Giugno 1st, 2019 Riccardo Fucile
SALVINI PREOCCUPATO SOLO DI FAR PASSARE IL MESSAGGIO CHE “NESSUNO RESTERA’ IN ITALIA”, MA NON E’ COSI’… LA SOLIDARIETA’ DEI GENOVESI DOMANI ALL’ARRIVO DELLA NAVE DELLA MARINA
La nave della Marina Militare Cigala Fulgosi, con a bordo cento migranti salvati qualche giorno
fa al largo delle coste libiche, arriverà a Genova domani mattina, domenica 2 giugno, tra le 9 e le 10 e attraccherà a Calata Bettolo nel porto di Genova, dove dalle 6 sarà allestita una struttura mobile per screening sanitari e l’identificazione delle persone.
Lo ha detto il prefetto Fiamma Spesa al termine della riunione che si è tenuta in prefettura, convocata per gestire l’arrivo della nave. Il piano per distribuire i migranti non è noto, il Viminale sta lavorando al caso.
Il prefetto ha precisato che le persone saranno accompagnate in quelle che saranno destinazioni comunque provvisorie, non escludendo che per un breve periodo, e quindi in via provvisoria, qualcuno dei profughi possa restare in Liguria in attesa che il Viminale trovi accordi con altri Stati per la destinazione definitiva.
«Il Ministero – ha detto il prefetto – ha stabilito che dopo sarà fatto un piano definitivo».
Tra i 100 migranti a bordo, 23 sono minori e 17 donne: tra queste alcune sono incinte e una è al settimo mese di gravidanza. Complessivamente, secondo quanto apprende l’ANSA, sono una ventina le persone che avrebbero bisogno di assistenza medica.
È stata composta la squadra del personale sanitario che assisterà i migranti che sbarcheranno dal pattugliatore Cigala Fulgosi che li ha salvati giovedì scorso al largo delle coste libiche.
Le operazioni mediche, nella struttura allestita per le visite e le identificazioni a Calata Bettolo, saranno gestite dal personale Usmaf (Ufficio di sanità marittima e di frontiera) del ministero della Salute, che sarà supportato da due medici della Asl3 di Genova, dal primario del Pronto soccorso dell’ospedale Galliera Paolo Cremonesi, da un medico e un infermiere dell’ospedale pediatrico Gaslini.
Intanto oggi è apparso sulla Lanterna uno striscione con la scritta “Benvenuti” rivolto all’arrivo dei migranti. Lo hanno affisso i portuali della Culmv.
C’è un appuntamento, partito dalla community “Per Genova aperta, accogliente e solidale” attraverso un post su Facebook che lancia un “presidio accogliente” al Terminal Traghetti h 9.30 di domani.
E’ facile che saranno in molti a unirsi all’iniziativa di solidarietà organizzata per l’arrivo a Genova, a Calata Bettolo, del pattugliatore Cigala Fulgosi
A raccogliere l’appello anche gli attivisti di Mediterranea Saving Humans, il progetto di soccorso internazionale per migranti, che si era attivata dopo la notizia della decisione del governo, per “poter dare il benvenuto in Europa ai cento migranti”.
A bordo della nave, inoltre, ci saranno anche numerosi minori e, a tutela di questi, si era mossa, in questi giorni anche Defence for Children, organizzazione internazionale la cui sede nazionale è proprio a Genova.
Per finire la maggiore preoccupazione di Salvini è quella di rassicurare i suoi elettori che i migranti non si fermeranno a Genova, aggiungendo che “metà saranno presi in carico dal Vaticano e metà da altri cinque Paesi europei”-
Ma qualcosa non torna:
1) il prefetto ha già confermato che per qualche giorno tutti resteranno a Genova, poi “verranno ridistribuiti”, concetto generico
2) Se anche fossero presi in carico da strutture cattoliche è evidente che 50 migranti resteranno in Italia
3) Sono giorni che Salvini parla di ridistribuzione in altri Paesi europei: ma perchè non fa i nomi di questi 5 Paesi, se esistessero? Anche perchè in un caso come questo (con migranti raccolti da una nave militare italiana e non da una Ong, nessun Paese europeo sarebbe mai obbligato a una “quota”, anzi dovrebbero restare a carico dell’Italia.
O si cerca di nascondere che i migranti resteranno in Italia ?
