Destra di Popolo.net

IL PRESIDENTE DEL SENATO, IGNAZIO LA RUSSA, HA DECISO DI NON SANZIONARE IL MELONIANO ALBERTO BALBONI CHE, DURANTE LA DISCUSSIONE SUL DL SICUREZZA, HA PROVOCATO IL CENTROSINISTRA, CAUSANDO QUASI UNA RISSA: “PREFERITE STARE DALLA PARTE DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA ANZICHÉ DELLA POVERA GENTE”

Giugno 6th, 2025 Riccardo Fucile

ALBONI IRONIZZA: “LA RUSSA MI HA DATO L’AMNISTIA. SIAMO AMICI DA UNA VITA, ANCHE SE IO NON HO MAI AVUTO BUSTI IN CASA”… E FA LA VITTIMA: “SE NON C’ERANO I COMMESSI MI MENAVANO, CALENDA ERA SCATENATO”

Il giorno dopo l’Ok Corral al Senato sul decreto sicurezza, Alberto Balboni (FdI), 65 anni, sta partecipando a Bologna a un convegno contro il bullismo. L’ironia del caso: «Se non c’erano i commessi quelli mercoledì mi menavano, soprattutto Calenda era scatenato, anche se lui è del Terzo Polo…», racconta il senatore di Ferrara, che a Palazzo Madama presiede la commissione Affari costituzionali.
«Quelli della sinistra», Pd-M5S-Avs-Iv, ieri hanno scritto al presidente del Senato, Ignazio La Russa, chiedendogli di sanzionare Balboni per le frasi «offensive» in Aula. «Ma La Russa mi ha dato l’amnistia — scherza Balboni —. Siamo amici da una vita, anche se io non ho mai avuto busti in casa…».
Frasi forti, quelle pronunciate da Balboni: «Per chi propugna la “dottrina Salis” e porta in Parlamento chi predica le occupazioni abusive, capisco che preferiate stare dalla parte della criminalità organizzata anziché della povera gente…». E ancora: «Mentre voi andavate a trovare i terroristi e i mafiosi in carcere…», riferendosi alla visita nel 2023 di una delegazione del Pd all’anarchico Cospito,
al 41 bis.
«Ma la mia era un’iperbole — si schermisce Balboni —. Come quando loro accusano Meloni di essere complice di genocidio. Già in Aula, comunque, alla fine avevo detto: “Se qualcuno si è offeso chiedo scusa”». Il presidente La Russa ieri salomonicamente non ha sanzionato neppure i senatori del centrosinistra che, in stile Gandhi, si erano seduti al centro dell’emiciclo.
Fine? Macché. Avs ora sta pensando di querelare Balboni malgrado l’immunità e il Pd con il capogruppo Francesco Boccia medita di disarcionarlo dalla presidenza di commissione:
(da agenzie)

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TRUMP E MUSK HANNO TANTE OPZIONI PER FARSI MALE: IL PRESIDENTE POTREBBE AVVIARE INDAGINI CONTRO IL SUO EX “DOGE”, METTENDO NEL MIRINO IL SUO ABUSO DI DROGA, O IL SUO STATUS DI IMMIGRATO. SOPRATTUTTO, POTREBBE TAGLIARE I CONTRATTI GOVERNATIVI ALLE AZIENDE DI MR. TESLA, CHE SI REGGONO SU SUSSIDI E COMMESSE FEDERALI

Giugno 6th, 2025 Riccardo Fucile

MUSK, DA UOMO PIÙ RICCO DEL MONDO, POTREBBE FINANZIARE CAMPAGNA CONTRO I REPUBBLICANI, E USARE IL SOCIAL “X” PER IRRITARE CONTINUAMENTE L’AMMINISTRAZIONE

