AVERE DIECI ANNI E SENTIRLI TUTTI
ITALIA 5 STELLE, TRA LA PAURA DEL FLOP E LE CRITICHE A DI MAIO, IL M5S SI FESTEGGIA A NAPOLI… DAL VAFFA AL GOVERNO A TUTTI I COSTI, COM’E’ DIFFICILE DIVENTARE ADULTI
John Wilmot, conte di Rochester e drammaturgo di Carlo II, alla metà del Seicento scriveva una cosa che c’entra con Italia 5 stelle, la festa dei dieci anni del Movimento, e più in generale sulla creatura che fu di Beppe Grillo: “Prima di sposarmi avevo sei teorie su come crescere i bambini; ora ho sei bambini e nessuna teoria”.
Sostituire a bambini potere e governo, e il gioco è fatto.
È cresciuto il grillismo nel paese, è esploso (e poi si è contratto) il grillismo nelle urne. Eppure dieci anni dopo nulla è uguale, tutto si è trasformato, qualcosa si è creato, altro distrutto.
Dal parossismo assembleare e la furia dello streaming a un’oligarchia di comando che, come in tutti i partiti, muove le leve del comando. Dal “mai con i partiti” alle alleanze prima con la destra reazionaria poi con una delle più grandi formazioni socialdemocratiche dell’Occidente.
I 5 stelle arrivano così a Napoli, cercando di darsi tra di loro la forza per dirsi che il governo sia qualcosa in più di avere sei bambini e nessuna teoria, che le grandi battaglie storiche su come guidare il paese (tutte nella buona sostanza corollarie del fondativo “Vaffanculo”) siano ancora i motori gagliardi di quell’onda emozionale che riempì con un fiume di popolo piazza San Giovanni solo sei anni fa, ma sembra una vita.
Ci arrivano, senatori e deputati, con macchine e treni, ossessivamente immortalati sullo sfondo dei selfie dei “cittadini portavoce” che ormai non si schifano più a esser chiamati onorevoli.
Li pubblicano e se li commentano a vicenda, in un tentativo di esorcizzare problemi e divisioni, veleni e contumelie, che riempiono le pagine dei giornali solo perchè esondano dalle chat e dagli sfoghi a margine degli stessi selfisti.
L’ultima regola buttata nel tritacarte (dopo il mai con i partiti, dopo il sempre lo streaming, dopo il non è un’alleanza ma un contratto, dopo il sì alle alleanze) è stata quella che vede come malcapitato protagonista Giancarlo Cancelleri, un “ragazzo fantastico” (cit. Grillo Beppe) della prima ora che è stato promosso da consigliere della Sicilia a viceministro alle Infrastrutture, demolendo il dogma de “il mandato popolare è sacro e va portato a termine”.
Spiegano che sia la cosa che più abbia fatto saltare la mosca al naso a Barbara Lezzi, ex ministra del Sud, pasionaria nel senso più profondo del termine del cinquestellismo come modo di intendere la vita prima ancora che la politica, a dire no, io non sarò a Napoli, che ci vado a fare.
Così come — pare — l’ex collega alla Difesa Elisabetta Trenta, e — sicuramente — quella alla Salute, Giulia Grillo, che su queste colonne ha gelato il cambiamento del cambiamento con un lapidario “non c’è niente da festeggiare”.
Malessere concreto, a sentire il ribollire dei gruppi parlamentari, il coacervo di furie a volte piccine a volte sostanziali che girano sulla testa del capo politico come mosche fastidiose.
Concreto anche perchè la paura del flop è tanta, con il paragone della piazza salviniana a incombere a una sola settimana di distanza.
Spiega uno deputato di certo non lontano dalla leadership: “Ha organizzato tutto il gruppo eventi, con qualche collega napoletano. E il gruppo eventi sono l’ex assistente di Di Battista e l’ex assistente di Riccardo Nuti, non so se rendo”.
Magari il problema fosse questo: “Hanno deciso tutto Di Maio e le persone del suo giro strettissimo, non c’è stato un coinvolgimento, idee, o anche una semplice informazione. Ho letto il programma sul blog come te”.
L’area della mostra d’Oltremare è enorme, l’arena Flegrea pure, che succede se ci sono cinquemila persone come l’anno scorso? Chi ha scelto il posto? Chi ha organizzato la partecipazione?
Domande che rimbalzano di bocca in bocca e che non trovano risposta. Lo spettro è quello della chiusura della campagna elettorale delle europee, nemmeno mille persone a rendere vuota anche la più piccola delle piazze romane, con Alessandro Di battista unico capace di catalizzare flash e entusiasmi, sia pure, già allora, da sotto il palco, questa volta totalmente assente per problemi personali.
Ecco perchè alla comparsata davanti alla Camera per festeggiare il taglio dei parlamentari c’erano sì e no una cinquantina di onorevoli pentastellati a fronte degli oltre duecento eletti. In tarda mattinata gli smartphone sono stati illuminati dal seguente messaggino: “Ci vediamo tutti davanti Palazzo Montecitorio per un flashmob. Ministri, viceministri, sottosegretari e parlamentari sono invitati a partecipare”. “Nemmeno fossimo i soci di una bocciofila”, spiega uno di quelli che stava per andare “ma poi mi hanno detto che c’erano forbicione giganti di carta e allora ho detto ciao”.
