di importanti riforme ecclesiastiche che – dal 1059, come si è visto – limitarono il diritto di voto ai soli cardinali, spostando la centralità dell’investitura dal momento della consacrazione a quello dell’elezione.
Tuttavia, questa esclusività contribuì alla formazione di lunghi periodi di sede vacante, durante i quali i cardinali, detentori del potere elettivo, avevano pochi incentivi a concludere rapidamente la votazione.
Dopo la regolamentazione del 1274, l’elezione del papa divenne quasi un affare di stato dei singoli governi della Cristianità, ciascuno dei quali aveva uno o più cardinali di sua fiducia che rappresentava la sua intenzione.
Si poteva procedere per scrutinio, ovvero per votazione ordinaria fino al raggiungimento della maggioranza richiesta; per acclamazione unanime; per compromissum, ossia la delega della decisione a un piccolo gruppo di cardinali quando l’accordo generale risultava impossibile; o per accessus, che consentiva ai cardinali di cambiare voto e aderire a un candidato già prossimo alla maggioranza necessaria.
I tentativi d’ingerenza esterna da parte di sovrani e di governi – molti dei quali vantavano diritti formali d’ingerenza sull’elezione dei cardinali provenienti dai loro paesi – dettero luogo spesso a episodi drammatici o divertentissimi: l’umanista Enea Silvio Piccolomini, divenuto papa Pio II nel 1458, narrò con lingua appuntita e tagliente nei suoi Commentarii le vicende del conclave da cui era uscito eletto.
A partire dal XVII secolo, con le riforme introdotte da Gregorio XV nel 1621, il procedimento fu reso più rigoroso: venne sancita la segretezza assoluta del voto, fu imposta la maggioranza dei due terzi e si rese più difficile il ricorso
all’acclamazione, al fine di contenere il potere delle fazioni interne al collegio cardinalizio. Con la costituzione Vacantis apostolicea sedis del 1945 (di Pio XII) e il “motu proprio” Summi pontificis electio del 1962 (di Giovanni XXIII) si è giunti all’attuale situazione
Franco Cardini
(da La Stampa)
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Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile
E L’IMBARAZZO DI UNA SINISTRA CHE TIFA PER LA CAPITOLAZIONE DELLA RESISTENZA DEL POPOLO UCRAINO
Poteva essere (non lo sarà) un 25 aprile diverso da tutti perché per la prima volta
offriva alla sinistra e alla destra l’opportunità di riflettere sul significato attuale, se ancora esiste, della ricorrenza e di commisurare quegli eventi lontani con la resistenza di oggi, quella che davvero c’è, opera, sta sulle montagne: la disperata resistenza di Kiev.
Poteva essere (non lo sarà) una festa civile differente dal solito anche per la coincidenza quasi perfetta con i funerali di Francesco e con la sfilata di potenti che si preannuncia, testimonianza diretta di come il potere – anche il più arrogante, anche il più autosufficiente e narcisista – abbia bisogno di una veste morale e vada a cercarsela dove minore è il prezzo da scontare in termini di coerenza: alle esequie di un capo religioso che in vita risultava fastidioso quasi per tutti.
La destra aveva quest’anno un argomento formidabile per vivere un 25 aprile che rovesciasse l’imbarazzo sugli “altri”, la coincidenza quasi perfetta tra le lettere dei partigiani italiani condannati a morte e quelle dei soldati ucraini, mai attuale come oggi, mentre di quei combattenti si sollecita la resa senza condizioni.
“Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho combattuto, ora sono qui… fra poco non sarò più, muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile perché la libertà trionfasse”. “Ho combattuto per più di cinquanta giorni, completamente circondato. E sono pronto a combattere fino alla fine”. Chi è la casalinga toscana, chi è l’ufficiale di Kiev, cosa significa opporsi a un potere soverchiante?
E quale data più sfidante di questo 25 aprile per incalzare una sinistra che ha
scelto la bandiera arcobaleno e di fatto tifa per la capitolazione di quegli uomini e di quelle donne? Eppure da una parte il riflesso condizionato prevale mentre dall’altra si replica il copione della storia come leggenda retorica, cristallizzata in un passato senza riferimenti autentici nel presente. Il governo chiede manifestazioni sobrie. L’Anpi risponde indispettita adombrando il sospetto di
un lutto nazionale prolungato per annacquare la ricorrenza.
