Giugno 8th, 2025 Riccardo Fucile
DA BORDO L’EUROPARLAMENTARE FRANCESE REPLICA: “NON TORNEREMO INDIETRO”… ISRAELE NON VUOLE TESTIMONI DEI SUOI CRIMINI
L’esercito israeliano ha ricevuto l’ordine di impedire alla nave Madleen, di Freedom Flotilla, di raggiungere la Striscia di Gaza e consegnare gli aiuti umanitari che trasporta. L’annuncio è arrivato direttamente dal ministro della Difesa Israel Katz, che in una nota ha comunicato di aver dato l’ordine. La nave era salpata da Catania il 1° giugno e a bordo ci sono dodici civili attivisti, tra cui la svedese Greta Thunberg. Il suo obiettivo è raggiungere le coste della Striscia per consegnare degli aiuti alla popolazione colpita dagli attacchi militari israeliani, aggirando il blocco imposto da Tel Aviv.
“Ho dato istruzioni all’Idf di agire affinché la Madleen non raggiunga Gaza”, ha dichiarato Katz. “All’antisemita Greta e ai suoi amici dico chiaramente: dovreste tornare indietro perché non raggiungerete Gaza”, ha aggiunto, affermando che “lo Stato di Israele non permetterà a nessuno di violare il blocco navale su Gaza”
Sui social, l’equipaggio della nave ha invece segnalato che alle 11.36 di oggi “il tracker della Madleen ha subito interferenze elettroniche”
che sono durate circa mezz’ora, e che in seguito ce ne sono state altre. “Stanno disturbando le nostre comunicazioni per preparare un attacco!”, hanno proseguito in un post.
L’imbarcazione si trova a circa 150 miglia dalla Striscia. A bordo della nave come detto ci sono – oltre ai membri dell’equipaggio vero e proprio – dodici esponenti della società civile. Tra di loro l’attivista svedese Greta Thunberg, forte promotrice degli scioperi scolastici per il clima dal 2018 (quando aveva appena quindici anni). Ma anche l’europarlamentare francese-palestinese Rima Hassan.
Sui social, Hassan ha detto che l’intenzione delle autorità israeliane è di arrestarli illegalmente. “Quando non avremo più la possibilità di comunicare con voi, conto su di voi per continuare la mobilitazione che è stata così preziosa durante questa traversata: continuate a condividere la nostra campagna, continuate a parlarne con chi vi sta vicino, continuate a lottare per la liberazione della Palestina”, ha scritto sui social. “Non torneremo indietro. La nostra azione è legale, è Israele che sta agendo illegalmente”.
Hassan, interpellata dall’agenzia francese Afp, ha dichiarato: “Resteremo mobilitati fino all’ultimo minuto, finché Israele non taglierà Internet e le reti. Siamo dodici civili a bordo. Non siamo armati. Abbiamo solo aiuti umanitari”.
Un precedente simile nel 2010 terminò con l’intervento israeliano e l’uccisione di dieci civili: si trovavano della nave Mavi Marmara, che faceva a sua volta parte della Freedom Flotilla, e tentò insieme ad altre cinque imbarcazioni di rompere il blocco navale imposto sulla Striscia di Gaza. L’esercito israeliano le attaccò nel Mediterraneo. Sulla nave Mavi Marmara c’erano poco meno 600 passeggeri, e circa quaranta opposero resistenza attiva, secondo quanto ricostruito. Nove furono uccisi quel giorno con colpi di arma da fuoco, mentre un decimo sarebbe morto nel 2014 dopo quattro anni in coma.
(da Fanpage)
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Giugno 8th, 2025 Riccardo Fucile
BENJAMIN HARNWELL, GIÀ REFERENTE DI STEVE BANNON IN EUROPA: “LE CONSEGUENZE PIÙ PESANTI POTREBBERO ESSERE IN ITALIA. L’INTERA STRATEGIA DI GIORGIA MELONI DI ESSERE UN PONTE FRA GLI USA E L’EUROPA GIRAVA ATTORNO AL SUO RAPPORTO PERSONALE CON ELON. ORA VEDREMO COSA ACCADRÀ DEL SUO ‘PONTISMO’. LA PROFONDITÀ DELLA RELAZIONE TRA MELONI E TRUMP NON È COSÌ SALDA COME GLI ITALIANI LA PERCEPISCONO”
«Elon Musk era un elemento destabilizzante per l’amministrazione di Donald Trump,
senza di lui la leadership degli Stati Uniti è più forte».
A dirlo è Benjamin Harnwell, già “concessionario” dell’abbazia di Trisulti e referente di Steve Bannon in Europa dall’Italia, che da tempo aveva messo in guardia sulla figura del multimiliardario.
L’ha sorpresa il divorzio tra Trump e Musk?
