Giugno 20th, 2025 Riccardo Fucile
LA GUERRA IN MEDIORIENTE POTREBBE FAR SCHIZZARE IL PREZZO DEL PETROLIO, E CONSEGUENTE AUMENTO DI OGNI PRODOTTO … LA LOTTA CONTINUA CON SALVINI, LA PIEGA AMARA DEI SONDAGGI NEI CONFRONTI DEL GOVERNO E LA POSSIBILE SCONFITTA NELLE MARCHE DEL SUO FEDELISSIMO ACQUAROLI: IL PD CON MATTEO RICCI E’ IN VANTAGGIO DI 5 PUNTI E LA STATISTA DELLA GARBATELLA È TENTATA DI ANTICIPARE IL VOTO NELLE MARCHE A SETTEMBRE
Fra un ghigno e un’occhiataccia, sotto la cofana bionda di Giorgia Meloni si affollano nervosismi e preoccupazioni. La Statista dei Due Mondi (Garbatella e Colle Oppio) è tornata sconfortata dal G7 in Canada.
Lei, che si vantava di essere la “pontiera” tra Usa e Ue, è stata ridimensionata nei fatti, e sembra sempre più una “portiera”: apre e chiude le porte, precipitandosi a farsi fotografare accanto ai leader, come una Paolini della politica.Premier di un paese gravato da un debito pubblico enorme, che ha nella maggioranza un partito come la Lega, schieratissimo con i “patrioti” anti-Europa, il suo passato camaleontismo geopolitico non la rende del tutto “affidabile” agli occhi dei Macron e dei Merz (il Consiglio Europeo ancora attende dal governo di Roma la ratifica del nuovo Mes per la salvaguardia del sistema bancario; unico stato mancante dei 27 dell’Unione).
Lo si è visto tra le montagne di Kananaskis, al G7 più pazzo della storia. Anzi, sarebbe più corretto chiamarlo G6, visto che Trump se n’è andato dopo qualche ora per riunirsi con il suo staff alla Casa Bianca e meditare se bombardare l’Iran. Ennesima prova di quanto il Caligola della Casa Bianca se ne fotta dell’Europa.
Un summit dove l’incolpevole padrone di casa, il premier canadese, Mark Carney, ha dovuto assistere a sparate, colpi bassi, dispettucci che dimostrano l’infimo livello a cui è arrivata la politica mondiale
Il livello di follia politica del presidente degli Stati Uniti dev
ospitare un virus contagioso perché si sono aggiunti anche i leader, di solito diplomaticamente impeccabili, Merz e Macron. Il cancelliere crucco, con l’infame uscita su Israele che in Iran fa “il lavoro sporco per tutti noi”, ha fatto sobbalzare mezzo mondo a partire dall’opposizione tedesca, che l’ha invitato a “pulire i cessi”, per capire cosa sia davvero un lavoro sporco.
Il galletto francese, con un commento poco opportuno sulla partenza anticipata di Trump (ha detto che sarebbe andato via prima per “negoziare un cessate il fuoco tra Iran e Israele”), si è visto dare del cojone dal tycoon: “Emmanuel non ha capito niente, sbaglia sempre!”.
Circondata da cotanti maschioni con l’embolo fuori dal balcone, la Ducetta è rimasta spiazzata: è stata ripresa mentre esprimeva il suo disappunto, con le solite faccette da film muto, durante un colloquio con Macron e si è fatta fotografare seduta su una panchina con un Trump scojonatissimo, per nulla interessato alle sue chiacchiere in romanesco.
E così, “Io so’ Giorgia”, insieme alla figlia Ginevra, costretta di nuovo a un noiosissimo viaggio di Stato con la “baby sitter di Stato” Patrizia Scurti, è tornata a Roma con la consapevolezza che all’estero non tocca palla, fa solo colore.
Della ”special relationship” con Trump, con Musk fuori dalla Casa Bianca, non c’è più traccia.
Le cose non vanno meglio in patria. Giorgia Meloni si è impensierita molto scrutando i risultati degli ultimi sondaggi di Ipsos (l’istituto guidato da Nando Pagnoncelli, che danno Fratelli d’Italia al 27,3%. Il calo è lieve (-0,4%), ma i segnali che il “mood” stia cambiando nell’opinione pubblica iniziano ad essere più di coincidenze
Il dato più preoccupante è quello evidenziato da Ilvo Diamanti su “Repubblica”, il 17 maggio: la fiducia nel Governo ha toccato il punto più basso dall’insediamento (è al 35%, 20 punti in meno rispetto all’ottobre 2022).
