FUGA DI ARTEM USS, GLI AMERICANI, INCAZZATISSIMI, HANNO RINVIATO LA VISITA DELLA MELONI ALLA CASA BIANCA, IN AGENDA TRA MAGGIO E GIUGNO
BIDEN VOLEVA USS PER SCAMBIARLO CON IL GIORNALISTA DEL “WALL STREET JORNAL”, ARRESTATO DA PUTIN PER SPIONAGGIO … ARTEM USS AVEVA SOLIDI RAPPORTI CON GRANDI SOCIETÀ ITALIANE. SUO PADRE È IL PRINCIPALE ARTEFICE DEL MEGA PROGETTO “VOSTOK OIL”: UNA TORTA DA MILLE MILIARDI DI DOLLARI, DI CUI MOLTE AZIENDE ITALIANE BRAMAVANO UNA FETTA
La rocambolesca fuga di Artem Uss, imprenditore russo evaso il 22 marzo da Milano, dove era ai domiciliari, si inserisce in un contesto complesso e frastagliato di affari, soldi e relazioni.
A partire dal 24 febbraio del 2022, scoppio della guerra in Ucraina, gli imprenditori russi, tra cui lo stesso Uss e suo padre, Alexander, erano coccolati e omaggiati dalle grandi aziende italiane. Le possibilità di business offerte dagli oligarchi vicini al Cremlino erano allettanti e non c’era ragione per non approfittarne.
In questo contesto Artem Uss ha costruito un’ampia rete di relazioni in Italia, dove sosteneva di risiedere (ed ecco perché gli hanno concesso i domiciliari a Basiglio) con uomini d’affari, capitani d’impresa e furbacchioni di vecchio conio.
Le vagonate di rubli piovute sul nostro paese erano indirizzate a progetti molto diversi: prima della guerra i russi hanno investito in ville, aziende vinicole, villaggi vacanze come il Forte Village (rilevato nell’ottobre 2014 dai fratelli Bazhaev per 180 milioni di euro).
Ma il boccone grosso era un altro: il mega progetto ”Vostok Oil”, una “cornucopia da mille miliardi di dollari. Un eldorado di giacimenti da sfruttare e di impianti da costruire, superiore alla megalomania di qualunque sceicco: 115 milioni di tonnellate di idrocarburi, decine di raffinerie, ottomila chilometri di condotte”, come ha scritto su “Repubblica” Gianluca Di Feo.
Un visionario piano di conquista energetica dell’Artico, dietro cui c’era proprio il padre del fuggitivo Artem Uss, insieme a Igor Sechin, ex colonnello del Kgb e boss di Rosneft, ritenuto da molti la persona più vicina a Vladimir Putin.
”Vostok Oil” era un’occasione troppo ghiotta per molte imprese italiane, che infatti si sono lanciate a capofitto per accaparrarsi un posticino al tavolo delle trattative.
Scrive Di Feo: “Un mese prima dell’attacco contro Kiev, Putin in persona ne ha parlato agli imprenditori della Camera di commercio italo-russa: ‘I produttori italiani di attrezzature ad alta tecnologia stanno anche contribuendo attivamente al progetto Vostok Oil, che Rosneft sta realizzando nel territorio di Krasnoyarsk’. Tutti questi affari dovevano passare dagli uffici di Alexander Uss, che avrebbe personalmente incontrato gli emissari di aziende come Eni, Danieli e Saipem oltre a promuovere attraverso l’Istituto per il Commercio Estero altri piani di sviluppo nella sua regione.
Aggiunge un po’ di pepe “Il FattoQuotidiano.it”: “Fu il direttore generale per la promozione del Sistema Paese del ministero degli Esteri, l’ambasciatore Enzo Angeloni, che nel 2020 prospettava “importanti ricadute per numerose imprese del nostro Paese. Vostok Oil prevede la costruzione di 15 città industriali, due aeroporti, un porto, 5.500 chilometri di strade e ponti”. Putin in persona ne parlò con gli imprenditori della Camera di commercio italo-russa, con la milanese Maire Tecnimont che veniva indicata come vincitrice della commessa da 1,1 miliardi per la costruzione di una raffineria”.
Continua il sito diretto da Peter Gomez: “… il principale artefice della presenza italiana in Vostok Oil è sempre stato Antonio Fallico, compagno di classe di Marcello Dell’Utri, uomo di Fininvest in Russia dalla fine degli anni Ottanta e il banchiere che può essere considerato il punto di collegamento tra le aziende italiane e la Federazione.