E tuttavia proprio la gigantesca partecipazione politica che si preannuncia per i funerali di Francesco racconta che la leggenda e la retorica non sono sufficienti a chi governa le nazioni. Il “Great Again” con il suo riferimento a chissà quale età dell’oro non basta, non c’è impero romano, non ci sono brigate partigiane o bei ricordi dei treni in orario che possano rammendare l’insufficienza morale dei tempi.
Bisogna inchinarsi a Papa Bergoglio sperando che l’omaggio attenui il ricordo delle sue accuse contro la ferocia del turbo-capitalismo, la disumanità contro i migranti, le guerre in armi e commerciali intraprese sulla pelle dei popoli, la dispersione dei valori universalisti della cristianità, i farisei e i sepolcri imbiancati che ingannano il mondo.
Non fa comodo alla destra vivere un 25 aprile diverso, come pure sarebbe stato possibile, perché significherebbe ammettere che gli Usa di Donald Trump sono all’opposto, sul piano valoriale, degli Alleati che dopo la caduta del fascismo stipularono un patto di ferro con le destre italiane in nome dell’anticomunismo e della difesa dello spazio di libertà dell’Occidente. Il mondo Maga ha da tempo rinnegato quel patto in nome dell’intesa con Vladimir Putin, irridendo apertamente il modello di vita e diritti che ogni europeo giudica irrinunciabile, e però: non si può dire, non si può nemmeno pensare. A sinistra, figuriamoci. La simmetria tra le dittature degli Anni Trenta e l’espansionismo russo è tabù. Inammissibile, impronunciabile, perché significherebbe giustificare l’altro paragone, quello tra i soldati di Kiev e gli uomini della resistenza italiana, e dunque chiamare in causa l’essenza del celebrato “spirito del 25 aprile”, il diritto di opporsi all’esercito invasore di una dittatura e il dovere di sostenere chi lo fa.
È in questa confusione di riferimenti e valori che vivremo la settimana dei funerali del Papa e si capisce perché tutti vogliano esserci, tutti chiedano la prima fila, alla ricerca di un imprimatur morale che da soli non riescono a darsi. In fondo è un bene. Rivela, quantomeno, la consapevolezza di una specifica fragilità ed è in fondo la vittoria postuma di Francesco su un potere temporale che non lo ha quasi mai amato ma adesso ne ha bisogno, se non altro per mostrarsi in quella piazza fatidica, per non sembrare del tutto estraneo alla sua lezione così scomoda, così indispensabile.
(da La Stampa)
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Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile
OGNI PERSONA PREFERISCE LA PACE ALLA GUERRA, MA IL RUOLO DELLA POLITICA E’ UN ALTRO, SOPRATTUTTO SUI CONFLITTI
Nel 1938 un giovane sociologo che aveva appena fondato quello che ancora oggi è il maggiore istituto francese di sondaggi, l’Ifop, esordì chiedendo ai suoi
concittadini se approvassero l’accordo di Monaco appena firmato, il quale, come si sa, dava in pratica il via libera alle mire di Hitler sulla Cecoslovacchia. Risultato: ben il 57 per cento rispose sì, che approvavano l’accordo, il 37 per cento rispose di essere contrario, mentre il 6 per cento non rispose. È abbastanza noto come andò a finire.
Si tratta all’incirca dello stesso risultato che dà il sondaggio, divulgato nei giorni scorsi, che qui in Italia, oggi, ha chiesto agli italiani se approvano il disimpegno del nostro Paese dalla guerra in Ucraina sia sotto forma d’invio di armi che in qualsiasi altro modo. Risulta che la grande maggioranza è per il disimpegno.
Ma che cosa indica in realtà un tale sondaggio? Semplicemente che in generale alla gente comune la prospettiva della guerra non piace, che essa preferisce tenersene lontana. Si tratta di un modo di sentire elementare, naturale, probabilmente diffuso sempre e dappertutto. La domanda però è fino a che punto una qualunque decisione importante, ad esempio sul destino di un Paese, possa fondarsi esclusivamente su un tale modo di sentire. In altre parole se esso renda di fatto inutile la politica.
Io penso proprio di no. La politica — quella vera, quella rappresentata da una vera classe dirigente non da una congrega di dilettanti allo sbaraglio — la politica, dicevo, serve innanzi tutto a spiegare come stanno realmente le cose, quali sono i veri termini di un problema, perché le cose stanno così e chi ne ha la responsabilità. E infine serve a interrogarsi sui possibili rimedi: a farsi le domande giuste. Far credere, viceversa — come cercano di fare credere coloro i quali si fanno forti dei sondaggi — che la politica debba principalmente consistere nel fare «quello che pensa la gente», è solo una pericolosa menzogna,
anche se travestita da perfetta ortodossia democratica.