Lo spettacolare scontro di giovedì tra il presidente Trump ed Elon Musk ha fatto a pezzi la traballante alleanza tra due degli uomini più potenti del mondo. La loro faida potrebbe avere conseguenze di vasta portata se si protraesse o addirittura inasprisse.
Ecco otto modi in cui potrebbero infliggersi dolore a vicenda
Cosa potrebbe fare Musk
Sfruttare i suoi miliardi contro Trump, i suoi alleati e il suo programma. Dopo aver speso più di 250 milioni di dollari per contribuire all’elezione del presidente, Musk potrebbe facilmente finanziare campagne contro i repubblicani.
Ha definito il progetto di legge sulla politica interna di Trump un “disgustoso abominio” e giovedì ha attaccato i leader repubblicani del Congresso su X, il suo social network. (Musk potrebbe anche trattenere gli ultimi 100 milioni di dollari del suo impegno a sostenere Trump).
Usare i social media come un irritante. Giovedì pomeriggio, Musk ha pubblicato un sondaggio su X, chiedendo se fosse giunto il momento di “creare un nuovo partito politico in America che rappresenti effettivamente l’80% del centro”.
Più dell’80% dei quasi due milioni di intervistati ha votato “sì”. E rispondendo a un post che suggeriva che “Trump dovrebbe essere messo sotto impeachment”, Musk ha detto: “Sì”.
Trascinare Trump in una controversia. Musk potrebbe causare problemi a Trump sostenendo di avere informazioni riservate. Giovedì, senza fornire prove, ha affermato che l’amministrazione di Trump ha rallentato il rilascio di documenti su Jeffrey Epstein perché in essi compariva il nome di Trump. “Segnatevi questo post per il futuro”, ha scritto. “La verità verrà fuori”. I democratici della Camera si sono subito scagliati contro il post.
Usare le sue aziende per mettere in difficoltà l’amministrazione. Musk ha scritto che avrebbe “immediatamente” smantellato la navicella Dragon di SpaceX, che trasporta astronauti e rifornimenti della NASA da e verso la Stazione Spaziale Internazionale. La minaccia ha spinto Stephen K. Bannon, un alleato di Trump e uno dei principali critici di Musk, a suggerire a Trump di “sequestrare SpaceX stanotte prima di mezzanotte” con un ordine esecutivo.
Cosa potrebbe fare Trump
Tagliare i contratti con le aziende di Musk. […] Trump ha suggerito che porre fine ai contratti governativi con le varie aziende di Musk, tra cui SpaceX e Tesla, sarebbe “il modo più semplice per risparmiare denaro nel nostro bilancio”.
L’anno scorso, alle aziende di Musk sono stati promessi 3 miliardi di dollari in quasi 100 contratti con 17 agenzie governative.
Indagare sullo stato di immigrazione e sull’uso di droghe di Musk. Giovedì Bannon ha chiesto “un’indagine formale sul suo status di immigrato, perché sono fermamente convinto che sia un clandestino e che debba essere espulso immediatamente dal Paese”.
Bannon ha anche chiesto un’indagine sull’uso di droghe da parte di Musk e sui suoi sforzi per essere informato su informazioni riservate su piani militari che coinvolgono la Cina.
Revocare l’autorizzazione di sicurezza di Musk. Bannon ha suggerito che l’autorizzazione top-secret di Musk dovrebbe essere sospesa durante le indagini sul miliardario tecnologico. Ma il Presidente Trump potrebbe anche revocare completamente l’autorizzazione di Musk, che ha come parte dei contratti governativi che coinvolgono il lavoro di SpaceX con la NASA. Ciò renderebbe molto difficile per Musk continuare a lavorare con il governo.
Sfruttare il potere della presidenza contro di lui. Trump ha a disposizione un’enorme gamma di poteri, con la possibilità di firmare ordini esecutivi che puniscono gli avversari politici e di ordinare ad agenzie come il Dipartimento di Giustizia di avviare indagini.
(da agenzie

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IL CANADA VUOLE ENTRARE NELL’UNIONE EUROPEA? LO DESIDERA QUASI LA METÀ DEI CITTADINI DEL PAESE

Giugno 6th, 2025 Riccardo Fucile

LE MATTANE DI TRUMP STANNO SPINGENDO OTTAWA SEMPRE PIÙ VICINO AL VECCHIO CONTINENTE – L’EURODEPUTATO TEDESCO JOACHIM STREIT CONTINUA LA BATTAGLIA PER RIFORMARE L’ARTICOLO 49 DEL TRATTATO IN MODO DA CONSENTIRNE L’ADESIONE

Dal 15 al 17 giugno i leader del G7 (Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Canada, Stati Uniti e Giappone) si riuniranno nella piccola cittadina canadese di Kananaskis. Negli ultimi mesi le uscite fantapolitiche del presidente Donald Trump hanno scombussolato l’idea stessa di Occidente, evocando una prossima conquista americana della Groenlandia o la trasformazione del Canada nel 51° stato degli Usa
Sottotraccia è sempre vivo però anche un altro sogno, sicuramente strampalato ma non più dei precedenti: quello di un Canada parte dell’Unione europea. Lo desiderano quasi la metà dei canadesi (sondaggio del marzo scorso), e ne sarebbero probabilmente felici molti europei, almeno quei privilegiati francesi ma anche italiani che stanno scegliendo il Canada al posto degli Usa come la meta più ambita per gli studi all’estero dei propri figli.
Appena eletto, il premier canadese Mark Carney ha rotto la tradizione e ha riservato all’Europa (invece che al vicino americano) la prima visita fuori dai confini, ricordando che «il Canada è il più europeo dei Paesi non europei», mentre l’eurodeputato tedesco Joachim Streit continua la battaglia per riformare l’articolo 49 del Trattato in modo da consentire l’adesione di Ottawa. E pazienza se il piatto tipico di Montréal (patate fritte, formaggio e sugo di carne) si chiama Poutine, pronunciato Putìn.
(da agenzie)