«Me lo aspettavo, lo dicevo da tempo. Con Steve Bannon, nella nostra trasmissione War Room, abbiamo denunciato più volte l’opportunismo di Musk e la sua pericolosa deriva globalista e plutocratica. Abbiamo ripetuto costantemente che i giorni di Elon nel circolo di Maga erano contati. E abbiamo avvertito costantemente il governo italiano di non costruire un’intera strategia geopolitica attorno alla vicinanza di questo signore alla Casa Bianca».
Che cosa non funzionava?
«Trump e Musk hanno interessi diversi. Chi è stato in grado di capire i segnali non si è fatto ingannare dalle apparenze, il nostro motto è “segnale, non rumore”. Elon era un elemento di destabilizzazione per l’amministrazione, ora la leadership Usa è ancora più forte».
Qual è stato, a suo avviso, il fattore scatenante?
«Musk puntava a blindare le agevolazioni sulle vendite di auto elettriche, aveva un obiettivo chiaro, tutelare i suoi interessi, che
però sono in conflitto con quelli di Trump.».
Bannon ha sempre nutrito un forte scetticismo e un’aspra critica nei confronti di Musk. Perché?
«Si erano conosciuti quando Steve era capo stratega della Casa Bianca nel Trump I, e ha capito subito che tipo era e che cosa voleva dal presidente, come tentava di esercitare la sua influenza per avere un trattamento preferenziale».
Perché Trump lo ha coinvolto nel governo?
«Perché a Trump piace dare a tutti almeno un’opportunità di dimostrarsi. Musk ha dato un sacco di soldi alla campagna elettorale, attorno a 285 milioni di dollari, sebbene voglia sottolineare che Trump non è assolutamente uno che si vende, qui si vede lo sbaglio principale nel calcolo di Musk».
È d’accordo con Musk quando dice che il tycoon non ce l’avrebbe fatta a vincere senza il suo contributo?
«Sono due gli elementi per cui Trump ha vinto nel 2024, l’attentato di Butler, in Pennsylvania e la reazione così eroica e immortale del presidente col suo grido “fight, fight, fight” con il sangue sulla faccia. Il secondo è il sostegno di Elon, determinante anche per incassare la maggioranza repubblicana in Camera e Senato. […]».
Secondo lei la rottura è definitiva?
«Sì. Musk ha fatto delle affermazioni gravissime e scandalose nei confronti di Trump, che non possono essere ritratte. Adesso la maschera è caduta, è stato superato il punto di non-ritorno. A questo punto bisogna capire se ci sono i presupposti affinché possa essere deportato in Sudafrica».
Nessuno strascico quindi?
«Le conseguenze più pesanti potrebbero essere altrove – per esempio qui in Italia. L’intera strategia di Giorgia Meloni di essere un ponte fra gli Usa e l’Europa girava attorno al suo rapporto personale con
Elon. Ora vedremo cosa accadrà del suo “pontismo”. La profondità della relazione tra Meloni e Trump non è così salda come gli italiani la percepiscono».
(da agenzie)
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Giugno 8th, 2025 Riccardo Fucile
DOPO LA SCOMPARSA DEL FONDATORE PRIGOZHIN, DUE ANNI FA, I MERCENARI DELLA WAGNER SI SONO DIVISI IN ALMENO CINQUE GRUPPI, SPARSI PER IL CONTINENTE AFRICANO…
Il 6 giugno 2025 il Gruppo Wagner ha annunciato il ritiro dal Mali, dichiarando conclusa la propria missione dopo tre anni e mezzo di operazioni. Ma dietro la retorica trionfalistica si nasconde un riassetto strategico orchestrato da Mosca, più che un reale successo sul campo.
L’uscita della compagnia militare privata – formalmente indipendente ma da sempre legata agli apparati russi – coincide con il passaggio di consegne all’Africa Corps, una nuova struttura più direttamente controllata dal Ministero della Difesa.La Russia, in altre parole, resta, ma con un assetto più regolare e gestito dall’alto, dopo mesi di crisi interna alla galassia Wagner e fallimenti operativi sul terreno maliano.
Wagner era arrivata in Mali nel dicembre 2021, chiamata da un governo militare in rotta con la Francia e gli alleati occidentali dopo due colpi di Stato ravvicinati. L’uscita delle truppe francesi dell’operazione Barkhane aveva lasciato un vuoto che il regime del colonnello Assimi Goïta ha cercato di colmare con l’appoggio russo, siglando un contratto da circa 10 milioni di dollari al mese.
Il gruppo ha fornito supporto militare, formazione alle FAMa (le forze armate maliane) e protezione del potere centrale. In parallelo, Mosca ha promosso una campagna mediatica anti-occidentale, sfruttando il sentimento antifrancese diffuso nel Paese.
