A LAMEZIA TERME, TERRA DI ‘NDRANGHETA, LO STATO PENSA BENE DI CHIUDERE IL TRIBUNALE
OCCUPATA PER PROTESTA DA SINDACO, AVVOCATI E CITTADINI LA SEDE DELL’UFFICIO GIUDIZIARIO: “RIMARREMO QUA FIN QUANDO IL MINISTERO NON REVOCHERA’ LA DECISIONE”
Una volta si occupavano le scuole, le fabbriche, le strade.
A Lamezia Terme, invece, le barricate si alzano in difesa del tribunale, quel palazzo di giustizia che rischia di essere soppresso in nome della “spending review” che, al netto del giro di parole, significa tagli alla spesa pubblica.
Un territorio di “soli” 140mila abitanti e un numero di magistrati in servizio inferiore a 20, secondo gli esperti del Guardasigilli, non sarebbero sufficienti a giustificare la presenza di un tribunale che potrebbe essere accorpato a quello di Catanzaro, sede della Direzione distrettuale antimafia e della Corte d’appello per le cause istruite a Lamezia.
Piccolo particolare: la rimodulazione degli uffici giudiziari non ha tenuto in considerazione la produttività del tribunale, ma soprattutto il fatto che siamo in terra di ‘ndrangheta, in un territorio in cui, da diversi anni, è ripresa la faida tra le cosche mafiose Giampà e Torcasio.
Si spara sulle saracinesche dei negozi, si mettono bombe.
Il parroco antimafia don Panizza viene intimidito un giorno sì e l’altro pure.
E lo Stato che fa?
Decide di sopprimere un ufficio che il 14 agosto compirà 150 anni.
Era il 1862, infatti, quando fu istituito con un decreto regio. Lamezia Terme è la terza città della Calabria per numero di abitanti ed è una delle capitali economiche dell’intera regione.
Se il Tribunale dovesse essere chiuso, undici sindaci del comprensorio si dimetteranno in blocco.
Si sono ritrovati nei giorni scorsi a Piazza Repubblica, dove si affaccia il palazzo di giustizia, per manifestare il proprio “no” all’ipotesi di una scellerata revisione degli uffici giudiziari. In testa, il primo cittadino di Lamezia Terme, Giannetto Speranza, che ha definito il tribunale “presidio di legalità sul territorio”.
Motivo per il quale ieri il sindaco è passato ai fatti depositando dal notaio le sue dimissioni condizionate, ma irrevocabili, alla decisione del governo sul futuro del tribunale che dovrebbe avvenire entro qualche mese.
“Se Monti — spiega il sindaco — confermerà la linea di Berlusconi e verrà eliminato il Tribunale di Lamezia, io me ne sono già andato. Però fino all’ultimo faccio la mia battaglia. Non esiste che in Italia si possa riorganizzare la giustizia sulla base di criteri venuti fuori per combinazione. Lamezia è l’area centrale della Calabria. Da questo punto di vista, le mie dimissioni non sono una minaccia campanilistica nei confronti di un governo che tiene in vita tribunali che non hanno storia, in zone dove non c’è la criminalità che abbiamo in Calabria. Se a Lamezia lo tolgono, significa che non posso fare più il sindaco. Che possibilità c’ho di combattere la cultura mafiosa?”.
Riflessioni che Giannetto Speranza ha già rappresentato personalmente ai ministri Cancellieri, Barca e Catania e che, il 27 aprile scorso, sono state al centro di una lettera al Guardasigilli Severino, a cui ha fatto presente che “un approccio puramente ‘matematico’ non può risolvere il grave problema del deficit di giustizia e di legalità che vive una realtà di frontiera come la Calabria”.
Piuttosto servirebbe “un rafforzamento di risorse e di organico”.
È un tribunale che funziona. Da giorni ormai, il presidente Pino Spadaro lo sta ripetendo. Durante un’assemblea pubblica ha smentito le teorie sui criteri alla base dei tagli programmati da via Arenula: “La produttività dei magistrati lametini, in base al numero di provvedimenti giudiziari emessi, è superiore alla media del distretto e addirittura alla media nazionale”.
Dal Ministero si cerca di raffreddare gli animi: “Nessuna decisione è presa. La pratica è in istruttoria”.
Non basta per interrompere lo stato di agitazione promosso dal presidente degli avvocati Gianfranco Barbieri e dal comitato civico “Salviamo il nostro tribunale di Lamezia Terme”, guidato dall’avvocato Tommaso Colloca che, per protesta, assieme a una ventina di colleghi ha occupato il palazzo di giustizia all’ingresso del quale, oltre a una bara a simboleggiare la morte di un’istituzione, è stato allestito un gazebo per sensibilizzare i cittadini che già in quindicimila hanno firmato un documento per scongiurare provvedimenti drastici del governo.
Ci sono stati anche alcuni momenti di tensione.
Lunedì sera è intervenuta la celere per liberare il palazzo.
Alcuni avvocati, quindi, sono stati identificati dalla polizia di Stato che, paradossalmente, potrebbe segnalarli alla stessa autorità giudiziaria che stanno cercando di difendere.
Nel frattempo l’occupazione è stata sospesa, ma rimane il presidio davanti alla piazza. “Non ce ne andiamo — dicono quanti occupano — fino a quando dal ministero della Giustizia non arriverà la conferma è stata abbandonata l’idea di sopprimere il tribunale”.
Lucio Musolino
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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