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PNRR, COME SI CAMBIA PER NON FALLIRE: LA COMMISSIONE UE HA ACCETTATO LA QUINTA PROPOSTA DI MODIFICA DEL RECOVERY PRESENTATA DALL’ITALIA A CAUSA DEI RITARDI NELLA MESSA A TERRA DEL PIANO

Giugno 6th, 2025 Riccardo Fucile

LE “CORREZIONI” RIGUARDANO 67 PROGETTI, CON LO SPOSTAMENTO DI RISORSE E OBIETTIVI ANCHE FUORI DAL PNRR, SU PROGRAMMI NAZIONALI … PARTE DELLE MODIFICHE RIGUARDA I LAVORI FERROVIARI, COME IL TERZO VALICO DEI GIOVI E LA PALERMO-CATANIA

La commissione europea ha accettato la quinta proposta di modifica del Pnrr presentata dall’Italia il 21 marzo, proponendo al consiglio
Ecofin del 20 giugno di dare l’ok definitivo.
Le correzioni riguardano 67 misure e sono finalizzate a rimodulare gli interventi degli ultimi tre semestri del Piano (2025 e primo semestre ‘26) spostando risorse e obiettivi (se necessario, anche fuori dal Pnrr, su programmi nazionali e fondi Ue che hanno tempi di realizzazione più lunghi) così da non pregiudicare il pagamento da parte di Bruxelles delle ultime rate.
Finora, come ha ricordato il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, il nostro Paese ha «ricevuto 122 miliardi di euro» sui 194,4 assegnati «e ne ha utilizzati oltre la metà».
Il pagamento delle prossime rate (l’Italia ha chiesto quello della settima, 18,2 miliardi, poi ne restano altre tre) dipenderà appunto «dal raggiungimento di obiettivi relativi alla realizzazione di opere pubbliche; a tale riguardo — ha detto Panetta — i dati disponibili suggeriscono l’esistenza di ritardi».
Molte delle modifiche accettate dalla commissione riguardano le ferrovie. In qualche caso, come il terzo valico dei Giovi e la Palermo-Catania, gli interventi dovrebbero uscire dal Pnrr, perché non realizzabili entro un anno, e finire su altri programmi. Tra i progetti da rimodulare, l’alta velocità Napoli-Bari, Salerno-Reggio Calabria, Brescia-Verona-Padova e le diagonali Orte-Falconara e Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia.
Programmi rivisti, spesso ridimensionati, anche su: realizzazione dei Piani integrati urbani volti allo smantellamento delle baraccopoli dove alloggiano gli immigrati utilizzati in nero in agricoltura; riduzione dei ritardi di pagamento della Pa; realizzazione di nuovi impianti di gestione dei rifiuti; installazione di colonnine di ricarica per i veicoli elettrici (parte delle risorse verranno dirottate per gli incentivi all’acquisto di veicoli a emissioni zero); il cablaggio delle scuole
Due settimane fa, il ministro con la delega sul Pnrr, Tommaso Foti, ha detto che verrà presentata alla commissione Ue una nuova richiesta di revisione del Piano (sarebbe la sesta) con «modifiche strutturali su alcuni settori oggetto di preoccupazione».
(da agenzie)

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“SONO CRESCIUTO SENZA MIO PADRE, PUR AVENDO SOFFERTO MOLTO, NON PROVO RANCORE”: SIMONE LEONI, LEADER DEI GIOVANI DI FORZA ITALIA, REPLICA AL CURARO ALLA DURISSIMA LETTERA DEL PADRE SILVIO (GIORNALISTA DEL “SECOLO D’ITALIA”) IN CUI LO ACCUSAVA DI NON ESSERE DEGNO NEANCHE DI SPOLVERARE GLI ANFIBI AL GENERALE VANNACCI

Giugno 6th, 2025 Riccardo Fucile

“CON SILVIO LEONI NON HO CONDIVISO NULLA DEI MIEI 24 ANNI DI VITA. E LO PERDONO PER AVERMI ATTACCATO SENZA CONOSCERE DAVVERO ME E I MIEI VALORI”… MEGLIO UN GIORNO DA LEONI CHE CENTO DA VANNACCI

“Pur avendo sofferto molto, ancora oggi non provo rancore per Silvio Leoni, con il quale non ho condiviso nulla dei miei 24 anni di vita. E lo perdono per avermi attaccato senza conoscere davvero me e i miei valori. Sono cresciuto senza di lui, ma con l’amore di una famiglia che mi ha voluto bene e che mi ha insegnato i valori cristiani del rispetto, della dignità e della centralità della persona. Vado avanti a testa alta, con la forza delle mie idee. Sempre da uomo libero”.
Lo scrive in una nota il neo segretario dei Giovani di Forza Italia, Simone Leoni, attaccato questa mattina duramente dal padre, Silvio, con una lettera aperta pubblicata su Il Tempo.
(da agenzie)

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TUTTO QUELLO CHE NON TORNA NELLA RELAZIONE DEL COPASIR SUL CASO PARAGON