Ciò vale specie quando è questione di politica estera; e ancora di più quando è questione della pace e della guerra. Ogni persona normale preferisce ovviamente la pace alla guerra. Ma ogni persona normale sa che da sempre esistono capi di governo che mirano a espandere il proprio potere a danno di Paesi vicini, capi di governo che ricorrono all’intimidazione e alle minacce verso coloro che li contrastano, e che alla fine non esitano a far seguire alle minacce atti concreti anche i più brutali: come per l’appunto da tre anni sta facendo in Ucraina Vladimir Putin con il suo esercito.
Come ho detto, la politica serve, dovrebbe servire, a informarci per decidere che cosa conviene fare. Ad esempio a informarci chi sia Putin, a informarci circa la continua manipolazione della Costituzione russa che egli ha operato per conservare il potere; ovvero circa le idee reazionarie, imperialiste, revansciste, illiberali, e clericali che ama professare facendone la piattaforma ideologica del suo potere. Ancora: a informarci circa la cerchia di grandi ladri di Stato di cui si circonda e che da lui dipendono; a darci notizia della menzogna continua a cui ricorre; dell’arma della corruzione di cui si serva per comprare politici e media stranieri; dell’assassinio a ripetizione di chiunque si opponga al suo potere; della catena di continue di feroci aggressioni sterminatrici che egli conduce da anni contro quei Paesi stranieri che considera far parte della sfera d’influenza russa.
Il principale dovere dei politici non è quello di spingerci alla pace o alla guerra: è quello di informarci circa che cosa essi per primi pensano circa le questioni ora dette che costituiscono i veri aspetti decisivi a proposito della guerra o la pace. Solo così, infatti, possiamo decidere con cognizione di causa sulla questione cruciale la quale, così come nel ’38 a proposito della Cecoslovacchia era «possiamo fidarci di Adolf Hitler?», oggi a proposito dell’Ucraina è: «possiamo fidarci di Vladimir Putin?». Il che non vuol dire che se le risposta è no, allora dobbiamo unirci agli ucraini nel fare la guerra. Vuol dire che se la risposta è no allora non possiamo decentemente dissociarci dagli ucraini nel caso in cui anch’essi non si fidino di Putin; non possiamo dissociarci dagli ucraini quando essi, come accade oggi, prima di accettare qualsiasi proposta di pace vogliono vederci chiaro, prendere tutte le misure precauzionali del caso, ottenere tutte le garanzie possibili.
Perché tali garanzie sono necessarie anche a noi. Infatti, se domani Putin come ha già fatto tante altre volte decidesse, dopo un eventuale successo in Ucraina, di mettere in moto un nuovo meccanismo di destabilizzazione-sovversione interna-invasione ad esempio nei confronti della Moldavia o dell’Estonia o di qualche altro piccolo Paese baltico, che cosa faremmo noi allora? Di nuovo il «vorrei ma non posso», il «qui lo dico e qui lo nego», il «sì, ma, vedremo» di questi mesi? I dittatori guerrafondai e omicidi vanno fermati il prima possibile: e chi cerca di farlo, immerso da tre anni nel fango e nel sangue, ha diritto almeno a tutto l’aiuto possibile da chi come noi, invece, sta in poltrona a godersi lo spettacolo in tv.
Ernesto Galli della Loggia
(da corriere.it)
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Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile
FA PARTE DI QUEST’AREA IL CARDINALE DI NEW YORK TIMOTHY DOLAN… PER ESERCITARE UNA FORMA DI “PRESSIONE”, IL PRESIDENTE NON POTEVA MANCARE AI FUNERALI DEL PAPA
Donald Trump non ha tardato a mettere da parte gli altri impegni in agenda e ad
annunciare che sabato prossimo sarà ai funerali di papa Francesco in Vaticano. Il suo vice presidente JD Vance è stato addirittura tra le ultime personalità a incontrare il Pontefice prima del decesso. “Melania e io andremo al funerale di Papa Francesco, a Roma. Non vediamo l’ora di esserci!”, ha scritto enfaticamente il presidente Usa sul suo social Truth.
