ARRIVA LO “SBLOCCA TUTTO”, MANO LIBERA NEGLI APPALTI PER SEI ANNI
PER CHI NON AVESSE ANCORA CAPITO PERCHE’ QUALCUNO HA VOLUTO DRAGHI A PALAZZO CHIGI
Se, come si suol dire, tutto andrà come previsto, già oggi il governo potrebbe licenziare il decreto con le misure cardine del Piano di ripresa (Pnrr) che deve spendere i miliardi del Recovery fund.
Un unico provvedimento che disegna la governance, cioè il meccanismo di gestione e controllo dei fondi – incardinata a Palazzo Chigi e con i ministeri in mano ai tecnici scelti dal premier Mario Draghi – ma soprattutto le ennesime “semplificazioni” in materia di appalti.
L’ultimo decreto risale solo a luglio scorso ma stavolta, con la scusa della transizione ecologica e la fretta di spendere i fondi europei, lo “sblocca cantieri” arriva in un formato mastodontico e durata assai lunga: almeno i sei anni dell’arco di tempo del piano.
Queste semplificazioni disegnano un quadro che stravolge il sistema di appalti e regole, e quindi controlli, dando ai progetti del Pnrr una corsia preferenziale fatta di tempi dimezzati, autocertificazioni in deroga, autorizzazioni veloci (fast track) e silenzio-assenso potenziato, nell’idea, cara a tutti i governi, che ci siano forze ancestrali annidiate nella burocrazia che frenano l’economia.
Dal testo dovrebbero saltare alcuni dei punti più contestati negli ultimi giorni. Nelle bozze, per esempio, non compare più l’allargamento del massimo ribasso come criterio cardine per assegnare le gare.
La naturale conseguenza della misura, cioè la liberalizzazione totale del subappalto, è rimasta invece appesa al confronto con i sindacati, convocati ieri a Palazzo Chigi dopo la rivolta scoppiata all’uscita delle prime bozze che eliminavano qualsiasi vincolo. Il negoziato è andato avanti fino a sera. Palazzo Chigi insiste sul fatto che tetti rigidi violano le norme Ue e che basti “tutelare i lavoratori e la legalità”.
La realtà è che serve alle imprese per ridurre i costi esternalizzando i lavori. I sindacati aspettano i testi definitivi per oggi prima di esprimersi.
Il grosso del testo resta però sostanzialmente uguale, con tutte le norme critiche raccontate dal Fatto nei giorni scorsi. Palazzo Chigi insiste sulla possibilità di usare “l’appalto integrato”, cioè di affidare progettazione ed esecuzione dell’opera allo stesso soggetto, facendo saltare la distanza tra controllore e controllato. Già previsto dal governo Conte, ora viene esteso per sei anni.
È il famoso general contractor della Legge Obiettivo del governo Berlusconi, travolta dalle inchieste sulle grandi opere. È sempre alla Legge Obiettivo è ispirata la procedura lampo per le “opere di particolare complessità e rilevante impatto”: una lista (dall’Alta velocità Salerno-Reggio Calabria e quella Palermo-Catania) affidata a un “comitato speciale” che delibera in massimo 45 giorni (o si va col silenzio assenso).
Il parere delle Soprintendenze – ce ne sarà una “speciale” per il Pnrr che esautorerà quelle territoriali – e della Commissione Via per l’impatto ambientale (anch’essa costituita ad hoc per il Pnrr) arriveranno direttamente in conferenza dei servizi e avranno effetto di “variante urbanistica”, di fatto aggirando i Comuni e le stazioni appaltanti. Nel testo salgono poi i tetti per gli affidamenti senza gara sotto i 5 milioni di euro.
La parte più inquietante riguarda le opere “ambientali”, impianti per le rinnovabili e quant’altro. Viene dato un via libera semplificato (fast track) con tempi ridottissimi per una serie di opere (il famigerato “Allegato 1-bis”) che con la transizione ecologica hanno poco a che fare, dagli inceneritori (a cui ieri ha aperto il ministro Roberto Cingolani, come leggete a destra) ai grandi gasdotti, alla riconversione delle raffinerie e via discorrendo.
Il testo riduce anche al minimo o sostanzialmente elimina l’obbligo di dover bonificare i terreni agricoli limitrofi ai siti contaminati per poter realizzare impianti “rinnovabili”.
Viene poi confermato il sistema di autorizzazioni ambientali a misura di grandi imprese pensato da Cingolani: azzerati i controlli per gli impianti di energia rinnovabile fino a 10 MW (anche se limitrofi ad aree archeologiche) e consegnato alle Regioni il potere di decidere su quali rifiuti consentire il riciclo industriale (il cosiddetto end of waste), come chiedeva la Lega.
Il testo, come detto, contiene anche la governance del Piano. In cima a tutto ci sarà il premier e una cabina di regia composta dai ministri di volta in volta coinvolti dai progetti, per l’80% in mano ai tecnici, con la possibilità di affidare i poteri sostituivi per esautorare le amministrazioni inadempienti (o si procede con i soliti commissari). Monitoraggio e controllo spettano al Tesoro.
Arriva una prima infornata di assunzioni con un concorso semplificato: 350 tecnici, tutti con contratti a termine.
(da TPI)
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