Con la guerra che infiamma il Medioriente, i rischi per l’economia italiana, già minacciata dai dazi americani, potrebbero moltiplicarsi.
Una eventuale chiusura dello Stretto di Hormuz da parte dell’Iran provocherebbe un aumento importante dei prezzi energetici, con ripercussioni sul costo di tutti i prodotti. Infatti, da lì transita circa il 30% del petrolio mondiale.
E qui si arriva ai problemi politici. Il primo e più vicino test del governo si chiama regionali: delle cinque regioni chiamate al voto in autunno, i guai più grossi per la premier potrebbero arrivare dalle Marche, dove il meloniano Francesco Acquaroli rischia di non vedere confermata la sua poltrona di governatore.
Ancona è stata una delle prime a cadere nelle mani di Fratelli d’Italia. Cinque anni dopo, grazie a scelte politiche discutibili (una fra tutte, un progressivo indebolimento della sanità pubblica a favore di quella privata), Acquaroli non è più così amato tra i suoi corregionali.
A preoccupare Meloni sono alcuni sondaggi riservati che le sono arrivati sulla scrivania, e danno Acquaroli fermo al 45%, mentre il suo avversario, il piddino Matteo Ricci, è in testa col 55%.
Il candidato dem, ex sindaco di Pesaro, è lanciatissimo: ha ben governato la sua città ed è un moderato di buon senso.
Per una volta, Elly Schlein e compagni hanno trovato un candidato decente, che con il passare del tempo diventa sempre più forte.
Il fattore tempo è cruciale: la convinzione (corretta) della “Fiamma tragica” di Palazzo Chigi è che, con l’avanzare delle settimane, Ricci possa guadagnare punti, e liquidare Acquaroli
Così la Thatcher della Garbatella ha riunito i suoi camerati più fedeli, e ha partorito la mossa del cavallo: anticipare il voto nella regione Marche al 20-21 settembre.
Così, scorporerebbe quella tornata dalle altre quattro Regioni, due delle quali (Toscana, e Puglia) sono appannaggio dell’opposizione mentre il Veneto e la Campania sono appesi (soprattutto il primo) alla decisione del governo se dare o meno il via in Parlamento al terzo mandato.
La questione non vale per le Marche (Acquaroli è al primo mandato). Tramite il nasuto Donzelli, Fratelli d’Italia ha aperto alla ricandidatura dei governatori in carica.
L’idea era quella di porgere un ramoscello d’ulivo a Salvini (che potrebbe ricandidare Zaia in Veneto), e al contempo fare uno sgambetto al campo largo in Campania, permettendo la ricandidatura di Vincenzo De Luca, inviso a Schlein e Conte.
Ma quei geni della Fiamma, dall’alto dei loro risultati elettorali, hanno le loro buone ragioni di rivendicare una regione del Nord (se Forza Italia governa il Piemonte, la Lega col l’8% ha il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e sopratutto la Lombardia), non hanno considerato che il centrodestra non ha nessun candidato all’altezza dello Sceriffo di Salerno (l’unico poteva essere il forzista Fulvio Martusciello, fatto fuori dallo Huawei-gate a Bruxelles).
Permettere la ricandidatura di De Luca si tradurrebbe in una sconfitta bruciante. Conviene?
All’opposto, in Veneto, Luca Zaia andrebbe dritto verso il quarto mandato (ne ha già fatti tre, per merito di una legge regionale che non prevedeva ancora il limite a due, ora modificata).
Ma ieri Salvini, davanti al “no” di Tajani, ha sfanculato velocemente (e senza vasellina) i suoi governatori, Zaia e Fedriga
La pietra tombale è giunta con la nota di un fedelissimo del Capitano, Stefano Locatelli, responsabile enti locali del Carroccio: “Prendiamo atto con grande rammarico che Forza Italia non intende ragionare sul terzo mandato, e di certo sono irricevibili scambi con cittadinanza facile o ius scholae. A questo punto, auspichiamo che il centrodestra scelga al più presto i candidati migliori”.