Giugno 6th, 2025 Riccardo Fucile

IL DIRETTORE DI FANPAGE: LE OMERTA’ DEL COPASIR CHE NON SA DIRE SE SONO STATO SPIATO E DA CHI

Nella sua relazione il Copasir dice che non sa dire se sono stato spiato. E che a spiarmi non sono stati di sicuro i servizi segreti italiani. Eppure in quella relazione ci sono un sacco di cose che non tornano.
La notizia, innanzitutto: ieri è stata consegnata alla Camera e al Senato la relazione sul caso Paragon del Copasir – il comitato per la sicurezza della repubblica, che vigilia sui servizi segreti. Si tratta di un documento molto importante, perché è quello che indirizza la discussione politica sul tema. Soprattutto, perché il Copasir, nel redigerlo, ha avuto accesso a (quasi) tutti i protagonisti di questa
vicenda: da Paragon Solutions, che ha costruito lo spyware e l’ha venduto, al Governo che l’ha comprato; dai servizi segreti che lo usavano a Whatsapp (cioè a Meta), che è stata bucata per spiare le persone. Sino a Citizen Lab, che questo spionaggio l’ha scoperto e che ha analizzato il telefono di chi è stato spiato.
Vi risparmio la lettura (ma se volete il rapporto integrale lo trovate qua): nella relazione del Copasir si dicono due cose, principalmente.
La prima: che le intercettazioni per Luca Casarini e Beppe Caccia di Mediterranea sono state autorizzate dal governo Conte e sono proseguite coi governi successivi, fino a quello guidato da Giorgia Meloni
La seconda: che non ci sono prove del fatto che io sia stato spiato con Paragon. E che comunque non sono stati i servizi segreti italiani.
Caso chiuso? Nemmeno un po’.
Sulla questione legata a Luca Casarini, Beppe Caccia e Mediterranea ci sono molte cose che non tornano. E ci torneremo prossimamente, promesso.
Anche sul nostro caso, tuttavia, c’è molto da dire. Lo abbiamo detto nella puntata del podcast Direct, riservato agli abbonati di Fanpage (ci si abbona qua), ma oggi disponibile a tutti a questo link.
E lo diciamo pure qua: relativamente ai giornalisti di Fanpage spiati con Paragon Solutions il rapporto Copasir solleva più domande di quelle a cui risponde.
Soprattutto, dice due cose.
La prima: che il messaggio che ho ricevuto da Whatsapp potrebbe anche essere stato un errore.
La seconda: che a spiarmi non sono stati i servizi segreti italiani e che l’unica pista che rimane in piedi è quella dei servizi segreti esteri.
Partiamo dall’errore, o presunto tale.
Il Copasir nella sua relazione dice, testuale, che “la società Meta non può determinare chi sospetta sia stato coinvolto dallo spyware Graphite con assoluta sicurezza”. Di fatto, che quel messaggio potrebbe essere stato inviato alla mia utenza per errore.
Errore singolare: Whatsapp ha più di due miliardi di utenti, e per errore viene avvisato di un tentativo di spionaggio proprio il direttore di un giornale che ha fatto inchieste scomode contro il governo italiano. Tanto per essere chiari, la probabilità di vincere il primo premio alla Lotteria Italia è di una su nove milioni di biglietti venduti. Qui parliamo di una su 2 miliardi. Possibile che il Copasir contempli davvero questa possibilità?
Questo se fossi l’unico giornalista di Fanpage ad aver ricevuto quel messaggio, peraltro. Ma noi sappiamo che anche un altro giornalista di Fanpage, Ciro Pellegrino, ha ricevuto da Apple il medesimo messaggio che ho ricevuto io su Whatsapp. Cosa che la relazione del Copasir nemmeno menziona, peraltro. E che fa di quel report la fotografia di una situazione che non esiste più.
Detto questo, lo ribadiamo: due primi premi della lotteria su due, a Fanpage? Due clamorosi errori di due delle più avanzate piattaforme tecnologiche al mondo? Davvero siamo così sfortunati?
Vedremo: anche perché nelle prossime settimane dovremmo avere i risultati delle analisi condotte sul telefono di Ciro Pellegrino da parte di Citizen Lab. E da quelle analisi si capiranno probabilmente un po’ di cose in più.
Aggiungiamo altra carne al fuoco, però.
Il Copasir dice anche che, se anche fossi stato spiato, non c’è certezza che sia stato il software di Paragon. Parla, cito testuale, di nuovo, di un “eventuale intrusione non espressamente attribuita al software Graphite”
Eppure, curiosamente, è la stessa relazione del Copasir c
smentisce questa ricostruzione solo poche pagine prima. All’inizio della relazione infatti dice espressamente che a metà gennaio Whatsapp ha avvisato l’Autorità Nazionale per la Cybersicurezza di un incidente informatico nel quale erano state coinvolte anche utenze italiane “indicando l’azienda Paragon come produttrice del software attaccante”. E poi, il 31 gennaio, che le utenze italiane impattate erano nel numero di sette, identificando – di nuovo – lo spyware in Graphite prodotto dalla società Paragon”.