Tuttavia, il bilancio della presenza Wagner è stato tutt’altro che positivo. Oltre alle pesanti accuse di crimini di guerra – tra cui il massacro di Moura nel marzo 2022, con almeno 300 civili uccisi – l’efficacia militare del gruppo si è rivelata limitata.
Nel luglio 2024, un’imboscata dei ribelli tuareg nel nord del Paese ha inflitto una delle peggiori sconfitte subite da Wagner in Africa, uccidendo decine di mercenari e soldati maliani. L’episodio ha evidenziato la fragilità operativa del gruppo: conoscenza scarsa del terreno, logistica inadeguata, isolamento rispetto al contesto locale.La narrazione della “missione compiuta”, rilanciata da canali vicini al Cremlino, punta a salvare l’immagine. Wagner sostiene di aver contribuito a neutralizzare migliaia di jihadisti e rafforzato la stabilità. Ma fonti indipendenti e analisti – dal CSIS al New York Times – parlano di un ritiro dettato dalla debolezza e dal progressivo smantellamento dell’apparato Prigozhin dopo la sua morte nell’agosto 2023.
Secondo diversi osservatori, il Mali resta strategico per Mosca: sia per l’accesso alle risorse naturali, in particolare l’oro, utile a finanziare la guerra in Ucraina, sia per l’influenza geopolitica nel Sahel, area contesa con Francia, Stati Uniti e Cina. Il cambio di
formato operativo non è quindi un passo indietro, ma un tentativo di consolidamento e professionalizzazione dell’impegno russo, dopo una fase caratterizzata da brutalità, improvvisazione e ambiguità giuridica.
All’interno del Mali, la percezione della popolazione è ambivalente. Inizialmente sostenuta da parte dell’opinione pubblica urbana, Wagner ha perso consensi a causa dei risultati scarsi e delle accuse di abusi.
Il ritiro di Wagner non segna la fine della presenza russa in Mali, ma l’inizio di una nuova fase più formalizzata e potenzialmente più efficace. Resta da vedere se l’Africa Corps saprà evitare gli errori del passato e affrontare una realtà complessa, con minacce jihadiste attive, ribellioni etniche e uno Stato centrale fragile.
Per l’Occidente, l’uscita di Wagner può essere un’occasione per ripensare la propria strategia nel Sahel, ma servono proposte credibili e un approccio meno episodico.
(da agenzie)
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Giugno 8th, 2025 Riccardo Fucile
SONO STATI SPESI 752 EURO DI CEROTTI E 2.038 EURO PER VASCHE E KENZIE,,, NEL 2024, IL CNEL HA SGANCIATO CIRCA 70 MILA EURO PER “MISSIONI E TRASFERTE E PER RISTRUTTURARE LA “DEPENDANCE”, OSSIA CASINA CENCI GIUSTINIANI, SONO PREVISTI IN BILANCIO 1,3 MILIONI DI EURO
Chissà se Renato Brunetta è da spazzole rotanti o più da lancia schiuma rapido. È
certo che per tenere lindi e in ordine vialetti, terrazzi e patii del Cnel ha ora a disposizione un’idropulitrice nuova di pacca.
Del resto anche il giardino merita un corredo all’altezza dell’ultima poltrona di Brunetta: nel conto ormai chilometrico delle spese fatte a Villa Lubin da quando è presidente, ecco quelle per siepi e piante, vasche e kenzie, una spazza-foglie acquistata in combo con l’idropulitrice anzidetta, un lavello armadiato in acciaio.
Perché dopo i 27 metri di moquette rosso America ordinata nei mesi scorsi insieme a ogni altro bendidio, il nuovo conticino da quattromila euro per la voce tappeti dice che siamo ancora all’inizio. Gli ultimi appalti vidimati in casa Cnel restituiscono bene l’idea della resurrezione dell’ente che tutti – compreso il suo presidente – una decina d’anni fa davano per moribondo.
Pure in fatto di divise per il personale, Sua Presidenza già ci aveva dato sotto, ma ecco qua ulteriori fatture: una da 2.300 euro, un’altra più specifica da 1.572 per le marsine di tre addetti al cerimoniale.
Ma del resto il conto per portierato e accoglienza è da svenimento: 118 mila euro. Figurarsi quando sarà pronta la dependance ossia Casina Cenci Giustiniani, per ristrutturare la quale sono stati appostati in bilancio 1,3 milioni di euro: intanto 66 mila euro sono già partiti per lo studio preliminare, 1.200 per indagini geofisiche, 13 mila per le indagini sperimentali sui materiali.
