Aprile 28th, 2025 Riccardo Fucile
“FORZA ITALIA CHE ATTACCA UNA CANDIDATA PER L’ASPETTO ESTERIORE? CHISSA’ COSA AVREBBE DETTO BERLUSCONI…”
La candidata del centrosinistra alle comunali a Genova, Silvia Salis, è “caruccia” ma le
elezioni “non sono un concorso di bellezza”. Il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri va all’attacco della candidata progressista (appoggiata da Pd, M5s, Avs e Italia viva) che il prossimo 25 e 26 maggio sfiderà il nome individuato dal centrodestra per la carica di sindaco, Pietro Piciocchi.
Ieri a Genova, Forza Italia ha presentato i candidati al consiglio comunale che sosterranno la corsa di Piciocchi. La presentazione delle liste è stata un’occasione per lanciare una stoccata a Salis, già finita nel mirino di commenti e attacchi per via del suo aspetto.
“Non possiamo riconsegnare Genova a chi l’ha già rattristata e governata male. Non basta una bella faccia senza esperienza politica. La sinistra ha scelto una candidata senza storia e senza programma, mentre Piciocchi è un investimento sulla città”, ha dichiarato il forzista. “La politica non si inventa, è un mestiere serio, e le elezioni non sono un concorso di bellezza”, ha ribadito. La loro candidata è caruccia, ma sa niente di amministrazione: qui ci vogliono le infrastrutture e noi siamo gli unici che possiamo garantirle, dobbiamo eleggere il sindaco, la competenza è importante”, ha ribadito.
Il candidato sindaco Piciocchi ha poi cercato di correggere il tiro rispetto alle dichiarazioni dell’azzurro. “Noi siamo quelli che credono che la politica sia una cosa seria, fatta di formazione, idee e programmi concreti, chi ama Genova sa che non bastano slogan vuoti”, ha dichiarato.
Il commento di Gasparri non è comunque passato inosservato. “Silvia Salis ha un programma serio, vincerà in modo netto. Non potendo fermarla in nessun modo, la destra la aggredisce con argomenti imbarazzanti”, ha commentato in una nota il leader di Italia Viva Matteo Renzi. “Ieri a Genova è arrivato Gasparri, di Forza Italia. E Forza Italia ha detto che il problema della Salis è che è una donna carina. Forza Italia, mi spiego? Il punto è semplice: la Salis è una donna intelligente e anche di bell’aspetto. E quando c’è una persona intelligente e di bell’aspetto, Gasparri immediatamente si sente escluso, lo capisco. Ma Forza Italia che attacca la candidata del centrosinistra per l’aspetto esteriore? Mi chiedo cosa avrebbe detto Berlusconi”, ha detto ancora, sottolineando il cortocircuito del partito fondato dall’ex premier. “È un contrappasso dantesco: da Berlusconi a Gasparri. A Silvia Salis dico: non ragioniam di loro ma guarda e passa. Tra un mese tu diventerai sindaca di Genova e Gasparri invece resterà Gasparri. Spiace, per lui”, ha concluso.
(da agenzie)
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Aprile 28th, 2025 Riccardo Fucile
SECONDO LA NARRAZIONE DEL CREMLINO, BRUXELLES È LA REINCARNAZIONE DELL’IDEOLOGIA HITLERIANA. E, ORA CHE TRUMP È ALLA CASA BIANCA, COME NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE LA RUSSIA HA AL SUO FIANCO GLI USA PER COMBATTERE IL NUOVO “REGIME”
Guardate bene questa illustrazione. Dal 16 aprile campeggia sul sito dell’Sv, l’intelligence esterna della Federazione Russa. La testa di Ursula von der Leyen, in versione vampiro, sovrasta un corpo a forma di croce uncinata con quattro estremità che finiscono in artigli insanguinati.
Al centro è il cerchio blu stellato simbolo dell’Unione europea. Ai fianchi, due baionette, con le bandiere russa e americana, infilzano l’immonda creatura.