(da agenzie)
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Maggio 30th, 2019 Riccardo Fucile
DA 18 ANNI NON SI VEDEVANO LACRIMOGENI E ARRESTI IN PIAZZA… GLI ERRORI DELLA GESTIONE DELL’ORDINE PUBBLICO ALIMENTANO LE VIOLENZE… IL 30 GIUGNO ALTRA MANIFESTAZIONE A RISCHIO
Appena dietro a chi ha scelto di fronteggiare la polizia con lanci di oggetti, biglie e petardi, tantissimi genovesi hanno tenuto la piazza nonostante il fitto lancio di lacrimogeni che a più riprese impedivano di vedere e respirare.
E sono rimasti lì anche quando da via Assarotti, con Corvetto chiusa praticamente su tutti i lati, sono partite le cariche verso via Santi Giacomo e Filippo e poi nella stessa piazza Corvetto dove è stato fra l’altro ferito il giornalista Stefano Origone che stava seguendo da vicino l’arresto di un manifestante.
Ma cosa è successo quel giovedì pomeriggio?
Per la prima volta a Genova, dopo anni “scaramucce” tra manifestanti e polizia, ha prevalso la linea dura.
Per questo per la prima volta il tentativo di mediazione della Digos, con la frapposizione fisica del dirigente Francesco Borrè e dei suoi funzionari tra i manifestanti e il reparto mobile, non ha funzionato.
E anche in questo caso la piazza di Genova ha presentato due elementi di novità , che non si vedevano dai tempi del G8: l’utilizzo di lacrimogeni e la scelta degli arresti in piazza.
Il primo fitto lancio di lacrimogeni su via Palestro ha costretto i manifestanti che stavano “attaccando” il fortino e lanciando oggetti all’interno ad allontanarsi. Ma i manifestanti sono tornati e hanno scelto di proseguire l’assedio
Incomprensibile fra l’altro il fatto che il protocollo del reparto mobile preveda che gli alari non siano mai completamente chiusi, consentendo ai manifestanti di arrivare a contatto diretto con gli scudi degli agenti in tenuta antisommossa.
E’ sufficiente guardare i moltissimi video pubblicati in rete per rendersi conto che a restare in piazza sono tante persone delle età più disparate, ragazzini probabilmente alla loro prima manifestazione, mamme con bambini, anziani pure, donne e uomini che almeno dall’aspetto tutto sembrano meno che facinorosi “casseur” (che poi i termini andrebbero usati in maniera appropriata visto che l’unico danno alla città è stato fatto da un lacrimogeno ce ha colpito un’insegna del bar Mangini) ma semplici genovesi.
Non se lo aspettava la polizia che la gente restasse in piazza e continuasse a urlare la sua rabbia perchè di fatto è la prima volta da anni: una piazza compatta
Il secondo errore della polizia è stato quello di scatenare la confusione da un lato chiudendo la piazza dall’altro caricando un folto gruppo di manifestanti fino in via Serra e scatenando la reazione di questi ultimi.
Alcune squadre si sono trovate di fatto in mezzo ai manifestanti divisi in due e in parte saliti sulle scale dell’Acquasola. L’obiettivo della polizia, che aveva “puntato” alcuni manifestanti che in via Palestro si erano resi responsabili di episodi violenti, era arrestarne qualcuno.
Anche questo non accadeva dal 2001 visto che in altri cortei passati pur carichi di tensione, alle forze dell’ordine non era mai venuto in mente di arrestare la gente in piazza, sapendo che gli stessi sarebbero poi stati identificati e denunciati dopo la visione delle immagini.
Invece la scelta degli arresti ha creato il caos con bottiglie e pietre lanciate dai manifestanti e lacrimogeni lanciati dalla polizia, da quelli sparati in alto con l’apposita arma a quelli a “mano” lanciati ad altezza uomo.
Una vera e propria battaglia in piazza che per fortuna, a eccezione del giornalista genovese, ha avuto come conseguenza solo pochi contusi.
Quello che è certo è che in una città che ha avuto in questi anni un livello di conflittualità in piazza medio bassa, le cose potrebbero essere cambiate e tutti, da una parte e dall’altra, dovranno tenerne conto per il futuro.
Intanto gli antifascisti, che hanno preparato una cassa di solidarietà per le spese legali di quanti saranno denunciati, sono pronti a chiamare a raccolta i genovesi per il corteo del 30 giugno, tradizionale e partecipato appuntamento antifascista in ricordo dei fatti del 1960.
E il ricordo va agli anni piombo che speravamo tutti dimenticati.