Io sono uno di quelli che hanno ricevuto il messaggio il 31 gennaio. E quel messaggio è stato contestuale a una telefonata di Citizen Lab, centro di ricerca che ha lavorato insieme a Meta per scoprire la falla in Whatsapp e l’attacco di Paragon. La stessa Citizen Lab che al Parlamento Europeo, ha detto che quello sul mio dispositivo è un attacco effettuato con Paragon.
Possibile che a fronte di tutto questo, il Copasir metta in discussione il fatto che sia stato bersaglio di un tentativo di spionaggio
E possibile che riesca a dire persino che non è detto che sia Paragon?
Secondo punto: il Copasir dice che a spiarmi non sono stati i servizi segreti italiani. Che sono stati analizzati i database dei servizi segreti e la mia utenza non risulta tra quella dei profili intercettati. Ne prendiamo atto, ovviamente. Ma basta questo a dire che il caso è chiuso?
Assolutamente no.
Anzi, ora il caso si apre. Perché a questo punto, ed è anche il rapporto del Copasir a confermarlo, restano aperte solo due strade, entrambe ancora più inquietanti, se possibile.
La prima: che mi abbia spiato un servizio segreto straniero.
La seconda: che mi abbia spiato un’agenzia di intelligence privata.
La prima ipotesi suona abbastanza strana. Perché i servizi segreti di un Paese straniero, ammesso che possano intercettare utenze estere,
dovrebbero spiare un giornalista italiano? In questo caso, ovviamente, ci aspettiamo che il governo e i servizi segreti ci aiutino a capire chi è stato. Sollevando il caso ovunque possano farlo. Perché sarebbe grave, in teoria, che il direttore di un giornale italiano e un suo giornalisti siano spiati da un governo straniero. La dico meglio: che un governo straniero abbia accesso totale al telefono di due cittadini italiani, che di mestiere fanno i giornalisti.
La seconda ipotesi è la più inquietante di tutte. Leggiamo sul Corriere della Sera che “gli ulteriori accertamenti sullo spyware di Paragon Solutions hanno dimostrato che si tratta di uno strumento estremamente potente, quindi molto costoso, utilizzato però da alcune società private”. E su Repubblica invece abbiamo letto che “le Procure di Napoli e Roma hanno aperto un fascicolo proprio per intercettazioni abusive”. Di queste ipotesi nella relazione Copasir non c’è traccia, ma qualche domanda ce la facciamo comunque: se il software spia di Paragon Solutions è venduto solo ai governi, com’è possibile sia finito in mano ad “alcune società private”? Com’è possibile che un software che il ministero della difesa israeliano impone sia venduto solo a pochi selezionati governi democratici sia finito in mano a società private? Che Paragon, al contrario di quel che dice, lo vende anche ai privati? O che quel software è sfuggito di mano a qualche governo?
E ancora: possiamo avere la certezza, in quest’ultimo caso, che non sia “sfuggito di mano” al nostro governo?
Certo, non potremo chiederlo a Paragon. Perché, ed è l’ultima novità che apprendiamo dalla relazione del Copasir, i servizi segreti hanno deciso di rescindere entrambi i contratti con l’azienda dopo questa vicenda.
Curioso anche questo: prima è Paragon che dice al Guardian e ad Haaretz che ha rescisso il contratto con l’Italia per violazioni del
codice etico; poi il governo ci dice in parlamento che quel contratto è perfettamente operativo; poi è sempre il governo a dirci che il contratto è sospeso. E infine scopriamo che è il governo ad aver rescisso il contratto con Paragon.
A questo punto, sarebbe interessante capire perché.
Cosa avrebbe fatto di male Paragon, tanto da meritarsi l’interruzione del contratto, se Casarini e soci sono stati intercettati legalmente, e se io non sono stato spiato?
Inutile che la cerchiate nel rapporto Copasir: la motivazione di questa brusca interruzione, semplicemente, non c’è.
Ultima cosa: all’inizio di questo articolo abbiamo scritto che il Copasir ha sentito quasi tutti i protagonisti di questa vicenda. Già, quasi. Perché tutto quel che avete letto sinora ci sarebbe piaciuto dirlo al governo, all’autorità nazionale per la cybersicurezza o al Copasir, se solo si fossero degnati di ascoltare i bersagli di queste attività di intercettazioni. Il fatto che nessuno, né il governo, né l’autorità nazionale per la cybersicurezza che è stata incaricata dal governo di occuparsi del caso, né il Copasir abbia ritenuto opportuno ascoltarci dice tanto di quanto a cuore abbiano questa situazione.
(da Fanpage)