Dire che la base leghista del Nord è incazzata con Salvini è un eufemismo. Gli addetti ai livori segnalano infatti l’attivismo di Roberto Vannacci in Veneto (è andato a Treviso a sparare a zero proprio contro il terzo mandato), come prova che Salvini potrebbe non essere così dispiaciuto dall’eventualità di liberarsi dei potenti governatori Zaia e Fedriga, frontman della vecchia base leghista.
Se Meloni e camerati sono indecisi in tema di terzo mandato (avrebbero ottime chance di conquistare il Veneto e destabilizzerebbero il Pd-M5S-Avs in Campania), dietro la secca contrarietà di Antonio Tajani sono molti che sentono puzza di bruciato.
In soldoni, il no del “Mago Otelma” ciociaro diventerebbe all’istante sì se Giorgia Meloni si impegnasse a concedere a Forza Italia la Regione Lombardia, tra due anni.
Tajani avrebbe già in tasca il “suo” nome: Ettore Prandini, il presidente di Coldiretti, che con il declino matrimoniale del ministro dell’agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha mollato i Fratelli d’Italia per avvicinarsi agli azzurri
Raccontano i ficcanaso di Milano che galeotto fu un incontro di qualche tempo fa tra il segretario generale e deus ex machina della Coldiretti, Vincenzo Gesmundo, e Marina Berlusconi: fatto sta che la potentissima associazione agricola (1,6 milioni di associati), già in rotta con il Governo e terrorizzata per le mattane daziste
trumpiane di Giorgia Meloni, si è spostata verso il centro.
La richiesta della Lombardia da parte di Antonio Tajani è anche un modo per neutralizzare i possibili sfidanti interni al partito: è per questo che non vuole per Forza Italia il sindaco di Milano, carica per cui si è subito fatta avanti l’immarcescibile Letizia Moratti.
Ma prima di piazzare Prandini al Pirellone, Tajani dovrà fare i conti con Ignazio La Russa che ha già sponsorizzato Lupi di “Noi Moderati”.
Come Dago-dixit, i veri dominus di Fratelli d’Italia a Milano sono il presidente del Senato e il fratello, Romano. Con loro sta facendo i conti anche Giorgia Meloni, che sta meditando molto attentamente il da farsi in Lombardia, dove il suo fedelissimo Carlo Fidanza è un candidato che finirebbe come un sol boccone tra le fauci dei La Russa Bros.
La Ducetta avrebbe in mente di candidare fra due anni, alla scadenza del manadato di Giuseppe Sala, sempre il solito Fidanza come sindaco a misura Duomo, ma sa benissimo che alla fine, a comandare, sarebbero sempre i Fratelli di ‘Gnazio. A quel punto, forse, è meglio rinunciare alla Lombardia e prendersi subito il Veneto
(da Dagoreport)
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Giugno 20th, 2025 Riccardo Fucile
SI VALUTA LA PRESENTAZIONE DI UNA “LISTA ZAIA” ALLE REGIONALI DELL’AUTUNNO, PER INIZIARE A “PESARSI” E REGOLARE I CONTI
«Prendiamo atto con grande rammarico che FI non intende ragionare sul terzo mandato, a
questo punto auspichiamo che il centrodestra scelga al più presto i candidati migliori»
Con una dichiarazione che Matteo Salvini affida all’ora di pranzo al capo degli enti locali, Stefano Locatelli, la Lega rinuncia in sostanza
al terzo mandato per i governatori. Suona come un game over, almeno per Luca Zaia.
Il Carroccio del resto definisce «uno scambio irricevibile» la contropartita lasciata filtrare agli alleati dal leader di Forza Italia, Antonio Tajani. Che suonava così: volete il terzo mandato, che non era nel programma del centrodestra?
Allora votate la nostra proposta sullo Ius scholae, per riformare la cittadinanza. Gli ex lumbard da quell’orecchio però non sentono. Il vicesegretario Claudio Durigon lo dice dritto: «Uno scambio con la cittadinanza? Non è plausibile, non credo ci possa essere un mercimonio di questo tipo».
Anche Fratelli d’Italia, che due settimane fa aveva aperto a una discussione sui limiti elettorali nelle regioni, fa capire che non è aria di cambiare la norma sulla cittadinanza, specie dopo il fiasco del referendum dell’8 e 9 giugno promosso da +Europa.