La rivoluzione della comunicazione, croce, delizia ed eterno refrain dei 5 stelle da quando i 5 stelle sono emersi dall’extraparlamentarismo, è quella che ha portato l’assoluto outsider Raffaele Trano a toccare incredibilmente quota sessantuno voti nella corsa a capogruppo a Montecitorio, con il leader improvvisato del dissenso che gongolava: “C’è uno spazio nuovo da oggi nel Movimento”.
La dissidenza, si sa, nei 5 stelle è sempre sottotesto, quasi mai testo, sempre secondo livello del racconto, quasi mai capitolo a sè stante.
“Di Maio rimarrà saldamente lì perchè è l’unico che fa”, dice un senatore tutt’altro che dimaiano. E il capo politico è pronto a sparigliare il brancaleonesco fronte che lo avversa, presentando a Napoli la squadra che lo affiancherà .
La segreteria del partito, si direbbe se culturalmente il grillismo non avesse ormai permeato la falda acquifera di un paese in cui dire partito sembra una parolaccia, in cui persino il lessico di Sergio Mattarella si è piegato all’understatement del “forze politiche”, in cui l’intero Parlamento si auto taglia con una riforma che così com’è ha ben poco senso, figlia di un unico genitore, quello dell’anticasta che prima Grillo e poi Di Maio hanno sposato, matrimonio che ne ha fatto le fortune.
Basterà o non basterà , sarà olio sull’acqua che bolle o fonte di nuovi malumori o rivendicazioni, la segreteria del partito 5 stelle è l’ennesimo tassello di una creatura che cambia continuamente stracciando le sue mille effimere carte fondative, mantenendo come tema fondamentale della propria comunicazione politica la diversità , l’eccezionalismo nonostante la scatoletta sia stata aperta e si sia diventati tonno.
Nel 2014 al Circo Massimo, il primo Italia 5 stelle fu quell’evento nuovo e strano segnato profondamente dal dadaismo di Grillo, dalle sue comparsate casuali e totalmente estemporanee, dal suo comizio su una gru a cinquanta metri dalla gente in festa, dai suoi strali contro il “jobà x”, come masticava il jobs act dell’arcinemico Matteo Renzi, oggi incredibilmente alleato.
Cinque anni dopo è l’evento del governo bis, degli amici ghibellini dopo i fratelli guelfi (o viceversa, fate voi), del capo politico seduto accanto al presidente del Consiglio, anche lui 5 stelle ma guai a dirselo, per un’intervista doppia che suona un po’ come voglia di mostrare unità e un po’ come attenzione a non lasciare spazio all’unico altro leader possibile nell’universo pentastellato.
Con buona pace di Di Battista, e anche di Roberto Fico, che calcherà quel palco qualche minuto dopo, che in fondo il leader non lo ha mai voluto fare.
È l’evento di Casaleggio, Davide, dopo che per anni i riccioli del padre hanno preso il vento sui caddy da golf che lo trasportavano da una parte all’altra delle arene, già indebolito dal male che lo ha portato via, considerato la vera mente pianificatrice di rapporti e convenienze del grillismo di governo, di strategie e posizionamenti, di nomine e defenestrazioni.
E oggi sotto il riflettore per l’obolo parlamentare dato a Rousseau, piattaforma demonizzata e ridicolizzata per anni da quegli stessi che oggi devono a quel luogo impalpabile se sono diventati forza di governo.
“Rousseau? Rispettiamo i meccanismi di democrazia degli altri”, disse un Graziano Delrio aspettando la valanga di sì che hanno schiuso ai suoi le porte del governo, con buona pace delle opacità così pervicacemente attaccate, delle condanne del Garante della privacy così ostentatamente rilanciate dalla fu propaganda del Pd. I soldi, dicevamo.
Croce e delizia di un Movimento che sui soldi si è sempre accapigliato, per rendicontazioni mancate o truffate, per finanziamenti e autofinanziamenti, per penali e ricatti, dove la prima accusa a chi se ne è andato nel corso degli anni è stata quella che “lo fa per denaro”, motivazione che si è rivelata spesso vera, ancora più spesso semplicemente funzionale a minare la credibilità del reprobo.
Marosi dai quali la testa dei 5 stelle è sempre riemersa, anche grazie alla spericolatezza e alla tenacia del leader ragazzino (che ormai ragazzino non è più per nessuno) che senza colpo ferire ha superato per ambizioni e numero di voti il fondatore carismatico, di fatto archiviandolo nonostante la sua presenza sul palco.
Schivando nemici interni ed esterni, portandolo prima a destra e poi a sinistra con una logica che solo i posteri potranno giudicare appieno, dopo essere stato insieme ai suoi da leader in pectore in trincee insensate (do you remember “Imposimato presidente”?). Un capo di certo infiacchito dal ridimensionamento elettorale e da questi voli imprevedibili, ascese e discese velocissime, che rischiano di far volare via pezzi dall’aereo che guida, ma ancora con la cloche in mano, perchè “Di Maio è l’unico che fa”.
“La crescita è una cosa terribilmente dura da fare, è molto più facile saltarla e passare da una fanciullezza all’altra”, diceva Francis Scott Fitzgerald.
Alla vigilia del decimo compleanno, il capo e il Movimento tutto devono ancora capire appieno se quello che stanno facendo sia un cammino o un saltellare. E noi con loro.
(da “Huffingtonpost”)
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