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GLI EFFETTI DEL “DAZISMO SENZA LIMITISMO”: L’EXPORT ITALIANO VERSO GLI STATI UNITI SCENDE DEL 10%

Giugno 6th, 2025 Riccardo Fucile

IN TOTALE, L’EXPORT DELL’UE CROLLA DEL 35%: I PRODOTTI TEDESCHI VENDUTI OLTREOCEANO SCENDONO DEL 16% (A CAUSA DEI DAZI SULLE AUTO TEDESCHE, DELLE QUALI L’ITALIA È FORNITRICE) – IL PARADOSSO: LE TARIFFE CHE DOVREBBERO FAR SCENDERE IL DEFICIT, PER ORA, LO HANNO FATTO SALIRE (A CAUSA DELLE MAGGIORI IMPORTAZIONI “PRECAUZIONALI” PRIMA DELL’ANNUNCIO DEI DAZI)

L’annuncio dei dazi «reciproci» è dell’inizio di aprile, dunque quello è il mese da guardare per vederne gli effetti. Ieri lo US Census Bureau ha pubblicato nuove tabelle aggiornate degli scambi di beni degli Stati Uniti con il resto del mondo
Il deficit commerciale americano risulta quasi dimezzato (meno 46%) rispetto al mese precedente, frutto di un crollo di circa 70 miliardi delle importazioni rispetto a marzo.
L’impatto sulla Cina, in particolare, è violento. In gennaio, ultimo mese prima dei nuovi dazi bilaterali imposti da Trump, gli Stati Uniti avevano acquistato beni dalla Repubblica popolare per oltre 41 miliardi di dollari, in aprile invece la fattura crolla ad appena 25 miliardi: una contrazione del 39% rispetto all’ultimo periodo del regime doganale precedente e del 20%, sempre in aprile 2025, rispetto allo stesso mese di un anno fa.
L’impatto sugli scambi fra le due prime economie del mondo — da sole quasi la metà del fatturato globale — è dunque vasto e sicuramente pieno di conseguenze per il resto del mondo. Dall’acciaio alle navi commerciali, alle auto, alla chimica, la Cina è di gran lunga il primo produttore di un’ampia gamma di prodotti e ora sta senz’altro cercando di scaricarli su mercati alternativi agli Stati Uniti.
Anche per l’Europa l’effetto dei dazi di Trump è visibile, per quanto in Italia arrivi un po’ attutito. L’export dell’Ue verso gli Stati Uniti crolla del 35% in aprile rispetto a marzo, ultimo mese prima dei dazi «reciproci», benché sia invariato rispetto all’aprile di un anno fa. Più problematica la situazione per la Germania.
Il crollo delle vendite di prodotti tedeschi in Usa dall’avvio dei dazi oggi al 10% (ma sulle auto al 25%) è severo: meno 16% in aprile rispetto a marzo e meno 8,6% rispetto all’aprile del 2024. È probabile che il peso maggiore dei dazi stia ricadendo proprio sul settore auto tedesco, del quale l’Italia è fornitrice.
Anche per il «made in Italy» venduto direttamente in America le tariffe trumpiane si iniziano a sentire, ma il grande terremoto arriva in modo un po’ diverso rispetto ad altri Paesi. La caduta dell’export italiano è del 10% in aprile rispetto a marzo, cioè rispetto a prima del «Liberation Day», mentre è del 4,4% rispetto ad un anno prima.
Non poco, per il secondo mercato estero dell’Italia. Ma il Paese era stato investito meno di altri esportatori dall’ondata precedente, quella degli acquisti precauzionali da parte dei distributori americani prima che calasse la cortina dei dazi. Nei primi tre mesi dell’anno, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca, il deficit commerciale degli Stati Uniti rispetto all’Italia era aumentato del 18% proprio a caus della corsa dei rivenditori statunitensi a riempire i magazzini.
Lo stesso fenomeno era stato più pronunciato per altri Paesi. Sempre nel periodo gennaio-marzo, l’aumento del deficit commerciale americano era stato del 69% con il resto del mondo e addirittura quasi del 100% (un raddoppio) con l’Unione europea in media.
l paradosso è che tutto questo grande rimescolamento per ora ha fatto salire […] il deficit commerciale americano: rispetto al 2024 più 70 miliardi nei primi quattro mesi del 2025, proprio a causa dell’import “precauzionale” fino a marzo.
Così in economia il trumpismo al momento sta producendo effetti contrari a quelli che persegue: mercati finanziari più fragili, debito pubblico sotto esame, dubbi sul ruolo del dollaro e disavanzo commerciale più ampio.
Tra non molto gli effetti negativi della frenata degli acquisti americani si vedranno però anche sulle economie esportatrici, perché la grande destabilizzazione è già avvenuta. Con un’eccezione: l’import statunitense di beni ad alta tecnologia continua a salire a doppia cifra, come se i dazi non fossero mai esistiti (almeno) per la fame americana di innovazione continua.
(da il “Corriere della Sera”)

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“PER TRUMP L’UCRAINA È MARGINALE E SPENDIBILE, IL RAPPORTO CON PUTIN NO”