E tra gli altri leader mondiali che saranno presenti per l’occasione in Piazza San Pietro, Trump non poteva far mancare la sua partecipazione, per due motivi principali: da una parte, l’appoggio di massa avuto per la sua rielezione dalla base cattolica americana. Dall’altra per una visione di prospettiva: far sentire la sua ‘attenzione’ di leader della super-potenza Usa a chi dovrà eleggere, fra poco, il successore di Bergoglio. Tenendo presente che gli Stati Uniti possono contare su 10 cardinali elettori, anche se posizionati su schieramenti non omogenei.
Non è un segreto che il pontificato di Francesco sia stato una sorta di spina nel fianco per la linea dell’amministrazione Trump. Le critiche, anche pesanti, sono fioccate dal Papa argentino: a partire dalla considerazione che un leader che vuole erigere muri contro i migranti “non è cristiano”, anzi, è “contro la vita”, anche se quest’ultimo giudizio di Francesco non ha risparmiato la candidata democratica ed ex vice presidente Kamala Harris per le sue aperture pro-aborto.
Un Pontefice ‘globalista’, anti-occidentale e paladino del Sud del mondo e dei poveri di ogni continente come Bergoglio non è mai andato a genio al
nazionalista e ultra-nazionalista Trump, che ora amerebbe un cambio di fronte a lui più favorevole anche in Vaticano.
La lettera dello scorso febbraio ai vescovi degli Stati Uniti, in cui il Papa diceva che “deportare le persone lede la dignità di intere famiglie” e invitava a costruire ponti non “muri di ignominia”, ha lasciato il segno, aprendo uno scontro alla luce del sole. E sia per il buon andamento interno, sia per scongiurare frizioni internazionali, il tycoon preferirebbe evitare in futuro altri ‘incidenti’ di questo genere.
Anche il suo sodale Elon Musk sarà in Vaticano per l’ultimo saluto a Francesco, ma il suo lavoro al fianco di Trump va verso la scadenza: è difficile pensare per il Conclave a interventi plateali come quelli a favore dell’Afd in Germania e in genere delle formazioni di ultra-destra in Europa.
Ma una pressione sotterranea dell’entourage di Trump per far salire al soglio di Pietro un candidato gradito è già nei fatti, anche tramite l’arcipelago mediatico presidiato dal cattolicesimo americano più conservatore. “C’è un tentativo anche più ampio, un progetto più a lungo termine: quello che stanno costruendo guarda fino al prossimo secolo”, dice all’ANSA lo storico del cristianesimo Massimo Faggioli, docente alla Villanova University, in Pennsylvania, recente autore di ‘Da Dio a Trump’.
“E’ un progetto politico, anche intellettuale, di ricostruire un cattolicesimo ‘all’americana’ – spiega -. Potrà avere un’influenza sul Conclave, ma rappresenta un potere, di tipo finanziario, intellettuale, formativo, che può andare anche a
di là del papato. Così come è stato già con Bergoglio, e per Trump ha funzionato benissimo”.
E’ un progetto “nato 40 anni fa in forma moderata con il movimento neo-conservatore – prosegue Faggioli -. Negli anni 2000, dopo l’11 settembre, si è radicalizzato. Poi è esploso con papa Francesco, un Pontefice che portava avanti una posizione opposta”. Ora per avere un Papa ‘gradito’ in Vaticano, quest’area guarda al cardinale di New York Timothy Dolan, i cui numeri negli ultimi tempi sono in salita.
Meno in sintonia con la linea Trump sono il cardinale di Chicago Blase Joseph Cupich e quello di Newark Joseph William Tobin, le cui voci si sono levate fermamente contro le deportazioni di migranti.
Gli spazi per trattative con altri fronti conservatori del Sacro Collegio, però, ci
sono, anche in favore di candidati non statunitensi. E molto si giocherà anche nelle ‘cordate’ da costruire in sede di Congregazioni pre-Conclave. La situazione, comunque, è in divenire, e non è certo detto che il tentativo vada in porto.
“Fino al dicembre scorso – osserva Faggioli – chi era cattolico e trumpiano poteva convincere anche altri che Trump fosse positivo per la Chiesa: ‘è contro il gender, è contro l’aborto, insomma è dei nostri'”. “Adesso le cose sono cambiate, e dopo gli espatri di migranti, dopo i tagli alla cooperazione, tutto è molto più difficile – conclude -. Occorrerà vedere quanto i cardinali avranno il coraggio per far passare quella linea come accettabile”.