E anche se il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ieri pomeriggio ancora rimandava la discussione «ai leader» della coalizione, che si dovrebbero vedere oggi a margine del Cdm, la pratica appare ormai definitivamente archiviata
In Veneto, nella cerchia del governatore Luca Zaia, gli umori che filtrano sono nerissimi. Irritazione marcata. Non tanto verso FdI, «che è stata leale», ma con chi «nella Lega a Roma forse non ha affrontato la battaglia come meritava, non ci ha creduto». Intorno al presidente veneto si formula addirittura questa teoria: che sia stato qualcuno del Carroccio nazionale a suggerire a FI di rilanciare sullo Ius scholae al fotofinish, proprio per farsi dire di no e chiudere la questione una volta per tutte.
Una trappola, insomma. «Sappiamo anche chi è stato, nome e cognome», viene fatto trapelare da Venezia. Fantasie, a sentire il
giro salviniano, che invece rivendica pubblicamente di averci provato in tutte le salse ma di essersi trovato davanti il muro degli alleati, da ultimo principalmente di FI.
Il “doge”, in scadenza in autunno, si è sentito ieri con il collega del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, che pure vorrebbe correre per la terza volta nel 2028, approfittando del fatto che la sua regione è a statuto speciale (anche se FdI non vorrebbe deroghe particolari). Proprio i fedelissimi di Zaia allora ipotizzano una saldatura con Fedriga nelle dinamiche di partito.
Detta in altri termini, sarebbe la nascita di un “correntone del Nord”, che dovrebbe marcare stretto il segretario nei prossimi anni.
Di conte interne, più volte ventilate dalle Politiche del ‘22, finora alla prova dei fatti però non se ne sono viste: Salvini è stato riconfermato fino al 2029 dal congresso che il Carroccio ha celebrato a Firenze meno di tre mesi fa. Acclamazione, senza sfidanti.
C’è anche un’altra mossa, che gli uomini del governatore veneto danno comunque per certa: alle regionali ci sarà una “Lista Zaia”. Un modo per pesarsi, magari a scapito degli alleati. E forse anche per iniziare a regolare qualche conto.
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2025 Riccardo Fucile
I CONCESSIONARI USCENTI CHE PERDERANNO GLI STABILIMENTI AVRANNO ANCHE UN INDENNIZZO
Il decreto Salva infrazioni approvato dal Parlamento a novembre dello scorso anno ha previsto l’ultima proroga delle concessioni balneari fino a settembre 2027, poi scatteranno le gare. Sempre quel provvedimento, aveva rimandato a un decreto attuativo del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti le norme per calcolare gli indennizzi per i concessionari uscenti che perderanno gli stabilimenti.
Con qualche mese di ritardo (doveva essere pronto a marzo), le misure preparate dal Mit e bollinate dalla Ragioneria sono state inviate al Consiglio di Stato e parallelamente proseguirà l’interlocuzione con la Commissione europea rispetto alla procedura di infrazione tuttora pendente.
Il decreto attuativo, però, contiene una sorpresa, l’ultimo regalo ai balneari: il taglio del canone delle concessioni demaniali. Una sorta di lascito prima delle gare, quasi una compensazione del centrodestra che da anni – e in modo ancor più forte in campagna elettorale – aveva fatto del blocco del mercato e della reiterazione delle proroghe un principio non negoziabile. Per poi fare retromarcia davanti all’intransigenza dell’Europa.
l’esecutivo garantisce un taglio dell’affitto che il proprietario dello stabilimento versa al demanio e che sarà più o meno ampio a seconda della categoria e dell’area di riferimento. I canoni erano già stati abbassati del 4,5% nel 2024 dopo i maxi aumenti del 2022 e del 2023, ma la nuova normativa concordata tra Palazzo Chigi e l’Europa aveva previsto, inizialmente, una risalita del 10% della quota da versare all’Erario, non un altro sconto.
Bisogna ricordare che l’ammontare minimo dell’affitto si aggira intorno ai 3.200 euro, però gli imprenditori del settore hanno sempre sottolineato che lo Stato tiene i prezzi bassi perché obbliga i concessionari a farsi carico di altri costi che altrimenti graverebbero sulla collettività
Quanto agli indennizzi, la bozza del decreto attuativo riconosce al concessionario che perde lo stabilimento una «equa remunerazione sugli investimenti effettuati negli ultimi cinque anni», adottando come base di calcolo «il valore nominale iniziale degli investimenti iscritti nei bilanci dei cinque anni antecedenti quello di avvio della procedura di affidamento». Quindi niente rimborsi sui beni non
ancora ammortizzati a bilancio.