Ma intanto corrono pure le spese per la casa madre, la sede principale del redivivo Cnel, dove la fornitura biennale per il
servizio tintoria è di 14.700 euro, mentre l’“unità di riscaldamento, ventilazione e condizionamento d’aria” costa 17 mila euro, i timbri per i dirigenti altri 1.197, 28 cornici oltre 2 mila euro.
E poi la chicca che tradisce un velo di narcisismo (più di tutto il resto, si intende): 10 copie del volume Per una storia del Cnel, per un totale di 1.846 euro. La divisione è elementare: 180 euro e spiccioli a volume.
Tra le spese c’è pure uno scontrino da 33 euro per Il secolo americano, il libro di Geminello Alvi dato alle stampe nel ’96 che “scompagina e arricchisce ogni percezione della nostra epoca”. Ma che non riuscirà mai a spiegare il mistero Cnel dove nel 2025, con i salari da fame e un debito pubblico di tremila miliardi, si spendono 752 euro di cerotti e 2.038 euro per vasche e kenzie. E poi esiste una vita fuori dal cancello di Villa Lubin.
Consiglieri che arrivano, consiglieri che vanno, missioni varie.
Nel 2024, il Cnel ha speso circa 70 mila euro tra costi per “missioni e trasferte personale”, “missioni consiglieri”, “trasferte consiglieri/invitati”. Quest’ultima voce è la più cospicua, ben 54.532 euro.
Il motivo? Lo spiega con cortesia l’ufficio stampa dell’ente: “oneri sostenuti per la partecipazione dei 64 consiglieri – di cui oltre il 70% non risiede a Roma – alle sedute dell’Assemblea, della Commissione speciale (…), delle altre 3 commissioni istruttorie permanenti (…) e degli ulteriori organi collegiali”.
Insomma si tratta di “oneri di trasporto e soggiorno” per far funzionare la macchina, che d’altra parte con Brunetta s’è rimessa in moto alla grande: firma decine di intese con ministeri e altri enti pubblici, affida a consulenti ed esperti corposissimi report sul lavoro, il salario minimo, la competitività Ue, il Made in Italy; stila progetti di legge e memorie.
E pazienza se poi questo enorme e prezioso contributo al dibattito non ha chissà quali effetti pratici né in Parlamento né altrove. Si farà sempre in tempo, tra qualche anno, ad aggiornare la storia del Cnel con un altro bel volume rilegato in pelle.
(da Il Fatto Quotidiano)
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Giugno 8th, 2025 Riccardo Fucile
E I DEMOCRATICI? SONO TORNATI A FARE LE FUSA AL KETAMINICO MUSK, UNO CHE NON SOLO GLI HA SPUTATO ADDOSSO FINO A IERI MA CHE HA ELOGIATO I NAZISTELLI DELL’AFD IN GERMANIA E HA SCONFESSATO NIGEL FARAGE PERCHÉ NON ABBASTANZA A DESTRA (SALVO POI PENTIRSI E SCUSARSI)
Lo spettacolo maestoso e agghiacciante (almeno per gli americani) del feroce scontro tra i due uomini più potenti del Paese, e forse del Pianeta, fa esplodere il mercato delle scommesse (Trump che smantella il Doge di Musk dato 3 a 1, l’incriminazione del miliardario 25 a 1) per i repubblicani, a partire dai parlamentari che, pur tra molti dubbi, si erano fidati dei piani comuni della «strana coppia», quella rottura non è uno spettacolo, ma una sofferenza
Trump non attacca con la consueta asprezza verbale il suo ex best buddy: lo tratta da persona mentalmente disturbata («un povero ragazzo che ha problemi»), per ora non vuole vederlo, ma gli augura il meglio, di rimettersi presto. Uno straordinario esercizio di moderazione dello schiacciasassi Trump, vista la pesantezza delle parole di Musk: prima la legge di bilancio, architrave della sua presidenza, definita «disgustoso abominio», poi l’insinuazione di aver condiviso avventure sessuali col pedofilo Jeffrey Epstein, infine
l’invito ai cittadini a mollare un Donald ormai al capolinea e a seguire lui: «Pensateci bene: gli restano 3 anni e mezzo di governo, mentre io sarò in giro per almeno altri 40 anni».
Per molto meno Trump ha auspicato la pena capitale o il carcere a vita per i suoi nemici. Con Musk, invece, la sua mano è più lieve, almeno in apparenza, anche se ieri sera è poi tornato a usare toni più minacciosi. Ed Elon, forse avvertito dagli amici che ha esagerato e si è cacciato in un brutto guaio, forse spaventato dall’attivista dell’ultradestra Steve Bannon che per Elon chiede condanne penali, la confisca delle sue aziende e l’espulsione perché entrato illegalmente negli Usa prima di diventarne cittadino, ieri ha fatto un gesto che appare il riconoscimento di aver ecceduto: ha cancellato i due post di giovedì nei quali accusava Trump di essere stato un «compagno di merende» di Epstein.