Giugno 6th, 2025 Riccardo Fucile

STEFANO STEFANINI: “IL COMBINATO DISPOSTO TRA LA TELEFONATA DEI DUE LEADER E IL RADDOPPIO DEI DAZI SU ACCIAIO E ALLUMINIO È L’AVVICINAMENTO ALLA RUSSIA E L’ALLONTANAMENTO DALL’EUROPA” … “PER IL PRESIDENTE AMERICANO LA RUSSIA È UN COMPAGNO DI VIAGGIO COL QUALE LAVORARE INSIEME ALLA SPARTIZIONE DEL MONDO IN ZONE D’INFLUENZA, L’EUROPA UN RIVALE COMMERCIALE DA PIEGARE E DIVIDERE”

Ieri (mercoledì, ndR) il presidente degli Stati Uniti ha fatto due cose. Apparentemente scollegate. Ha avuto una «buona conversazione» con Vladimir Putin. Ha raddoppiato il dazio su acciaio e alluminio dal 25 al 50%.
Apparentemente, perché vanno invece nella stessa direzione. Il combinato disposto è l’avvicinamento alla Russia e l’allontanamento dall’Europa – e dai vecchi alleati degli Usa. A spese dell’Ucraina e della Nato: il segretario alla Difesa, l’imperturbabile Pete Hesgseth, ha disertato la riunione ministeriale sugli aiuti militari a Kiev. Non casualmente. È un messaggio
È la direzione di marcia di Donald Trump dal momento in cui ha
rimesso piede alla Casa Bianca. Poggia su due convinzioni che egli non perde occasione di ribadire: «L’enorme potenziale di cooperazione fra Mosca e Washington»; lo sfruttamento «predatorio» da parte di partner e alleati, Unione europea in testa, a danno degli Usa.
Per il 47° presidente americano la Russia è un compagno di viaggio col quale lavorare insieme alla spartizione del mondo in zone d’influenza, l’Europa un rivale commerciale da piegare e dividere.
Se l’Ucraina aggredita e la sua guerra contro il mulino a vento della superiorità di massa della Russia – Trump non si è peritato di dirlo a Zelensky, perché combatti se sei più debole? – si mettono di mezzo, tanto peggio per Kiev. L’Ucraina è marginale e spendibile, il rapporto con Putin no. Se unita l’Europa può dar fastidio, se divisa è costretta a venire a Canossa. A questo – oltre che alla bilancia commerciale – servono i dazi, minacciati e/o attuati.
Della telefonata, la quarta in tre mesi, sappiamo qualcosa di più che delle altre grazie al resoconto fornito dallo stesso Trump sull’immancabile Truth Social. La pace in Ucraina è lontana – lo sapevano anche i sassi. La vendetta di Putin per il devastante contrattacco ucraino alle basi aeree russe è in arrivo – lo temevano tutti, a cominciare dagli ucraini.
Se Trump ha in qualche maniera spiegato la natura difensiva dell’operazione Tela di Ragno – che ha preso di mira obbiettivi strettamente militari, i bombardieri di cui si serve la Russia per colpire città e infrastrutture civili – non lo dice. Né fa cenno del rigetto russo della richiesta di cessate il fuoco.
La tregua passa nel dimenticatoio trumpiano, insieme allo spauracchio di sanzioni Usa entro due settimane. Non dopo una «buona conversazione». La novità è l’invito a Putin a unirsi al negoziato con l’Iran sul programma nucleare di Teheran. Che ipresidente russo avrebbe accettato, così dice Trump.
Credibile, ma non una gran concessione. Un quasi confinante Iran con l’arma atomica è l’ultima cosa che la Russia vuole, tant’è che la diplomazia di Mosca svolse un ruolo molto costruttivo nel convincere Teheran ad accettare l’accordo del 2015, il Jcpoa di Obama, poi disfatto proprio dalla prima presidenza Trump. Il quale, senza dirlo, adesso ci sta evidentemente ripensando.
Dopo un avvio promettente, il negoziato bilaterale Usa-Iran rischia di arenarsi. Una mano da Mosca può far comodo. Il Cremlino è probabilmente disposto a darla nel proprio stesso interesse, ma non senza contropartita e muovendosi con i piedi piombo verso Teheran, alleato importante nello sforzo bellico contro l’Ucraina.
Ben venga dunque una collaborazione russo-americana per impedire la proliferazione nucleare iraniana ma chi rischia di farne le spese è l’Ucraina. E l’Europa.
Trump apre le porte del negoziato alla Russia, a differenza di quanto avvenne col Jcpoa, continua a tenerne rigorosamente fuori gli europei. Gli europei sono quasi sempre oggetti non soggetti della diplomazia trumpiana.
Trump gli telefona poco ma gli parla con la lingua dei dazi. Il raddoppio di tariffa americana su acciaio e alluminio è un colpo basso ad alleati storici degli Usa, in particolare a Canada, Germania e Corea del Sud.
Per quanto non specificamente antieuropeo arriva proprio mentre l’Ue riesce ad avviare un difficilissimo negoziato con l’amministrazione Usa. Il 50% sui due metalli, a cui si aggiunge il 10% di dazio “reciproco” su tutte le esportazioni Ue in Usa, divide i Paesi dell’Unione.
Colpisce sproporzionatamente chi esporta acciaio e alluminio non chi esporta medicinali, alimentari o lusso. Li divide da Uk, esente
perché ha già concluso un accordo commerciale con Washington.
Stefano Stefanini
per “La Stampa”