I sindacati dei balneari spiegano che nell’incontro avuto con il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini è stato loro detto che Bruxelles si è opposta agli indennizzi sugli investimenti immateriali (come ad esempio il marchio o l’avviamento dell’attività).
Ma è tutto il sistema del riconoscimento del valore dell’azienda che non convince gli imprenditori, che avrebbero voluto un meccanismo di rivalutazione dei beni.
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2025 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI SOGGETTI CHE HANNO CREATO SOCIETÀ FITTIZIE, PER AUTOCERTIFICARE FALSE CAPACITÀ IMPRENDITORIALI E OTTENERE I FINANZIAMENTI – IL CASO DEL 18ENNE O DELL’ULTRAOTTANTENNE USATI COME PRESTANOME
Indagini mirate. Così ama definirle il generale della Guardia di Finanza Alberto Nastasia,
che servono a scovare chi vuole accedere alle risorse del Pnrr non avendo titolo, sottraendole alla ripresa economica del Paese e alle prospettive di futuro delle nuove generazioni.
Qualcosa di più di semplici «furbetti» ma soggetti che, fraudolentemente, creano società fittizie, per autocertificare false capacità imprenditoriali e ottenere i finanziamenti.
Un ragazzo appena maggiorenne oppure un ultraottantenne come amministratori e volumi d’affari che esplodono da un anno all’altro sono alcuni esempi di alert che fanno scattare i controlli in tema di spesa pubblica.
Dal 2024 a oggi sono stati 14.428 gli interventi delle Fiamme gialle che hanno consentito di scoprire irregolarità nella distribuzione a cittadini e imprese di crediti d’imposta, contributi e finanziamenti, e sull’esecuzione di opere e servizi affidati con appalti pubblici per 11,3 miliardi di euro. Una cifra enorme resa nota nel giorno del 251° anniversario della fondazione della Guardia di Finanza […] alla
quale si aggiungono quelle dell’attività investigativa che, nel 2024, ha portato alla scoperta di 9.139 evasori totali, 58.315 lavoratori in nero e irregolari, 20.198 denunce e 496 arresti per reati tributari.
«I controlli sulla spesa pubblica prendono le mosse dalla collaborazione con i diversi ministeri e gli altri enti pubblici che gestiscono le risorse, grazie alla quale i nostri Reparti speciali possono analizzare le posizioni dei soggetti beneficiari dei finanziamenti per individuare quelle connotate da profili di rischio — spiega il generale Nastasia, capo dell’Ufficio Tutela uscite e mercati del Comando generale
Non è solo repressione, ma soprattutto prevenzione: è fondamentale agire presto per recuperare le somme indebitamente percepite e bloccare le successive erogazioni».
«Le nostre indagini sono “su misura” — sottolinea l’alto ufficiale — perché si adattano in ragione dell’evoluzione dei sistemi di frode utilizzati e sono selettivamente orientate verso obiettivi predeterminati. I sistemi di frode scoperti sono poi illustrati nell’ambito della “Rete dei referenti antifrode del Pnrr”, tavolo tecnico istituito presso la Ragioneria generale dello Stato», cui partecipano rappresentanti di tutte le Amministrazioni centrali titolari di risorse Pnrr, nella prospettiva di consentire l’adozione delle necessarie misure».
Negli ultimi 17 mesi in questo settore la Guardia di finanza ha effettuato 31.010 interventi, dei quali 27.623 sul reddito di cittadinanza (sostituito nel 2024 dall’assegno di inclusione), con indebite percezioni per oltre 120 milioni di euro.
La collaborazione con le Procure ha portato invece a più di 20mila indagini, oltre 28mila denunce e la scoperta di danni erariali per 2,57 miliardi di euro.
