BERSANI FA LA PRIMA MOSSA PER STANARE RENZI: “PERCHE’ NON ELEGGERE IL PRESIDENTE GIA’ AL PRIMO TURNO?”
RENZI TEME AGGUATI E PROPONE SCHEDA BIANCA AI PRIMI TRE TURNI
Da un lato, Matteo Renzi posticipa a lunedì l’assemblea con i senatori del Pd prevista per domattina.
Dall’altro, il senatore bersaniano Miguel Gotor annulla la conferenza stampa sul suo ‘bellicoso’ emendamento contro i capilista bloccati dell’Italicum, firmato da ben 37 senatori di minoranza.
Nel giorno in cui Giorgio Napolitano lascia il Quirinale, tutto si muove e tutto si sospende nel Pd. Renzi e Bersani, ovvero i players principali della partita sul nuovo presidente della Repubblica, si posizionano ai blocchi di partenza.
Palla al centro. Obiettivo: stanarsi.
Almeno da parte di Bersani, che non a caso mette allo scoperto i suoi interrogativi: “Se c’è la volontà di arrivare ad una intesa con tutti che sia con tutti, perchè aspettare la quarta votazione e lasciar perdere la prima, la seconda e la terza?”, domanda l’ex segretario del Pd a sera.
E’ il campanellino che a Palazzo Chigi conferma il nuovo allarme nato in giornata: l’incubo dei primi tre scrutini con tutte le trappole anti Patto del Nazareno che possono comportare.
Pippo Civati non fa mistero del fatto che sta tentando di mettere su l’operazione Romano Prodi insieme a Sel.
Cioè candidare il professore bolognese ai primi tre scrutini, contando anche sui voti degli ex grillini più di sinistra, magari anche gli altri pentastellati o forse lo stesso Beppe Grillo se decide, magari i fittiani.
Quanto ai bersaniani, vero ago della bilancia nel Pd sul Quirinale, Civati specifica: “Io sono favorevole ad un’iniziativa politica comune, ma Bersani non mi sembra si sia ancora deciso. Con lui, comunque, devo ancora parlare…”.
Insomma, per Civati “Prodi è il miglior presidente possibile: se riusciamo a fargli prendere un bel pacco di voti nei primi tre scrutini, come si può ritirarlo dalla corsa alla quarta votazione, quella ‘buona’?”.
E’ questa terribile congiuntura tra minoranze che Renzi vuole spezzare sul nascere.
La mission è impedire che riescano a compiere il miracolo di ritrovarsi insieme contro il segretario nella partita sul Quirinale.
Per ora, il premier è convinto che Bersani giochi una partita diversa e distinta dai civatiani sul Quirinale: prova ne è la collaborazione offerta al governo sul Jobs Act dall’ala bersaniana del partito prima di Natale.
Da parte sua, però, l’ex segretario lavora per stanare il segretario del Pd, far venir fuori le sue reali intenzioni, i perchè dei suoi no a questo o quello, svelare i bluff del capo del governo.
E’ per questo che i suoi al Senato alzano il prezzo sulla legge elettorale, pur avendo appreso dai renziani che sull’Italicum il premier non è disposto a trattare.
Piuttosto, l’idea del capo del governo è di convincere Bersani e le sue truppe parlamentari facendo leva sul “senso di responsabilità verso l’unità del Pd e verso il Paese in un momento così delicato…”.
Chissà se basterà . Anche perchè di candidati ‘anti Patto del Nazareno’ ne girano altri, oltre a Prodi.
Per esempio, l’ex ministro della giustizia Paola Severino, autrice della legge che rende Berlusconi incandidabile per via della condanna per frode fiscale. Anche Severino riscuote consensi nella minoranza Pd.
Il punto per il premier è fare in modo di arrivare senza trappole e insidie alla quarta votazione, quella a maggioranza assoluta di 505 voti, quella per la quale Renzi ha promesso il suo nome che prima passerà per una “rosa di nomi che proporrò al Pd”. Così ha assicurato oggi nella riunione di segreteria al Nazareno.
Insomma, Renzi punta a fare in modo che il grosso dei Dem — a parte i civatiani considerati “irrecuperabili” e magari anche Stefano Fassina, segnalano dal quartier generale renziano – rispetti l’indicazione di votare scheda bianca ai primi tre turni, quelli a maggioranza dei due terzi, ovvero ben 672 voti.
In questo Parlamento non ce ne sono così tanti intorno ad un unico nome. “Bersani propone di votare il Presidente della Repubblica dal primo scrutinio. Visti i precedenti, questa volta meglio prediligere ascolto, sicurezza e coesione vera…”, taglia corto il senatore renziano Andrea Marcucci su twitter.
Non succederà mai il miracolo che, segnalano i renziani, nella storia è avvenuto solo per due presidenti: Francesco Cossiga e Carlo Azeglio Ciampi, entrambi eletti al primo scrutinio.
Ed è proprio per questo che la domanda serale di Bersani suona tendenziosa dalle parti del premier. E scatta l’allerta: iniziano i giochi.
E poi c’è anche che, fanno notare nei circoli renziani, il premier-segretario non può che proporre scheda bianca ai primi tre scrutini.
Perchè non può correre il rischio di farsi bocciare dall’aula, non è più il libero rottamatore del Pd che alle presidenziali del 2013 lanciava liberamente i suoi assi per giocare la partita da Firenze.
Successe per esempio con il nome di Sergio Chiamparino e non solo. Tutto questo oggi non è possibile. E poi, spiegano i renziani, “votare scheda bianca è un modo per controllare che la disciplina di partito venga rispettata: chi tradisce, si ferma a scrivere un nome nell’urna e si vede”.
“Prodi è un candidato pericoloso…”, ammette un renziano fedelissimo a taccuini chiusi. “Non possiamo candidarlo perchè non avrebbe i voti, verrebbe affossato di nuovo come nel 2013: non si può…”.
Ma non si può soprattutto perchè il professore bolognese resta escluso da quella rosa di nomi che Renzi vuole proporre al Pd all’assemblea dei grandi elettori, a ridosso dell’inizio delle votazioni il 29 gennaio.
Prodi non è tra i ‘graditi’, troppa storia alle spalle, troppo peso, ti spiegano i Dem di maggioranza, soprattutto non sarebbe gradito a Silvio Berlusconi.
E Renzi è interessato a difendere con le unghie il Patto del Nazareno, croce e delizia della sua ascesa politica.
Ma nemmeno quello di Walter Veltroni è una carta certa tra i Dem. “Ha troppi nemici nel Pd: magari dicono di sì e poi lo affossano dietro il voto segreto, come è successo con Prodi”, spiega un renziano di rango.
Un ragionamento che, al di là dei nomi e dei cognomi, segnala quanto sia fragile il terreno sul quale il premier deve muoversi nelle prossime due settimane.
(da “Huffingtonpost”)
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