ALEMANNO, LO SCERIFFO DI TREVISO E SCAJOLA: I PATRIARCHI ROTTAMATI
QUANDO ANCHE IL POTERE SI CONSUMA E IL TERRITORIO TI RIVOLGE LE SPALLE
Ogni tanto la rottamazione viene da sè, senza pasticci, senza prepotenze, come puro fatto di natura.
Inutile recriminare, i troni delle piccole patrie si svuotano e il comando sfugge di mano.
I padreterni, i patriarchi, i padroni e i santi patronali si ritrovano all’improvviso nel recinto degli sconfitti, alla mercè della loro stessa sottomissione.
Vale la pena di osservarli, quest’oggi.
Alemanno in tv con il braccialettone tribale che gli penzola dalla manica, due ne indossa la moglie Isabella, «Io voto e scelgo Alemanno » c’era scritto, chissà di chi è stata l’idea, chissà quanti ne hanno ordinati, bianchi e bordeaux, chissà quanto sono costati.
Oppure Gentilini, lo Sceriffo di Treviso, 84 anni tra due mesi, che anche ieri ha parlato di sè in terza persona, come sempre ha fatto, incurante di sembrare un’ansiogena macchietta, una specie di oracolo dell’eccesso truculento, «il Vangelo secondo Gentilini » era la premessa, e un po’ anche l’esito.
Ma per una volta le sue parole hanno un che di drammatico: «Gentilini ha chiuso la propria testa e la propria bocca, si è chiusa un’era e Gentilini è finito». Finito.
La rottamazione, termine ambiguo e abbastanza infelice, procede per strappi e approssimazioni. Ciò nonostante, colpisce che ci sia anche chi non vuole o addirittura non riesce a riconoscerla. «In tempi brevi il Pdl deve riformarsi e attrezzarsi perchè si ritorni alle urne il prima possibile…». Questo manda a dire a caldo Claudio Scajola, dopo che il «suo» candidato a Imperia si è fermato a un misero 23,86 per cento.
L’ex ministro ha perso malamente quello che lui stesso in un superbo proclama preelettorale, «Sono stato il primo ministro del Ponente nella storia d’Italia, sono stato il personaggio politico ligure più significativo degli ultimi vent’anni», aveva definito: «Un referendum sulla mia persona». Eccolo dunque servito, «Sciaboletta», come è chiamato dalle sue parti: l’elsa è instabile, la lama arrugginita, il rigattiere si è già fatto vivo.
Scajola, Alemanno, Gentilini. Difficile tenere insieme tre figure politiche e tre storie locali così diverse senza rendersi conto che il collante è la hybris, la dismisura che lungo l’ideale triangolo che collega Roma, la Marca e la Liguria «scatena le potenze infere castigatrici» (Ceronetti), in questofrangente sotto forma di umili schede elettorali.
Fino all’ultimo nella capitale si è imposto l’eccesso.
Martedì scorso, non pago evidentemente delle immagini che sui muri lo raffiguravano con il gatto di casa e sui giornali con un esponente di un clan non proprio raccomandabile, su twitter Alemanno ha pubblicato una incredibile foto di se stesso a capo chino, nell’atto di firmare un assegno.
A quattro giorni dalle elezioni, l’auto-didascalia offre un piccolo saggio di disinteressata eleganza promozionale: «Ho donato un contributo personale di 500 euro al Centro anziani di Val d’Ala, Montesacro » – là dove pure viene da chiedersi come avrebbe potuto, il sindaco, «donare» un «contributo pubblico».
E davvero Roma si meritava qualcosa di meglio, anche come ricordo, e perfino nel modo di perdere.
I raid anti-prostitute in moto; il puntiglio sul palco della manifestazione finale al Colosseo, negato dalla Sovrintendenza; l’offensiva «valoriale», che te la raccomando; il vano richiamo al pericolo dei rom; le estreme mirabolanti promesse per i gonzi…
Per quanto sconfitto, è già pronto per Alemanno, Aledanno, Retromanno, Alemagno, comunque un posto nel prossimo Parlamento europeo, se non altro perchè a Roma «nun se butta gnente».
Non lo stesso si potrà dire di Gentilini, irredimibile nonnetto che per vent’anni ha alimentato un piccolo grottesco culto della personalità e a cui Roberto Maroni un giorno rese scherzoso omaggio inginocchiandosi al suo cospetto.
«Nulla splende sotto il sole – sosteneva lo Sceriffo in maschera con pistole giocattolo – che io non abbia già fatto». Io, io, io.
Una targa nel suo ufficio prima di sindaco e poi di prosindaco avvertiva l’incauto visitatore: «Qui dopo Dio comando io».
Il che gli ha consentito di esagerare discettando e in qualche modo anche operando, purtroppo, su finti mendicanti e panchine anti-bivacco, figli di «razza Piave» e immigrati da prendere a schioppettate, «culattoni» e pacche sul sedere.
Fino a quando, dopo l’ennesima invocazione della «pulizia etnica», un tribunale ha condannato Gentilini per istigazione all’odio razziale, divieto di tenere comizi per tre anni, cessati i quali ha voluto riprovarci, ma amareggiandosi, giacchè gli dei sanno essere crudeli con chi li sfida.
Sciaboletta Scajola è uno di questi, ma certo più astuto di Aledanno e assai meno pittoresco Gentilini, per quanto circonfuso anche lui da una specialissima aura che da ogni disgrazia politica (la galera, le stupide e cattive chiacchiere, la casa al Colosseo compratagli a sua insaputa) l’ha visto sempre e sistematicamente risorgere, in linea di massima con la benedizione di Silvio Berlusconi.
Beh, già escluso dalle liste alle elezioni politiche, stavolta il personaggio versa in condizioni piuttosto catastrofiche.
«Non permetterò – aveva promesso – che una vita di sacrifici e impegno per il mio territorio venga descritta come un esempio di malaffare ».
Ma proprio questo in fondo è il guaio che unisce e in una certa misura affratella gli sconfitti: che non gli è più dato permettere o non permettere.
Anche il potere si consuma, ma più ancora consuma chi ne ha fatto cieco uso, senza comprendere che va e viene, ma soprattutto scappa e a volte perfino si ribella
Filippo Ceccarelli
(da “la Repubblica“)
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