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2025 Riccardo Fucile
È CRESCIUTO DAL 23% AL 57% IL NUMERO DI TEDESCHI CHE HA UN’OPINIONE “MOLTO NEGATIVA” DI ISRAELE
Cresce in Germania la distanza tra i tedeschi e lo Stato d’Israele: è quanto emerge da un sondaggio dell’Istituto Allensbach per il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), che oggi dedica il fondo proprio a questo tema. Alla domanda “ha un’immagine positiva o negativa dello Stato di Israele?” nel 2022 la percentuale di quelli che rispondevano affermando di averne un’immagine positiva o molto positiva era del 54%, oggi si è assottigliata ad appena il 20% degli intervistati.
Allo stesso tempo, il numero di quelli che hanno un’opinione piuttosto negativa o addirittura molto negativa del Paese è aumentato dal 23% al 57%. Alla domanda “come valuta l’azione di Israele contro Hamas nella Striscia di Gaza”, solo il 13% ha dichiarato di ritenerla appropriata , mentre il 65% è di parere contrario.
Ancora nel gennaio 2024, tre mesi dopo l’attacco terroristico di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023, il 43% dei tedeschi riteneva che la reazione di Israele al massacro non fosse appropriata, il 27% invece la difendeva. Il sondaggio è stato condotto prima dell’attacco israeliano all’Iran, dal primo al 12 giugno, su un campione di 1.054 persone.
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2025 Riccardo Fucile
IL TOTALE PER LA GUERRA A GAZA, INVECE, HA RAGGIUNTO LA CIFRA DI 67 MILIARDI DI DOLLARI…. L’ECONOMIA DEL PAESE RISCHIA IL COLLASSO: IL MASSICCIO ARRUOLAMENTO DEI RISERVISTI STA RIDUCENDO DRASTICAMENTE LA FORZA LAVORO, E QUINDI LA PRODUTTIVITÀ. LE SPESE IN DIFESA ASSORBONO IL 7% DEL PIL
Oltre 67 miliardi di dollari per la guerra a Gaza e 735 milioni di dollari al giorno per il
conflitto in Iran: Israele sta affrontando il periodo militare più costoso della sua storia, spendendo per le sue due offensive belliche ad un ritmo che rischia di riscrivere il suo futuro economico.
Senza contare i raid in Libano. Lo scrive The Economic Times, una testata indiana in lingua inglese del gruppo The Times, chiedendosi nel titolo “Può Israele continuare a pagare per la sua guerra con l’Iran?”.
Secondo il sito economico israeliano Calcalist, citato dal quotidiano, il costo della guerra di Gaza aveva già superato i 250 miliardi di shekel (oltre 67,5 miliardi di dollari) entro la fine del 2024. Una cifra indicata anche da Reuters e Guardian. Ora, con l’apertura di un nuovo fronte contro l’Iran, la spesa per la difesa sta accelerando. Nelle prime ore della campagna militare israeliana contro Teheran, i costi sono aumentati vertiginosamente.
Un rapporto di Ynet News, scrive The Economic Times, ha citato il generale di brigata (in congedo) Re’em Aminach, ex consulente finanziario del capo di stato maggiore delle Forse di difesa israeliane (Idf), secondo cui solo le prime 48 ore di operazioni sono costate 5,5 miliardi di shekel (1,45 miliardi di dollari). Il ritmo non ha rallentato. Israele spende ora circa 2,75 miliardi di shekel, ovvero
725 milioni di dollari, al giorno in operazioni militari dirette nel conflitto iraniano.
Oltre al combattimento, il massiccio arruolamento dei riservisti sta riducendo la produttività civile. La testata indiana ricorda inoltre che il bilancio del Ministero della Difesa è quasi raddoppiato in soli due anni ed assorbe ora quasi il 7% del Pil di Israele, secondo solo all’Ucraina a livello globale
Gli esperti avvertono che anche una rapida fine delle ostilità non cancellerà il danno fiscale già causato. I servizi pubblici, in particolare sanità e istruzione, rischiano di essere messi da parte. Infine, con un limite massimo di deficit del 4,9% del Pil, equivalente a 27,6 miliardi di dollari, il bilancio di Israele è già sotto una pressione immensa, mentre il ministero delle finanze ha rivisto le previsioni di crescita del Pil per il 2025 dal 4,3% al 3,6%.