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I FIGLI DI BERLUSCONI HANNO PERSO 101 MILIONI RISPETTO A PAPA’ SILVIO

Giugno 6th, 2025 Riccardo Fucile

RISULTATO CHOC PER LA GALASSIA FININVEST NELL 2024

Sono stati depositati nel registro delle camere di commercio i primi dieci bilanci relativi all’anno 2024 di società appartenenti alla galassia Fininvest, che si aggiungono ai bilanci delle quattro holding di controllo della stessa Fininvest, a quelli del gruppo Mondadori e di MFE group. Manca ancora il risultato di qualche società, come il Teatro Manzoni e Alba servizi aerotrasporti, e di conseguenza il risultato consolidato di gruppo, ma sul primo anno di gestione completa da parte dei cinque figli dell’impero ereditato da papà Silvio nel 2023 qualche conto si può già fare. Le società che hanno svelato i conti 2024 sono l’Ac Monza, la Dolcedrago, la Dueville immobiliare, l’Immobiliare Idra, la Essebi Real Estate, la Isim spa, l’Immobiliare Leonardo, il Consorzio servizi di vigilanza, la Costa Turchese, la Fininvest RES (Reale Estate & Services), le Holding italiana 1,2,3 e 8; il MFE group dentro cui c’è Mediaset e il Gruppo Mondadori.
Da padre a figli bilanci in picchiata, nonostante il migliore risultato Mondadori
Da quelle società nel 2022, ultimo anno prima della scomparsa di Silvio Berlusconi, sono arrivati complessivamente 196,7 milioni di euro di utile netto. Nel 2024, primo anno di gestione dei figli Berlusconi lo stesso perimetro societario evidenzia 95,1 milioni di
euro di utili. Una bella somma, ma inferiore di 101,6 milioni di euro a quella arrivata nell’ultimo anno con papà alla guida di tutto il gruppo. Questo nonostante il calcio sia stato meno voragine ora (il Monza perde 47,9 milioni di euro rispetto al rosso di 65,4 milioni di euro del 2022) e il gruppo Mondadori, che ora come allora è gestito dalla primogenita Marina, sia andato meglio, guadagnando 60,2 milioni di euro rispetto ai 51,5 milioni di euro di due anni fa. Ma è la gestione del mattone soprattutto che è precipitata in questi due anni mentre sono dimezzati i guadagni delle holding di controllo di Fininvest (passati dai 59,1 milioni di euro con Silvio al comando ai 27,8 milioni di euro con la gestione dei figli). Grandi utili di MFE group, erosi però dall’operazione Prosieben Sat (guadagni scesi da 216,9 a 137,9 milioni di euro).
La voragine del mattone, nonostante la vendita di alcune proprietà (come Macherio)
Delle 8 società immobiliari oggi ben 7 sono in perdita e solo una ha un risultato positivo. La Idra che gestiva le ville di Silvio ha venduto a una delle eredi (Barbara) il complesso di Macherio, eppure ha chiuso il bilancio con una perdita di 20,9 milioni di euro più che doppia rispetto ai 9,57 milioni di euro del 2022. La Fininvest RES, diventata azionista di Idra oltre ad essere proprietaria di Villa Gernetto, ha perso nel 2024 43,3 milioni di euro, un risultato negativo quattro volte più dell’ultimo bilancio con Silvio al comando (perdita di 10,07 milioni di euro). La Dolcedrago, altra storica immobiliare, nonostante abbia ceduto Idra a Fininvest RES e riuscita ad aumentare di 9 volte le perdite, passate da un rosso di 829 mila euro a uno di 7,158 milioni di euro. Otto volte peggiorato anche il bilancio della Essebi immobiliare, che richiama il nome del fondatore: perdeva 204.848 euro, oggi perde 1.626.388 euro. Il solo risultato un po’ migliorato è quello della Costa Turchese, che
controlla alcuni terreni in Sardegna in attesa da anni di poterli lottizzare: perdeva 613.144 euro, ora con la guida di Adriano Galliani ha ridotto il rosso a 435.495 euro. La sola immobiliare a guadagnare è la Isim spa, non con la gestione del mattone, ma grazie agli investimenti in alcuni fondi di private equity. Con Silvio alla guida però la Isim aveva un utile di 6 milioni di euro. Con i figli l’utile 2024 è stato di poco superiore al milione di euro.
(da agenzie)

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