Genova oggi come allora sembra tornata il prima linea, tra provocazioni ed errori.
(da agenzie)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
“OCCORRE UN CODICE IDENTIFICATIVO DEGLI AGENTI, ESISTE PERSINO IN TURCHIA”…”LO STATO USI LA FORZA, NON LA VIOLENZA”… “L’INCHIESTA NON DOVEVA ESSER AFFIDATA ALLA POLIZIA”
Con i fatti di Genova di giovedì 23 maggio si è tornato a parlare di violenza da parte della polizia Il sostituto procuratore Enrico Zucca, che in passato ha indagato sulle violenze delle forze dell’ordine durante il G8 del 2001, ci aiuta a comprendere meglio il clima che si respira in città , e più in generale oggi nel nostro paese,
Scontri violenti in città . Una lista di venti agenti di polizia, almeno 5 coinvolti. E un cronista picchiato malamente, ridotto peggio. Ci risiamo?
“Parliamoci chiaro: l’Italia, i suoi governi tutti e suoi ministri, si rifiutano di applicare quella misura elementare che è stata indicata dal primo codice etico per le forze di polizia, approvato dal comitato dei ministri del Consiglio d’Europa già all’indomani del G8 di Genoa, ossia il cosiddetto codice identificativo per gli agenti in divisa in servizio di ordine pubblico, la quale serve a identificare e a responsabilizzare, soprattutto, gli stessi agenti. Il parlamento europeo, ancor più di recente, ha adottato una risoluzione nel 2012 esortando gli stati ad adottare una misura di questo tipo. Amnesty International ne ha fatto oggetto di una campagna speciale, che mai poteva essere così attuale, dopo questi nuovi fatti di cronaca. Che altro? Anche la Corte europea dei diritto dell’uomo ritiene il codice identificativo uno strumento utile e indispensabile. E tuttavia in Italia non viene applicato”.
Ma perchè?
“Ah, bella domanda. Pensi al caso del suo collega, il giornalista Lorenzo Guadagnucci, torturato alla Diaz, a cui nessuno ha mai chiesto scusa. Aveva fatto scalpore, tempo fa, un suo intervento volto a chiedere l’introduzione dei codici identificativi, cui aveva anche allegato una fotografia che ritraeva poliziotti in Turchia con il codice identificativo sulla divisa. In quella foto il poliziotto ritratto aveva coperto il codice con un nastro, che però si era staccato. Il sotterfugio non era bastato… Quell’immagine serviva a dimostrare due cose. La prima che, anche in una nazione dove la tutela dei diritti umani è altamente problematica, la polizia ha accettato una simile disposizione e l’altra è che la necessità di coprire il codice dimostra che il poliziotto sa quando vuole eccedere i limiti. Ed è in quel numerino che sta la sua responsabilità .
Ma chi è che si oppone ai codici identificativi?
“Ogni corpo di polizia reagisce chiudendosi a riccio di fronte a misure che sembrano punitive. Ma questo atteggiamento non è altro che il rifiuto alla trasparenza di comportamenti devianti che sono di pochi, ma che contano sulla solidarietà e l’omertà di molti. Anche l’ex ministro dell’Interno Marco Minniti non era riuscito a proporre che l’introduzione di un codice di reparto. Una dimostrazione di scarsa volontà politica e di impotenza, perchè il codice di reparto è — considerata la realtà dei casi, primi fra tutti quelli del G8 — una misura apparente e inutile oltre che di rinuncia al promuovimento di una immagine diversa della polizia e al suo rapporto con un’etica di responsabilità che avrebbe dovuto essere incoraggiata. Nessun poliziotto teme il codice se non quelli che lo coprirebbero alla bisogna.
La procura ha aperto un’indagine dopo gli scontri di Genova. Con la collaborazione della Questura …
“Questa domanda non ha alternative, nella risposta. Assegnare l’indagine allo stesso corpo di appartenenza degli agenti sospettati di abusi è in contrasto con i criteri che la CEDU ha stabilito per assicurare una indagine imparziale. La Corte di Strasburgo lo ha sostenuto specificamente anche in una condanna contro lo stato italiano, osservando che non basta nemmeno una sola istituzione di garanzia come il PM italiano, che certamente gode di uno statuto di indipendenza e autonomia, per garantire imparzialità di indagine (il caso Alikay contro Italia, 2011). In Italia lo stesso PM può compiere personalmente gli atti di indagine e può soprattutto avvalersi di una polizia giudiziaria distaccata presso la procura stessa”.