(da agenzie)
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Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile
SONO ANNI CHE “THE DONALD” SOGNA DI COSTRUIRE UN HOTEL DI LUSSO NELLA CAPITALE RUSSA: I TENTATIVI DA PARTE DEI SUOI AVVOCATI CONSIGLIERI DI CHIUDERE ACCORDI CON OLIGARCHI VICINI AL CREMLINO, FURONO AL CENTRO DELL’INCHIESTA SULLE INTERFERENZE RUSSE NELLE ELEZIONI DEL 2016
I negoziati tra Stati Uniti e Russia sulla guerra in Ucraina potrebbero portare alla realizzazione dell’antico sogno di Donald Trump di costruire una Trump Tower a Mosca. L’ipotesi è concreta, secondo il Moscow Times, giornale russo di opposizione a Putin che il Cremlino ha designato come agente straniero e la procura generale moscovita come organizzazione “indesiderata”.
Il quotidiano cita “cinque attuali funzionari del governo russo” (due diplomatici e tre dipendenti di grandi aziende statali, tutti anonimi) che confermano che iCremlino starebbe studiando di inserire anche un grattacielo tra gli asset offerti a Washington. 150 piani nel quartiere degli affari della capitale russa: tra gli sherpa di Putin c’è chi ritiene che rilanciare il progetto immobiliare potrebbe essere un modo efficace per “convincere” Trump a ripristinare velocemente i rapporti bilaterali con la Russia, vero obiettivo di Vladimir Putin sullo sfondo dei negoziati ucraini.
Il piano parla la lingua preferita del presidente Usa: quella degli affari.Come Trump ha raccontato nel libro di memorie Art of the deal, ebbe già nel 1987 l’intuizione di creare “un grande hotel di lusso di fronte al Cremlino in collaborazione con il governo sovietico”, durante un viaggio a Mosca.
Il sogno di un hotel a Mosca è stato seriamente perseguito da Trump poco prima della sua candidatura alla Casa Bianca. Tra il 2013 e il 2015, Felix Sater e Michael Cohen, avvocati consiglieri di Trump dalla carriera interrotta da indagini federali (per mafia e corruzione il primo, frode elettorale il secondo), hanno tentato per tre volte di chiudere accordi con oligarchi e funzionari russi
vicini al Cremlino.
Nessuno di questi tentativi è riuscito, ma il tutto è finito nell’inchiesta sulle interferenze russe nelle elezioni del 2016 di Robert Mueller. Il rapporto di 448 pagine firmato dal consigliere speciale del Dipartimento di Giustizia (ex direttore dell’Fbi), pubblicato nel 2019, non trovò prove di collusione con i russi per alterare le elezioni, ma appurò (anche con confessioni) rapporti di business.
Proprio i soldi avrebbero fatto naufragare i progetti: gli accordi presi dai fumosi aiutanti di Trump avrebbero fatto incassare al tycoon non più di 35 milioni, briciole in un patrimonio da 3 miliardi. In più, la vittoria elettorale di Trump nel 2016 fermò tutto. Ora Mosca ritiene di poter offrire un “deal” più vantaggioso. L’obiettivo di Putin, secondo le fonti del Moscow Times, sul lungo periodo sarebbe di ripristinare un assetto globale diviso in sfere d’influenza, e “il Cremlino è a caccia di incentivi”.
Anche l’Ucraina è una “merce di scambio” di cui Trump ha già dato segnali di
potersi disinteressare presto. Così, nel puzzle complesso si inserisce il tassello di una Trump Tower con vista sulla Moscova.
(da agenzie)
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Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile
“HA ATTACCATO I PILASTRI DELLA DEMOCRAZIA IN PATRIA E ALL’ESTERO”
Oltre 200 ex funzionari della sicurezza nazionale e diplomatici americani chiedono di
opporsi a quello che definiscono “l’attacco” alla democrazia da parte dell’amministrazione Trump.
Lo riporta la Cnn. In una lettera aperta, i funzionari affermano che il “fondamento morale” della “leadership globale” americana è a rischio.
Tra i numerosi firmatari figurano decine di ambasciatori in pensione, tra cui l’ex ambasciatrice alle Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, e l’ex vicesegretario generale della Nato, Alexander Vershbow, oltre a diversi ex agenti di intelligence della Cia in pensione.
Nel giorno in cui il segretario di Stato americano Marco Rubio ha annunciato importanti tagli al dipartimento i diplomatici scrivono che “la sfida viene
dall’interno, poiché il presidente Trump e la sua amministrazione hanno attaccato i pilastri della nostra democrazia qui in patria e la nostra forza in tutto il mondo”.