Vladimir Putin ha trovato il nuovo nemico: l’euro-nazismo. Nelle parole del suo fedele servitore, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, l’Unione europea, aizzata dalla Francia e guidata dal nuovo Führer di Bruxelles, è la contemporanea incarnazione dell’ideologia hitleriana. E come 80 anni fa, nel sanguinoso cimento della Seconda guerra mondiale, anche questa volta Mosca ha al suo fianco Washington, l’alleato americano insieme al quale l’Unione Sovietica sconfisse il nazismo, salvando sé stessa e l’Occidente.
E in fondo, ricordano i pifferai del Cremlino, in altri momenti fatali, in Crimea alla metà dell’Ottocento e a Suez nel 1956, Mosca e Washington sbarrarono insieme la strada a Francia e Regno Unito. Dimenticate trent’anni di dura retorica antiamericana.
Dimenticate le accuse di volontà egemonica unilaterale lanciate contro gli Stati Uniti, i loro «vassalli» europei e «l’Occidente collettivo». Il «nuovo sceriffo» in carica a Washington è un amico, o almeno così sembra. E Putin, che senza nemici non sa e non può vivere, cambia la prospettiva a uso e consumo della sua opinione pubblica interna
Certo, l’autocrate del Cremlino sta alzando la posta anche con Donald Trump: vuole stravincere in Ucraina, sogna la partenza delle truppe americane dal Vecchio Continente, tenta di coinvolgerlo in una guerra santa contro i globalisti, facendogli balenare grandi affari. Vasto programma.
(da agenzie)
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Aprile 28th, 2025 Riccardo Fucile
IL PACCHETTO INIZIALE LO RENDE FAVORITO… TAGLE, IL “BERGOGLIO ASIATICO”: “L’EREDITA’ NELLE PERIFERIE”
È il cardinale Pietro Parolin il favorito del Conclave. O meglio, colui che entra da Papa
e quindi rischia di uscire da cardinale. Il segretario di Stato guiderà i confratelli nella Cappella Sistina.
E secondo il Fatto Quotidiano può contare su un pacchetto iniziale di 40 voti. Benedetto XVI ne prese 47 alla prima votazione, 65 alla seconda e 72 alla terza. Poi gli 84 che gli garantirono l’elezione. Nel Conclave del 2013 invece i 30 voti iniziali per Angelo Scola contro i 26 per Jorge Mario Bergoglio si ribaltarono già nella seconda votazione. Poi la fumata bianca e l’elezione dell’arcivescovo di Buenos aires.
Parolin e Pizzaballa
Dietro Parolin un altro favorito è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini. Che ha appena compiuto 60 anni: il suo sarebbe di sicuro un pontificato lungo. Al terzo posto tra i favoriti c’è il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna. E che è considerato il vero continuatore pastorale di Francesco. Un
papa italiano manca da 47 anni, ovvero da Papa Luciani nel 1978. E ci sono i candidati stranieri. Péter Erdo, arcivescovo di Esztergom-Budapest, e Willem Jacobus Eijk, arcivescovo di Utrecht. Il terzo è Robert Francis Prevost, agostiniano, già prefetto del Dicastero per i vescovi. Le votazioni prenderanno il via la prossima settimana. Le congregazioni generali dei cardinali fisseranno la data dell’inizio del conclave.
Le periferie e il cardinale Tagle
Intanto, mentre il cardinale Müller spiega che il nuovo Papa deve contrastare le lobby gay, il cardinale Luis Antonio Tagle parla con Angelo Scelzo del Mattino di Bergoglio: «Papa Francesco era un vero uomo di Dio. L’avevo conosciuto nel 2005, cardinale di Buenos Aires, al Sinodo sull’Eucaristia. Quando l’ho incontrato da papa ho rivisto la stessa persona. Grande senso pastorale, modi semplici e cuore aperto sull’obiettivo centrale dell’evangelizzazione. Metteva il Vangelo al centro di tutto, ma non in modo astratto, perché gli interessava che entrasse davvero nella vita delle persone». Filippino, nominato da Papa Benedetto nel 2011 arcivescovo di Manila, teologo e filosofo con studi e permanenza per sette anni negli Stati Uniti, è stato Francesco a chiamarlo, sei anni fa, alla guida del dicastero missionario di Propaganda Fide.