Sono tanti i pompieri che cercano di spegnere l’incendio, ma questo non significa che i due potranno tornare a collaborare [
Ma anche questo è uno scenario improbabile visto che Musk, pur non insistendo sulle accuse personali più pesanti, continua a incalzare il presidente sul piano politico usando due armi: accuse sempre più precise e penetranti sul bilancio e la proposta di creare un suo «nuovo partito per il ceto medio», l’America Party, che ha sottoposto al solito referendum online dei suoi follower. L’80% dei quasi sei milioni che hanno risposto si sono detti d’accordo con Elon (ma i votanti non sono stati molti visto che ha 220 milioni di follower).
Insomma, una spina nel fianco di Trump e del partito repubblicano in vista delle elezioni di midterm del prossimo anno. Ecco, allora, che l’apparente moderazione di Trump assume un aspetto diverso: il presidente, che ha a lungo difeso il bizzoso miliardario, principale finanziatore della sua campagna elettorale […] ora sta solo cercando
di disinnescare le minacce più pericolose e di dirigere Musk verso un binario morto.
Ci riuscirà? Tutto dipende da Musk, improvvisamente divenuto il beniamino dei democratici da lui brutalmente schiaffeggiati fino a ieri. L’instabile Elon, fan dell’Afd in Germania e che in Gran Bretagna aveva sconfessato Nigel Farage perché non abbastanza a destra (salvo poi pentirsi e scusarsi) che torna a dialogare con la sinistra per fare dispetto a Trump? Appare assai improbabile (anche ai bookmakers che danno una virata a sinistra del capo del miliardario di Tesla, X e SpaceX 14 a 1), ma con lui non si può mai dire
Insomma, anche se spinto ai margini e tenuto a bada con minacce che vanno dalla cancellazione di lucrosi contratti fino alle confische, all’espulsione, addirittura all’incriminazione per reati penali legati alla sua clearance di sicurezza (Bannon lo accusa addirittura di essere al servizio della Cina), Musk continuerà a far sentire la sua presenza nella politica americana
(da agenzie)
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Giugno 8th, 2025 Riccardo Fucile
IL RAGAZZO HA FATTO SALIRE LA DONNA SULLA SUA MOTO E L’HA PORTATA FINO AI PARAMEDICI – IL RACCONTO: “PER ME È STATO UN GESTO SPONTANEO E ISTINTIVO. MI SAREI SENTITO IN COLPA SE NON LO AVESSI FATTO. I MIEI GENITORI E MIEI INSEGNANTIMI HANNO TRASMESSO QUESTI VALORI”
È diventato un eroe per caso. Ha salvato da ipossia una anziana signora la cui
bombola d’ossigeno si era esaurita e che l’ambulanza non riusciva a raggiungere perché bloccata nel traffico. Ora Filippo Albonico, liceale di 15 anni originario di Cernobbio, viene ringraziato sui social e indicato come esempio da seguire.
Il fatto è accaduto venerdì scorso intorno alle 14 sulla statale Lariana, in provincia di Como, bloccata in entrambe le direzioni. A chiamare in aiuto Filippo, che passava di lì a bordo della sua moto, Grazia Martelli, amica della donna malata (che preferisce rimanere anonima) che poi, a salvataggio avvenuto, ha pubblicato sui social il
post per ringraziarlo.
Filippo, cosa è successo ?
«Ero in moto con un amico e stavo scendendo da Blevio a Como, quando ho visto questa signora che faceva cenni con le mani e chiedeva aiuto. Mi sono avvicinato e mi ha chiesto un passaggio per la sua amica chestava male. Le ho detto subito di sì. Ho fatto scendere il mio amico, fatto salire la signora e l’ho portata all’ambulanza dove l’hanno soccorsa. Per strada era tutto bloccato, senza la moto non sarebbe mai arrivata in tempo».
Quando avete raggiunto l’ambulanza è vero che i soccorritori hanno detto “Sai che le hai salvato la vita?”. Ti sei reso conto di quello che avevi fatto?
«Lì per lì no. Per me è stato un gesto spontaneo e istintivo. Misarei sentito in colpa se non lo avessi fatto e, se posso dire, sarei stato proprio stupido a non farlo. Però, allo stesso tempo, penso che non tutti lo avrebbero fatto perché la signora stava male ed era anche una responsabilità portarla in moto».
Sui social ti hanno definito “un eroe”, c’è chi scrive “finalmente un giovane per bene”. Cosa ne pensi?
«Non so se sono un eroe, penso solo di aver fatto un bel gesto, un’azione che mi fa star bene con me stesso e che rifarei subito. I miei genitori e miei insegnanti del liceo Casnati mi hanno trasmesso questi valori e sono contento di averli messi in pratica, ma sono certo che ci siano in giro tanti bravi ragazzi come me».