“La democrazia e la sicurezza americane sono indissolubilmente legate, indebolire l’una significa inevitabilmente indebolire anche l’altra. Come patrioti e funzionari pubblici di entrambi i partiti che hanno lavorato per proteggere
l’America per decenni, vediamo questo legame sgretolarsi alla velocità della luce”, si sottolinea ancora nella lettera.
“Molti di noi hanno prestato servizio in paesi in cui i leader eletti democraticamente hanno intrapreso la strada dell’autocrazia e sappiamo che questa crisi richiede una risposta urgente e unitaria”, dicono gli ex alti funzionari che chiedono ai loro colleghi di “contestare congiuntamente e pubblicamente le politiche pericolose dell’amministrazione e lo smantellamento di istituzioni essenziali”.
(da agenzie)
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Aprile 24th, 2025 Riccardo Fucile
È UNA MOSSA POLITICA CHE VA LETTA ALL’INTERNO DEL NEGOZIATO SUI DAZI CON TRUMP: NOI TRATTIAMO, MA NON DA UNA POSIZIONE DI DEBOLEZZA, E SIAMO PRONTI A STANGARE LE GRANDI CORPORATION A STELLE E STRISCE
La Commissione Ue ha multato Apple per 500 milioni di euro e Meta per 200 milioni per violazioni del regolamento sui mercati digitali Dma.
Per il gruppo della Mela afferma di aver accertato la violazione dell’obbligo di anti-steering, che ha impedito cioè che i consumatori potessero essere reindirizzati a servizi esterni.
Alla casa madre di Facebook contesta invece di aver violato l’obbligo di offrire la possibilità di scegliere un servizio che utilizzi meno dati personali. Si tratta delle prime sanzioni decise per inadempienze del Dma. Lo annuncia una nota.
Sia Apple e Meta sono tenute ora a conformarsi alle decisioni della Commissione europea e rimuovere i comportamenti contestati entro 60 giorni, altrimenti rischiano il pagamento di sanzioni periodiche.
Le sanzioni inflitte, ha spiegato l’esecutivo comunitario, hanno tenuto conto della gravità e della durata della non conformità, e sono ben al di sotto del tetto
del 10% del fatturato previsto dal Dma per le multe in caso di violazioni. Nel dettaglio, per quanto riguarda Apple ai sensi del Dma gli sviluppatori di app distribuite sull’App Store di Apple dovrebbero poter informare i clienti di offerte alternative esterne, indirizzarli verso tali offerte e consentire loro di effettuare acquisti.
Secondo la Commissione però Apple non ha rispettato tale obbligo e l’azienda non ha dimostrato che le restrizioni siano necessarie e proporzionate. La commissione ordina quindi ad Apple di rimuovere restrizioni tecniche e commerciali sulla gestione delle app e di astenersi dal proseguire nella condotta non conforme.
La Commissione afferma anche di aver chiuso l’indagine sugli obblighi di Apple in materia di scelta dell’utente, grazie al coinvolgimento tempestivo e proattivo di Apple nella ricerca di una soluzione di conformità. Quanto a Meta, la decisione di non conformità riguarda il modello ‘consenso o pagamento’ introdotto a novembre 2023 per gli utenti di Faceook e Instagram, che potevano
scegliere se acconsentire alla combinazione di dati personali per la pubblicità personalizzata o pagare un abbonamento mensile per un servizio senza pubblicità.
Ai sensi del Dma, le società designate come gatekeeper sulla base del regolamento devono richiedere il consenso degli utenti per combinare i loro dati personali tra i servizi. Gli utenti che non acconsentono devono avere accesso a un’alternativa meno personalizzata ma equivalente.
Secondo l’esecutivo Ue il modello introdotto da Meta non consentiva agli utenti di esercitare il diritto di acconsentire liberamente alla combinazione dei propri dati personali.
La sanzione colpisce nel dettaglio solo l’offerta tra marzo 2024, all’entrata in vigore degli obblighi del Dma, e novembre 2024, quando Meta ha cambiato il modello.
La nuova offerta di Meta, con un’opzione che utilizza una quantità minore di dati personali per visualizzare gli annunci pubblicitari, resta invece sotto esame.
Rispetto a Meta la Commissione ha anche stabilito che la piattaforma di intermediazione online Facebook Marketplace,non è più essere designato ai sensi del Dma (ha meno di 10mila utenti aziendali nel 2024)
(da agenzie)
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