CANADA, LA RIMONTA-MIRACOLO DI MARK CARNEY: «GLI USA NON CI SPEZZERANNO MAI»
IL SUCCESSO DEL NEOFITA LIBERALE NELLO SLOGAN RIPRESO DALL’HOCKEY: “ELBOWS UP” (GOMITI ALZATI) CHE DESCRIVE IL MODO DI PROTEGGERSI DAGLI AVVERSARI
Il successo di Mark Carney, il neofita della politica canadese, eletto per la prima volta alla Camera dei Comuni e confermato primo ministro dopo poco più di un mese di campagna forsennata, sta tutto in una manciata di frasi ripetute nel discorso della vittoria, lunedì notte.
«Chi è pronto a difendere il Canada insieme a me?», dice nella TD Place Arena, il palazzetto dell’hockey di Ottawa. La zona degli spalti è quasi vuota. Attorno a lui si stringono poche decine di fedelissimi con le bandierine rosse in mano.
L’atmosfera è gioiosa ma calma e un po’ noiosa, come il leader che scandisce: «Abbiamo superato lo choc del tradimento americano, ma non dovremmo mai dimenticare la lezione. L’America vuole la nostra terra, le nostre risorse, la nostra acqua, il nostro Paese. Non sono finte minacce. Il presidente Trump sta cercando di spezzarci per possederci. Questo non accadrà mai e poi mai. Ma dobbiamo anche riconoscere la realtà che il nostro mondo è cambiato
radicalmente».
Carney non è un trascinatore di folle. […] Il suo punto di forza non sono le chiacchiere ma le cose che s’impegna a fare, lavorando «in modo costruttivo con tutti i partiti in Parlamento», conscio di aver bisogno di appoggio esterno per guidare un governo di minoranza.
«Mettiamo fine alle divisioni e alla rabbia del passato. Siamo tutti canadesi e il mio governo lavorerà per e con tutti». La promessa, o speranza, è che sia capace di «rendere l’economia canadese meno dipendente dagli Stati Uniti». È il punto forte di questo banchiere, che alla politica per molti anni ha preferito bilanci e piani d’investimento.
Carney deve il suo successo a Trump e all’hockey, che giocava da bambino. Il presidente americano, con i suoi attacchi, gli ha messo su un piatto d’argento le frasi giuste per galvanizzare gli elettori — «Non saremo mai il 51° Stato Usa», la più citata nei comizi — mentre lo sport più amato dai canadesi gli ha fornito lo slogan per conquistare i cuori: «Elbows up», gomiti alzati, che nel gergo dell’hockey descrive un modo efficace per proteggersi dall’avversario.
Carney non è certo un novellino del potere. Ha lavorato al ministero delle Finanze, è stato governatore della Banca del Canada e di quella d’Inghilterra.
Conosce tutti nel Partito liberale che lo corteggiava da anni. Quando si è capito che la luce di Trudeau si era ormai spenta è stato quasi naturale rivolgersi a lui: l’unico che poteva salvare i Liberali e, forse, fermare i dazi di Trump.
Ieri, sconfitti i venti populisti in casa, Carney ha scritto su X quello che i suoi cittadini vogliono leggere: «Questo è il Canada e siamo noi a decidere quello che succede qui».
Quest’anno il Canada ha la presidenza del G7 e ne ospiterà il vertice a Kananaskis, in Alberta, dal 15 al 17 giugno, a ridosso del vertice Nato dell’Aja (24-25) cui segue a ruota il Consiglio europeo del 26-27 giugno. A Kananaskis, Donald Trump non troverà una presidenza canadese più compiacente di quanto lo sarebbe stata con Trudeau e si confronterà con un leader inossidabile che ha un orizzonte politico (2029) più lungo del suo (2028).
Da Carney ci si può aspettare un forte appoggio a Kiev – immediate e calorose le congratulazioni di Zelensky – e alla linea europea (o dei “volenterosi” franco-britannici…) sull’Ucraina, nonché la massima apertura a un rafforzamento delle relazioni commerciali ed energetiche con l’Ue. L’ha appena ribadito. Visto dalla Casa Bianca, il voto canadese non rallegra certo i 100 giorni della seconda presidenza Trump.
Ma rallegra quanti abbiano a cuore la democrazia e la correttezza istituzionale, fondamentale al suo funzionamento, grazie all’immediata concessione dello sconfitto Pierre Poilievre, a conteggi ancora in corso, col sorriso sulle labbra pur non sapendo che il suo stesso seggio era a rischio (l’ha perso). Reciprocata prontamente da Mark Carney. Come si usava fare negli Stati Uniti. Prima di Donald Trump.
(da La Stampa)
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