(da agenzie)
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Giugno 8th, 2025 Riccardo Fucile
“IL POPOLO HA PARLATO. UN NUOVO PARTITO È NECESSARIO”. È PRONTO ANCHE IL NOME: “AMERICA PARTY” … LA FORMAZIONE DI MUSK È ACCREDITATA DI UN 15% DI CONSENSI
Elon Musk ha cancellato da X il post in cui giovedì, senza mostrare prove, aveva accusato Donald Trump di essere un pedofilo. Ma non è bastato a calmare le acque.
Il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato la fine dei rapporti con l’ex alleato e lo ha minacciato: se Musk dovesse finanziare i candidati democratici che corrono contro i repubblicani, ha detto Trump parlando a Nbc News , «pagherebbe conseguenze molto gravi».
Il tycoon ha spiegato di non avere nessuna intenzione di ricucire il rapporto con Musk. «Ha fatto una cosa molto brutta — ha commentato — è stato molto irrispettoso. Non puoi mancare di rispetto alla presidenza». Quando gli hanno chiesto se ritenesse
concluso il rapporto, Trump ha risposto: «Presumo di sì».
La chiusura arriva nelle ore in cui molti si chiedono se davvero, come aveva suggerito lanciando un sondaggio su X, Musk stia pensando di fondare un proprio partito, di matrice nazionalista. L’80 per cento dei 5,6 milioni di votanti ha risposto sì alla domanda del miliardario sudafricano, che aveva chiesto ai suoi 220 milioni di follower se fosse arrivato il momento di creare un partito di centro. Il post è stato visto da oltre cento milioni di utenti. Il nome del potenziale nuovo partito, “America Party”, è stato suggerito dai follower. Musk ha sentenziato: «Il popolo ha parlato.
Un nuovo partito è necessario in America». Il gelo mostrato da Trump potrebbe spingere Musk ad accelerare il suo progetto politico.
L’ipotesi spaventa i repubblicani, perché il partito di Musk è accreditato di un 15 per cento di consensi, e andrebbe a pescare nel bacino di elettori non progressisti, con un nuovo effetto Ross Perot, il miliardario texano che si candidò da indipendente nel ’92, finendo per indebolire George W. Bush, battuto dal democratico Bill Clinton. Molti hanno lanciato appelli al miliardario sudafricano a ripensarci.
Il caso Epstein riguarda il finanziere morto in carcere nel 2019 dopo essere stato arrestato con l’accusa di aver creato un harem di ragazzine per soddisfare i piaceri sessuali dei suoi amici.
Musk ha suggerito che nel dossier ci fosse anche il nome di Trump — finora citato solo in un’agenda telefonica e nel registro di volo del jet privato di Epstein — e che la storia fosse stata insabbiataper non comprometterlo.
Trump sa che l’ombra sulla pedofilia è destinata a restare fino a quando il dipartimento di Giustizia non renderà pubbliche tutte le carte. La ministra Pam Bondi, fedelissima del presidente, aveva
annunciato il primo giorno del suo incarico che avrebbe desecretato tutti i documenti. Cento pagine erano state consegnate, in anteprima, a blogger e influencer di destra, che si erano fatti fotografare trionfanti, con i fogli in mano, fuori dalla Casa Bianca. Invece restano segrete altre duemila pagine.
L’accusa lanciata da Musk ha tolto un’arma alla base complottista Maga che da anni sosteneva come dietro la morte di Epstein — suicidio secondo l’Fbi, omicidio secondo i cospirazionisti — ci fossero i democratici, decisi a nascondere il coinvolgimento di big del partito e famosi donatori. Sostenerlo ora sarà più difficile.
(da agenzie)
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Giugno 8th, 2025 Riccardo Fucile
“SARA’ L’ANNO PEGGIORE DI SEMPRE”… IL PROBLEMA DEI RISARCIMENTI
Il capo della Iata, l’organizzazione mondiale delle compagnie aeree, lancia l’allarme
sul traffico aereo in vista della stagione estiva. Il rimpallo di responsabilità tra vettori e aeroporti su chi deve rimborsare i voli in caso di ritardo
L’estate 2025 potrebbe rivelarsi la stagione più funestata dai ritardi aerei per i viaggiatori europei. Tutta colpa della grave carenza di personale specializzato che opera nelle torri di controllo e nei centri radar distribuiti in tutto il continente. Willie Walsh, che guida la Iata (Associazione internazionale del trasporto aereo), non usa mezzi termini nel descrivere la situazione durante l’assemblea annuale tenutasi a Nuova Delhi. Il Corriere della Sera cita la sua previsione allarmante: «Andrà decisamente peggio degli ultimi 20-30 anni». Il paragone è con l’estate 2024, già considerata problematica per i ritardi record registrati sulle rotte aeree dal 2010 in poi. Con buona pace di chi ha programmato le vacanze tra scali e coincidenze spesso risicate.