La strada di Francesco
Secondo Tagle l’ultimo Papa «ha tracciato una grande strada. È stato il Pastore che non si è limitato alla proclamazione del Vangelo, ma si è preoccupato di indicare a tutti i segni di Dio nel concreto della vita quotidiana. E a ogni livello, al centro come nelle periferie, queste ultime raggiunte da un annuncio che ora ha la forza del nuovo. È una strada che Francesco ha indicato per prima a noi vescovi. Sento molto questa “missione” ed è ciò che mi aiuta ad andare nelle periferie. Occorre andarci ma con la convinzione e l’obiettivo di farle diventare centro. Il pericolo è di continuare a pensare di essere noi il centro. È così che rischiamo di andare fuori strada».
(da agenzie)
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Aprile 28th, 2025 Riccardo Fucile
LA TELEFONATA DI MELONI A URSULA CHE LE CONFERMA L’IMPOSSIBILITA’ DI TENERE A ROMA IL SUMMIT CON TRUMP… GELO CON L’ELISEO
Una telefonata. Di cortesia, visto che sabato mattina Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen si erano salutate solo fugacemente in piazza San Pietro. Per discutere delle «questioni di interesse comune, tra cui il sostegno all’Ucraina e i temi commerciali». Vale a dire: cessate il fuoco e dazi. Il progetto italiano dichiarato durante la missione alla Casa Bianca, d’altra parte, era organizzare un vertice tra Europa e Stati Uniti, ospitandolo a Roma.
L’idea suggerita resta in piedi, perché la presidente della Commissione – deliberatamente ignorata dal tycoon nei primi cento giorni della sua amministrazione – preme molto per organizzare il summit. Quasi certamente, hanno però preso atto, non si terrà a Roma.
A pesare sono alcuni dati di realtà, che la politica tedesca non ha nascosto alla premier nel corso di tutti i recenti contatti. Il primo: sono già in programma una serie di summit internazionali a cui potrebbe agganciarsi un’eventuale visita di Trump: il vertice Nato all’Aja o un summit a Bruxelles (senza trascurare l’ipotesi che sia Ursula a recarsi a Washington). Inoltre, esistono forti
resistenze, come riportato in più occasioni da Repubblica, da parte di diverse altre cancellerie continentali. Quelle della Spagna di Pedro Sanchez e della Polonia di Donald Tusk. Ma soprattutto, quella di Emmanuel Macron.
La battaglia diplomatica tra Roma e Parigi, culminata l’altro ieri nel caso della fotografia in Vaticano senza Meloni, dura da un paio di mesi. E il solco si è allargato attorno all’idea dei “volenterosi” anglo-francesi di inviare truppe sul terreno. Scegliendo di contestare pubblicamente quella impostazione, la premier ha sostanzialmente abbandonato il gruppo di lavoro che continua a riunirsi tra Parigi e Londra.
L’opzione elaborata da Macron e Starmer continua ovviamente a camminare sulle proprie gambe. Ma ha parzialmente ridefinito alcuni obiettivi, creando un terreno di potenziale convergenza futura con i più scettici. Adesso, ad esempio, i “volenterosi” progettano l’invio di istruttori militari per formare l’esercito ucraino. Un dettaglio su cui Palazzo Chigi faticherebbe in futuro a dire no. E le strade tra Roma e Parigi potrebbero riavvicinarsi, anche grazie alla relazione che Meloni mantiene con Starmer, attorno a un’altra richiesta presente nella controproposta ucraina: quella di una qualche forma di garanzia di sicurezza degli americani. Kiev sostiene che dovrebbe servire a rassicurare l’eventuale missione di pace solo europea, su cui il governo ha sempre frenato. Ma in prospettiva, anche questo scenario potrebbe coinvolgere Roma. La sfida, per Meloni, è semmai quella di costruire un percorso per rientrare in questo gioco diplomatico, dopo la rottura netta con gli anglofrancesi. È questione delle prossime settimane. E soprattutto, è una prospettiva appesa all’estrema incertezza nel teatro ucraino. Di Kiev discuterà domani con il presidente turco Recep Erdogan.
(da Repubblica)
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