(da agenzi)
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Giugno 20th, 2025 Riccardo Fucile
“QUESTA STORIA DEI SERVIZI CHE SPIAVANO I GIORNALISTI A ME PARE SERIA; E’ INCREDIBILE CHE LA POLITICA NE PARLI COSÌ POCO. UNA MAGGIORANZA SOLIDI NON DOVREBBERO AVER PAURA DI SITI DI INCHIESTA”
In una democrazia sono i giornalisti che controllano il potere; non viceversa. Questa storia dei servizi che spiavano i giornalisti a me pare seria; e mi pare incredibile che la politica ne parli così poco. In sintesi: Fanpage pubblica un’inchiesta scomoda, da cui si deduce che alcuni capi del movimento giovanile del partito di maggioranza relativa hanno atteggiamenti apertamente filofascisti; e il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, viene messo sotto osservazione grazie a un sofisticato sistema, fornito da un’azienda israeliana, Paragon, guidata da Ehud Barak.
Barak, che quando era premier nel 1999 potei incontrare con altri giornalisti italiani, non è una dama della San Vincenzo; è un uomo
dal tratto leale ma duro, era a Entebbe — forse la più grande operazione di intelligence della storia, in cui morì il fratello di Netanyahu —, ha combattuto nella Guerra dei Sei Giorni e nella Guerra del Kippur, con Ariel Sharon è il militare più decorato della storia di Israele.
Ma Barak obietta che Paragon deve servire a tenere sotto controllo i terroristi, non i giornalisti. Offre all’Italia di rivelare se è stato usato in modo improprio e da chi. Siccome gli viene risposto di no, Paragon si chiama fuori. Ora emerge l’ipotesi che fossero sotto controllo altri giornalisti, tra cui Roberto D’Agostino, il fondatore di Dagospia.
Neppure lui è una dama della San Vincenzo. Non c’è politico o giornalista (me compreso) d’Italia cui in questi anni non abbia fatto pelo e contropelo. Ma proprio perché è uno che non guarda in faccia a nessuno, nessuno se ne dovrebbe offendere. Un governo e una maggioranza solidi non dovrebbero aver paura di siti di inchiesta. Sono sicuro che ci sono ministri e leader di partiti di governo che non sono d’accordo con queste prassi inquietanti, e certo faranno sentire la loro voce.
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2025 Riccardo Fucile
“CORRIERE”: “L’IRAN È INECCEPIBILE DAL PUNTO DI VISTA FORMALE. FINO AL VOLTAFACCIA AMERICANO NON HA MAI VIOLATO IL PATTO E, IN SEGUITO, NON HA MANCATO ALCUN OBBLIGO CON L’AGENZIA ATOMICA”
Dovremmo ormai essere vaccinati alla propaganda di guerra. Il caso delle «armi di
distruzioni di massa» che l’iracheno Saddam Hussein avrebbe avuto pronte per distruggere il resto del mondo (da Israele a Londra) è nei libri di massmediologia. Giustificarono l’invasione di Bagdad nel 2003, ma non erano mai esistite e, quel che è peggio per la democrazia, chi ce ne parlava sapeva di dire il falso (Rapporto Chilcot, 6 luglio 2016). Ora chissà, la bomba degli ayatollah potrebbe diventare un altro caso di scuola.
Che il nucleare iraniano sia l’incubo per il premier israeliano Bibi Netanyahu è risaputo. «Potrebbero arrivare all’atomica in un anno o pochi mesi», ha detto per giustificare la guerra aperta alla Repubblica islamica. Dieci anni fa, però, aveva detto: «L’Iran è a poche settimane da un intero arsenale di bombe atomiche». Tredici anni fa: «Gli mancano 6 mesi per l’atomica». Diciannove anni fa: «L’Iran sta accelerando per produrre 25 bombe atomiche l’anno». E trenta anni fa: «L’Iran sarà capace di produrre atomiche in 3-5 anni».
Nel 2015, Teheran firmò un Patto (JCPOA) con le maggiori potenze mondiali in cui garantiva pieno accesso agli ispettori dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) e limitava l’arricchimento dell’uranio al 3,67% (sotto l’uso civile, quindi). Nel 2018 il presidente americano Donald Trump bollò quell’accordo come il «peggiore mai firmato da Washington» e ne uscì in modo unilaterale. L’Iran implorò l’Europa di restare, ma senza successo. Nel 2024 Usa e Iran hanno ripreso i colloqui. Sotto bombardamento, Teheran li ha interrotti.