E allora?
“Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e i maltrattamenti in uno dei suoi periodici rapporti aveva già dal 2010 raccomandato l’istituzione di un servizio specializzato sotto la direzione della procura della Repubblica ‘per la trattazione di ogni denuncia di maltrattamento da parte delle forze dell’ordine’. Esortazione rimasta lettera morta ma che è la risposta all’esigenza di cui si discute. Tra l’altro ciò aiuterebbe anche il pubblico ministero a superare inevitabili situazioni di conflitto di interessi nel caso di indagini nei confronti della polizia con cui si collabora”.
Oggi però c’è un invito a presentarsi spontaneamente dai magistrati…
“Guardi: o qui cade il muro di omertà che non è mai caduto in precedenti occasioni, e la polizia stessa diviene artefice del proprio riscatto, oppure rimane così com’è: violenza impunita. C’è un evidente richiamo al G8 e i problemi sono sempre gli stessi”.
Quali?
“Il questore (di Genova, ndr) che parla di “ostaggi” ricorda il frasario della Diaz, in cui i funzionari parlavano di fare “prigionieri” riferendosi anche loro agli arrestati. Ebbene, cosa nasconde questa mentalità che ancora resiste all’interno della polizia? È la logica della contrapposizione e del nemico. E un confronto fisico, che invece è da evitare. La logica dello schieramento: quelli sono violenti, certo, è vero, ma lo stato usi la forza, non la violenza. La divisa fa la differenza”.
Giusto. Come si fa?
“Il vero eroismo è quello di non lasciarsi andare alla forza bruta ma dimostrare l’autorità , anche solo non reagendo ma contenendo. E per farlo, sì, è vero, bisogna essere un po’ eroi. E non vigliacchi, a manganellare persone ormai inermi e a terra. La vera svolta può venire dall’interno del corpo di polizia e dal sentirsi Stato anche quando non si reagisce allo stesso modo di chi manifesta la sua impotenza con la violenza senza senso”.
Anche la magistratura a volte è violenta…
“Non si tratta di bon ton istituzionale affidare o meno l’indagine alla polizia stessa. L’indagine contro gli abusi serve a garantire le istituzioni, e non a delegittimarle. Sarebbe l’ora che anche i magistrati smettessero di considerare le indicazioni della Corte Europea come inutili orpelli. Invece che parlare di convenzioni nei convegni e sulle riviste, sarebbe opportuno che le facessero vivere nella pratica, e con fatti concreti, anche a rischio di impopolarità . Così aiuterebbero la fermezza anche all’interno della forza di polizia”.
(da TPI)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
L’ANALISI DEL “SECOLO XIX”: SCELTE LOGISTICHE SBAGLIATE, AGENTI DI FUORI CITTA’, SCONTRI CHE POTEVANO ESSERE EVITATI, QUALCUNO HA VOLUTO IL CONTATTO
Piazza Corvetto, se la si osserva al riparo della speculazione politica, è soprattutto la storia di un fallimento tattico e strategico da parte della forza pubblica.
Gli scontri tra la polizia e le frange violente, che si erano messe in testa alle centinaia di manifestanti pacifici contro il comizio di CasaPound in piazza Marsala, potevano essere evitati.
Se invece sono divampati e hanno coinvolto persone non violente è a causa di una lunga serie di errori. Visibili dal vivo a occhio nudo.
Il primo errore è stato quello di non capire che autorizzare quel comizio era una bomba a orologeria. Chi non ha posto il veto ha dimostrato di non conoscere la piazza genovese: era scontato che la presenza così ostentata di una formazione neofascista avrebbe calamitato quel tipo di contromanifestazione.
A questo si è aggiunto l’abbaglio di schierare contingenti di polizia in arrivo da fuori: la presenza di quei reparti ha portato in prima linea agenti che ignoravano la Piazza e le piazze.
Non avevano il polso della situazione su chi fosse a Corvetto (gente di mezza età , reduci dal G8, pacifisti, portuali, giovani, esponenti della sinistra e — certo — un gruppo di esagitati), nè avevano contezza di eventuali loro spostamenti sbagliati.
Così, quando il dirigente ha schierato un plotone tra le grate e la massa che pressava, lo scontro è diventato inevitabile. Il gioco poteva essere condotto ancora per un’ora come si era snodato fino a quel punto: la massa saliva verso le grate, si scontrava senza effetti sullo schieramento immobile di polizia, veniva allontanata con il lacrimogeno, si rialzava e rimetteva in moto il pendolo.
