57 CATTOLICI A CENA (CON VISTA PANTHEON) PER IL NUOVO PRESIDENTE
GLI EX DEMOCRISTIANI A CENA PER LA CANDIDATURA MATTARELLA
In nome, veritas.
Scusate il ritardo è il ristorante vista Pantheon dove, alla vigilia delle dimissioni di Napolitano, una cinquantina di democristiani del Pd (57 per precisione) si sono dati appuntamento per soddisfare, o almeno provarci, un appetito che dura almeno da sedici anni.
Da quando cioè il cattolico Oscar Luigi Scalfaro lasciò il Quirinale.
A tavola anche un democristiano più speciale degli altri: l’ex forlaniano ed emissario di Renzi Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd. Accanto a lui, seduto e sornione, quella vecchia volpe di Beppe Fioroni, organizzatore della serata e grande sponsor, nella primavera del 2013, della candidatura di Franco Marini per il Colle.
Stavolta invece il nome che tra una portata e l’altra si consolida è quello di Sergio Mattarella, ex sinistra democristiana di Ciriaco De Mita.
Un gradino più giù, il prodiano Pierluigi Castagnetti.
Ecco in ordine sparso alcuni commensali: l’ex gavianeo di Napoli Salvatore Piccolo, il pugliese Gero Grassi, Paolo Cova, Preziosi, Cuomo, Giampiero Bocci, Maria Amato, Luigi Bobba, Simonetta Rubinato, Giorgio Santini, Massimo Fiorio, Matteo Richetti. E soprattutto Angelo Rughetti, ambasciatore di un altro cattolico di peso della cerchia renziana, Graziano Delrio.
Più che dello sgomento, è l’ora dell’appetito.
La fine dell’era di Napolitano è accolta nella frenesia dei cacicchi piddini, soprattutto ex cattolici. Capannelli, conciliaboli, il Transatlantico, come nelle giornate che contano si riempie in un attimo. Per dirla con ex ds di peso “la fine della monarchia ha fatto riemergere i vizi della Repubblica, la prima”.
Il gusto della manovra più che la commozione. Da giorni tutta la rete “cattolica” legata al premier segretario è particolarmente attiva.
E il nome di Mattarella è stato sondato, nell’ordine, da Luca Lotti, Graziano Delrio e Lorenzo Guerini.
A microfoni spenti, un parlamentare esperto dà un’efficace descrizione del clima: “Per molti versi la presidenza di Napolitano è stata vissuta come un commissariamento della politica, anche in questo secondo mandato. Un presidente interventista, chiamato in condizioni di eccezionalità che ha legato il suo mandato ai compiti del Parlamento. Ora è che come se se ne fosse andato il simbolo del fallimento del Parlamento e la politica si sentisse più libera. Il problema è che questo Parlamento, nella libertà , ha già fatto disastri”.
La fotografia del Transatlantico immortala due Pd che assomigliano a due epoche, una che finisce e l’altra che ritorna.
Nelle parole che il capogruppo del Pd Roberto Speranza affida a twitter c’è quasi il sapore della malinconia: “Giorgio Napolitano rappresenta per me il senso più alto di ciò che la politica deve essere. #GraziePresidente #percezionedivuoto”.
Tutto il mondo ex ds, che pure con Napolitano ha avuto rapporti non idilliaci, vive le dimissioni di Napolitano come la fine di un’epoca. Scherza con affetto solo quella volpe di Ugo Sposetti: “Ma no… È tornato a casa, ma per poco. Se noi non riusciamo eleggere il prossimo, facciamo il Napolitano ter”.
La verità è che da tempo il mondo ex ds è segnato da divisioni profonde.
La fine dell’era Napolitano segna un ulteriore passaggio del liberi tutti.
I turchi nella serata della vigilia, mentre i democristiani erano allo Scusate il ritardo, hanno fatto una prima riunione per giocare d’anticipo.
Si sono ritrovati a cena al ristorante Baccano, vicino Fontana di Trevi, molto di moda nell’era renziana.
C’era anche il ministro Orlando, il più alto in grado tra i turchi. Uno di loro racconta: “Per noi l’importante è eleggere un presidente, non c’è una discriminante tra un cattolico o un laico”.
Mentre Massimo D’Alema ha convocato per lunedì una riunione della sua fondazione e sarà quella l’occasione per vedere i parlamentari fedelissimi su cui può ancora contare. Sia come sia, questo protagonismo “cattolico” alimenta un nervosismo crescente.
In parecchi ricordano quando fu proprio Renzi a silurare Marini con una lettera a Repubblica, particolarmente dura, in cui criticava la scelta di un candidato alla presidenza in quanto “cattolico”.
Così scrisse Renzi due anni fa: “Mi sembra gravissimo e strumentale il desiderio di poggiare sulla fede religiosa le ragioni di una candidatura a custode della Costituzione e rappresentante del Paese”.
Per la cronaca: scoppiò una bagarre e Franco Marini rispose con altrettanta durezza: “Renzi insinua che io starei strumentalizzando e consentendo che venga strumentalizzato il mio essere cattolico a fini politici. Non posso lasciar passare in silenzio parole tanto gravi e offensive”.
Due anni dopo su Mattarella in quanto — in quanto cattolico — sono a lavoro tutti quelli che stanno con Renzi a palazzo Chigi.
(da “Huffingtonpost”)
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