L’Iran è ineccepibile dal punto di vista formale. Fino al voltafaccia Usa non ha mai violato il Patto e, in seguito, non ha mancato alcun
obbligo con l’Agenzia atomica. In più ha buon gioco nel denunciare il doppio standard cui è sottoposto visto che Israele non si fa controllare, non ha aderito all’Aiea, eppure sembra possegga un centinaio di atomiche. Esiste anche una «fatwa» (decreto religioso) della Guida suprema Khamenei che vieta la bomba. Nel marzo 2025 arriva la certificazione dell’intelligence americana: «L’Iran non sta costruendo l’atomica. È a tre anni di distanza» (Tulsi Gabbard, direttrice del Dni).
Rispettando le regole, però, l’Iran ha arricchito l’uranio («400 chili al 60%» secondo l’Aiea). Perché se non vuole la bomba? Giovedì 12 giugno esce un rapporto dell’Aiea. Dice che l’Iran non ha informato l’Agenzia, è stato opaco. I titoli sono allarmanti: «L’Iran trasgredisce i controlli. È la prima volta in 20 anni». Venerdì 13 giugno Israele attacca. Il collegamento «opacità-autodifesa» è immediato. L’Iran accusa l’Aiea di aver fornito il casus belli a Tel Aviv. Il direttore dell’Agenzia, Rafael Grossi, aspetta lunedì 16 per chiarire di «non avere prove di un attivo tentativo di costruire l’arma atomica».
Lo stesso lunedì 16 Trump, interrogato sul rapporto di marzo dei suoi 007, dichiara: «Non mi importa cosa pensino, l’Iran è vicino alla bomba». I leader del G7 lo seguono. «Teheran non deve raggiungere l’arma nucleare» (Giorgia Meloni). «Israele sta facendo il lavoro sporco per noi» (Friedrich Merz). Che l’Onu e il diritto internazionale siano scavalcati non preoccupa nessuno.
L’Iran non ha la bomba. È un fatto come che ha arricchito abbastanza uranio per fabbricare una. Fra 3 anni? Uno? Presto? È anche un fatto che Israele non vuole permetterglielo e ha aggredito a tutta potenza per primo. […] dopo aver eliminato in Siria e Libano gli alleati iraniani più pericolosi, Netanyahu si sente più forte e, siccome nessuno glielo impedisce, ha bombardato come desiderava
da decenni
(da agenzie)
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Giugno 20th, 2025 Riccardo Fucile
CONTESTATO ANCHE IL REATO DI PECULATO… INDAGATI PER AVER SIMULATO I REATI DEI FERMATI
I Bravi Ragazzi con i tonfa, i manganelli di Genova, avevano una chat. Nella quale le botte erano «cioccolatini» e «torte sacher». Ma c’erano anche «giri sulla giostra» e «benedizioni». A prenderle erano i «negri di merda», di cui fare «pulizia con il napalm». Mentre qualche tossicodipendente veniva trasformato in spacciatore. Grazie alla comparsa di bustine messe in tasca al momento giusto. Perché la droga «può sempre servire per una perquisizione». La procura di Genova ha chiuso le indagini nei confronti di 15 vigili urbani. Che avrebbero usato violenza nei confronti di arrestati e simulato reati.
Le denunce e i reati simulati
La storia la racconta Il Fatto Quotidiano. E parte da un minorenne
libico che nel febbraio 2024 viene prima preso a calci nei testicoli e poi denunciato per resistenza. «Tanto è la sua parola contro la nostra, siamo pubblici ufficiali», è la giustificazione su Whatsapp.
Poi tocca a un cittadino marocchino. Che finisce al pronto soccorso dell’ospedale di Voltri con “trauma facciali”, “fratture” e un “trauma lombare”. È stato picchiato su un’auto di servizio.
A Capodanno a prendere le botte era stato un sudamericano arrestato per resistenza e preso a manganellate mentre era in ginocchio. E di un consumatore di crac: «Sei un pezzo di merda, uno scarto della società, non servi a un cazzo. Ti va bene che non eri nella macchina perché sennò ti avrei ammazzato di botte».
L’hascisc
In tasca gli trovano dell’hascisc. Un’agente che andrà a denunciare i colleghi dirà anche di essersi vergognata della divisa. «Vogliamo ridefinire le competenze della polizia locale», sono state le prime parole da sindaca di Silvia Salis. Ai quindici indagati è contestato anche il peculato.
(da agenzie)
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