I numeri del disastro annunciato sui voli
Eurocontrol, l’organismo di controllo del traffico aereo europeo, ha elaborato stime preoccupanti per l’anno in corso. I calcoli indicano ritardi medi per ogni singolo volo compresi tra 2,02 e 2,54 minuti lungo le rotte principali. Tradotto in termini assoluti, significa oltre 70mila minuti di ritardo cumulativo ogni giorno, una cifra che supera di gran lunga l’obiettivo prefissato di 0,9 minuti per volo. L’impatto sui passeggeri è tangibile: una percentuale pari al 10% dei collegamenti aerei accumula ritardi significativi, con arrivi che slittano mediamente di 25-30 minuti rispetto agli orari programmati.
La vera causa dei problemi oltre al maltempo
Walsh punta il dito contro una pratica diffusa nel settore: l’utilizzo delle condizioni meteorologiche come giustificazione per mascherare problematiche più profonde. «Il meteo viene usato da molti fornitori di servizi di traffico aereo per mascherare un problema di risorse», sostiene l’ex vertice di Iag, la holding che comprende British Airways, Iberia, Vueling e Aer Lingus. La sua analisi va oltre: «I gestori degli spazi aerei europei non hanno affrontato i cambiamenti fatti dalle compagnie per migliorare
l’efficienza». Un’accusa diretta a chi dovrebbe garantire la fluidità del traffico aereo continentale.
Mancano i controllori di volo: le zone più critiche
La diagnosi è chiara secondo il dirigente Iata: «L’offerta dei controllori di volo non tiene il passo con la domanda di mercato». I dati di Eurocontrol confermano questa lettura, quantificando in un range del 10-20% il deficit di personale qualificato operativo nelle strutture di controllo. Le zone più critiche includono diversi paesi strategici: Spagna, Germania, Grecia, Ungheria, Croazia e Serbia stanno già sperimentando le conseguenze di questa carenza con accumuli significativi di ritardi. Walsh esprime soddisfazione per il riconoscimento ufficiale del problema: «Sono contento che Eurocontrol lo stia mettendo in evidenza, perché lo denunciamo da tempo. Ora ammettono che non avevano le risorse giuste. E devono sistemare la cosa. È semplice. Devono risolverlo, devono mettere le risorse giuste nei posti giusti».
Il progetto «Cielo Unico Europeo» rimasto a terra
Il dirigente richiama l’attenzione su un progetto europeo mai decollato: il Cielo Unico Europeo, concepito per centralizzare la gestione del traffico aereo continentale. «Sarebbe stato più economico, più efficiente, più sicuro e migliore per l’ambiente», commenta Walsh, sottolineando come questa iniziativa rimanga ferma alle intenzioni da anni.
La questione dei risarcimenti: chi deve pagare?
Secondo la logica di Walsh, la responsabilità finanziaria dovrebbe ricadere su chi causa i disagi: «Siccome gran parte dei ritardi è dovuta proprio ai controllori di voli, questi dovrebbero al 100% farsi carico di risarcire i passeggeri». Tuttavia, il dirigente mostra scetticismo sulle possibilità che questo avvenga: «Ma non credo che succederà. È una vergogna». La critica si estende al sistema
normativo europeo, in particolare al regolamento Ue261 che disciplina i risarcimenti passeggeri: «Si pensava che il modo per migliorare le prestazioni fosse multare le compagnie aeree, viste come il problema, se non rispettavano gli standard». Senza dimenticare l’ultimo intervento di Bruxelles, che ha aumentato il tempo di ritardo necessario per far scattare i rimborsi.
Che cosa è successo a Heathrow
Walsh cita il caso dell’aeroporto londinese di Heathrow per illustrare quello che considera un atteggiamento problematico: «Ora le compagnie aeree vengono multate perché i controllori di volo hanno problemi o perché, come nel ridicolo caso di Londra Heathrow, l’aeroporto chiude». Particolarmente critico verso le dichiarazioni del vertice dello scalo: «Il ceo ha detto che non era colpa loro, non hanno responsabilità, hanno fatto un ottimo lavoro e ne è molto orgoglioso. Ma il fatto che se ne stia lì a dire che non hanno responsabilità dimostra quanto siano arroganti, perché non vedono alcun rischio nel proprio fallimento»
Sistema normativo sotto accusa
La valutazione complessiva di Walsh sul quadro regolamentare è severa. Definisce la situazione «un fallimento della regolamentazione perché non ha prodotto i risultati sperati». Come prova di questo atteggiamento, cita una prassi comune: «La prima cosa che si legge sui siti degli aeroporti quando c’è un guasto è “Contatta la tua compagnia aerea”». La conclusione del dirigente Iata è a difesa delle compagnie aeree: «Le compagnie aeree hanno migliorato le proprie prestazioni in modo significativo, ma sono vittime delle scarse prestazioni degli aeroporti e in particolare dei fornitori dei servizi di aeronavigazione. Ecco perché non è giusto compensare se il volo è in ritardo per colpa dei controllori di volo».