Fallico è soprattutto l’uomo delle fortune di Banca Intesa a Mosca. I rapporti tra l’istituto italiano e Rosneft sono radicati: “Nel 2016 – scrive Repubblica – ha partecipato alla privatizzazione del colosso energetico russo e l’anno dopo ha guidato un pool di banche che ha finanziato con 5,2 miliardi di euro l’acquisto del 19,5% delle quote. Un’operazione così importante per il Cremlino da avere convinto Putin a consegnare onorificenze di Stato ai vertici dell’istituto”.
Tant’è che Fallico, dal 2008 è console onorario della Federazione Russa, nonché presidente dell’associazione “Conoscere Euroasia”. Fino al punto che, lo scorso ottobre, a guerra iniziata, il potentissimo boss di Rosneft Sechin ha parlato – in teleconferenza perché bersaglio delle sanzioni internazionali – subito dopo Fallico al Verona Eurasian Economic Forum, davanti alla platea degli irriducibili putiniani d’Italia: “Lo sviluppo procede secondo i piani stabiliti. Saremo lieti di vedere tutti i nostri amici tra i partecipanti a Vostok Oil”.
La centralità della famiglia Uss all’interno del grande e appetibile piano “Vostok Oil” deve aver creato non poche difficoltà a molti uomini d’affari del nostro Paese, preoccupati che la detenzione di Artem potesse compromettere future buone occasioni di business. Chi è abituato a fatturare vive la guerra in Ucraina come una fastidiosa zavorra ai bilanci e lancia già lo sguardo alla fine del conflitto
Ecco perché l’incredibile fuga di Artem Uss deve aver rallegrato chi nella Russia in questi anni, e in quelli a venire, vede solo un partner preziosissimo. Ha masticato amaro, invece, chi immaginava che Uss, usato da Putin per acquistare componenti tecnologiche militari da usare nella guerra in Ucraina, venisse giudicato per i suoi crimini.
A rendere più indigesta l’evasione sono i dettagli emersi in questi ultimi giorni, elementi talmente surreali da suscitare più di un interrogativo sulla reale efficacia dei controlli e delle misure adottate.
Come scrivono Davide Milosa e Valeria Pacelli sul “Fatto quotidiano” di oggi, “prima dell’evasione del 22 marzo il braccialetto elettronico di Uss ha inviato segnali per decine di volte. Tradotto: Uss, a partire dal 2 dicembre, ha tentato di manomettere il braccialetto o è uscito di casa”.
Tra i più incazzati per la fuga di Uss ci sono ovviamente gli americani. Da Washington, ben prima che i buoi scappassero, avevano tentato in ogni modo di alzare la soglia dell’attenzione italiana sull’ingombrante detenuto.
Dalla richiesta di estradizione alla segnalazione sull’inopportunità di concedere a Uss i domiciliari, fino ai due caccia F-16 fatti alzare in volo da Aviano dopo la fuga del russo, gli americani hanno fatto capire quanto ci tenessero ad avere nelle loro mani l’imprenditore.
Dagospia è in grado di rivelare il motivo: Uss poteva essere una pedina di scambio di alto livello per riportare in patria il giornalista del “Wall Street Journal”, Evan Gershkovich, arrestato in Russia con l’accusa di spionaggio. Il reporter, che stava indagando sul complesso industriale e militare russo, viene indicato dal Cremlino, ma non solo, come molto vicino alle agenzie di intelligence statunitensi, alis Cia. Artem Uss poteva essere sfruttato come il “mercante di morte”, Viktor Bout, consegnato a Putin in cambio della cestista Brittney Griner. E invece, nisba! S
arà difficile convincere la Casa Bianca che la colpa non è né del governo né dei magistrati, né delle agenzie di sicurezza, ma di un combinato disposto di sfortuna e imperizia.
Come notava ieri, su “Repubblica”, Stefano Folli, “la visita a Washington (di Giorgia Meloni) di cui si parla da tempo non si è ancora realizzata”. Come a dire, la ritorsione diplomatica di Washington è già in corso. E non si sa a cosa potrà portare…
È questo che preoccupa maggiormente il governo della turbo-atlantista Giorgia Meloni che gia sognava di atterrare alla Casa Bianca a fine maggio, primi di giugno.
(da Dagoreport)
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