(da agenzie)
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Giugno 8th, 2025 Riccardo Fucile
“DOPO L’INVASIONE RUSSA IN UCRAINA E’ CAMBIATO TUTTO”
«Nel Mar Rosso siamo in una situazione di guerra. Le nostre navi in tutto hanno abbattuto 8 droni Houthi: 3 con le artiglierie di bordo e 5 con i missili». Lo dichiara in un’intervista al Corriere della Sera l’ammiraglio Enrico Credentino, Capo di Stato maggiore della Marina Militare, che inquadra la situazione attuale nel contesto più ampio dei cambiamenti geopolitici globali. Secondo Credendino «il mondo è cambiato con l’attacco voluto da Putin contro l’Ucraina tre anni fa», un evento che ha ridefinito gli equilibri strategici anche nel Mediterraneo.
La presenza russa nel Mediterraneo: 15 navi da guerra monitorate
«Tra il 2022 e 2023 ci siamo trovati nel Mediterraneo a dover monitorare 15 navi da guerra e tre sommergibili russi, di cui uno balistico», spiega l’ammiraglio Credendino. Le unità navali russe «per lo più facevano base a Tartus, in Siria» e rappresentavano solo
una parte della flotta di Mosca, considerando che «non potevamo ignorare la loro cinquantina di navi nel Mar Nero». La caduta del regime di Bashar Assad in Siria ha aperto nuovi scenari per la presenza russa nella regione. «Mosca dopo la fine del regime sta trattando con le nuove autorità siriane per l’utilizzo del porto di Tartus e intanto cerca di sfruttare il porto libico di Derna», rivela il Capo di Stato maggiore.
L’incubo libico: «Una flotta russa a Derna sarebbe un dramma»
La possibilità di una presenza navale russa stabile in Libia preoccupa particolarmente i vertici militari italiani. «La flotta russa in Libia per noi sarebbe un dramma. Ma stanno ancora provando», ammette Credentino, spiegando che «Mosca vorrebbe una base a Derna, anche perché Tartus, pur essendo ampio, non dispone di bacini di carenaggio e dunque le manutenzioni importanti vanno fatte nei porti del Baltico». La sorveglianza delle acque libiche è diventata una priorità strategica. «Quasi sempre le nostre navi al largo della Libia sono seguite da una nave spia russa, spesso camuffata da peschereccio, ma in realtà carica di sensori e antenne», rivela l’ammiraglio.
Gli equilibri navali: Nato dominante nel Mediterraneo
Nonostante le tensioni, gli equilibri di forza nel Mediterraneo restano favorevoli all’Alleanza Atlantica. «Il Mediterraneo è dominato dalle flotte Nato e tra le flotte regionali quella turca è la più potente», osserva Credendino, distinguendo la situazione da quella del Baltico «dove i russi sono presenti in forze».
Il futuro della Marina: portaerei nucleare e droni entro il 2040
Per quanto riguarda gli investimenti futuri, la Marina Militare ha delineato un piano ambizioso. «La Marina ha un progetto di budget da qui al 2040, si pensa a una portaerei ad energia nucleare, ma anche a droni di ogni tipo e dispositivi per affrontare la minaccia
della cyberwar», anticipa l’ammiraglio.
La modernizzazione riguarderà l’intera flotta: «Tutta la nostra sessantina di navi sarà dotata di ampi spazi per imbarcare droni», specifica Credendino, sottolineando l’importanza dei sistemi senza pilota nelle operazioni navali future.
Il piano per far crescere il budget della Difesa
Il governo ha dato il via libera all’incremento delle risorse destinate alla Difesa. «Il governo ha concesso la luce verde per far lievitare il budget della Difesa dall’1,4 al 2 per cento del Pil in ottemperanza agli obblighi della Nato», conferma il Capo di Stato maggiore. Tuttavia, secondo Credendino, la vera priorità rimane il potenziamento degli organici. «Il mio sogno è avere più personale. Ma sono temi che competono al ministro della Difesa», precisa, fornendo un termine di paragone significativo: «Io mi limito a ricordare che marine simili alla nostra, quali sono quelle di Francia e Gran Bretagna, contano circa 40.000 effettivi».
(da agenzie)
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