Dopo cinque o sei movimenti del genere, la piazza poteva essere sciolta dichiarando concluso il comizio neofascista e lasciando ai manifestanti l’impressione di aver vinto la contesa.
Invece, messa sul tavolo l’opzione del contatto, il contatto c’è stato.
Consentendo di speculare sull’intenzionalità di crearne le condizioni. Tanto più che le vie di fuga erano state tutte chiuse, tranne via Santi Giacomo e Filippo: quando la polizia ha dovuto scaricare proprio su quella strada, allontanando gli autonomi, ecco che l’equilibrio si è rotto.
Da un lato la manovra ha esposto al rischio di scontri tutti i manifestanti pacifici, che già erano stati travolti da un centinaio di lacrimogeni inspiegabilmente sparati a campanile (arrivati così fin sotto la Prefettura); dall’altro ha fatto correre a un contingente di carabinieri il rischio di essere colto alle spalle da gruppi fuggiti da via Serra e riparati su via XII Ottobre. La cosa avrebbe avuto conseguenze. Alcuni lacrimogeni che erano finiti oltre le camionette, infatti, sono stati rispediti da una manciata di ragazzi proprio in mezzo ai militari schierari e fermi.
In mezzo, alcuni errori spiccioli: la polizia non deve rispondere alle provocazioni, invece, provocata, l’ha fatto. Con contro-lanci di bottiglie e altri oggetti da parte degli agenti e con altri atteggiamenti di sfida in risposta ad atteggiamenti di sfida.
Anche in questo caso, a rischio sono finiti i manifestanti pacifici, a vantaggio dei pochi facinorosi incappucciati che potevano essere tranquillamente isolati (il servizio d’ordine dei portuali aveva già provveduto a contenere un paio di suoi ragazzi).
Arrivati allo scontro, per la resistenza al ripiegamento di una decina di uomini con il casco in testa e armati di bastoni, ecco la reazione più scomposta.
La carica è stata disorganica, generalizzata e brutale: prova ne è il fatto che a subirne le conseguenze tra la gente in fuga sulla collina dell’Acquasola, sia stato il giornalista Stefano Origone di Repubblica, colpevole solo di essere sul posto di lavoro. La veemenza con cui è stato picchiato svela la pressione cui sono stati sottoposti i poliziotti.
(da “il Secolo XIX“)
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Maggio 25th, 2019 Riccardo Fucile
“LA SITUAZIONE STA DEGENERANDO E POTREBBE ANCORA DEGENERARE”
Marco Doria, Genova blindata per il comizio di Casapound, gli scontri e i lacrimogeni e un
giornalista di Repubblica manganellato dalla polizia. Cosa ne pensa?
«Mi sembra che la situazione sia grave, ci sono una molteplicità di segnali che dimostrano come al di là della felpa ci siano collegamenti di tipo politico tra la Lega di Salvini e le formazioni neofasciste».
La risposta della polizia è stata molto violenta. Una scelta voluta, secondo lei?
«È molto grave un uso della forza che diventa violenza da parte della polizia che si scatena in maniera assolutamente spropositata colpendo delle persone inermi che non possono in alcun modo essere considerate pericolose. È il caso del giornalista steso a terra e preso a bastonate, a cui va tutta la mia solidarietà , che mi ricorda l’immagine del ragazzo assolutamente disarmato preso a calci in faccia da un dirigente della polizia durante il G8. Devo registrare che sono arrivate subito le scuse sincere del Questore; però sono convinto che un comportamento non controllato e violento non sia solo il frutto della tensione che in certo momenti i poliziotti comprensibilmente sentono, ma ci sia una oggettiva legittimazione politica a quel tipo di comportamento. E, su un altro piano, fa il paio con i pompieri che muovono i loro mezzi per rimuovere uno striscione dal balcone o il provveditore che sospende la docente per un video degli studenti»
Pensa sia un’esasperazione legata al clima elettorale?
«No, non credo: è una deriva che non è iniziata con questo governo, ma sicuramente il ministro dell’Interno, con i messaggi che lancia, ha responsabilità pesantissime».
Ma aveva senso blindare così il centro di Genova per uno sparuto drappello di neofascisti
«Andiamo oltre, io voglio portare il mio impegno su come si contrastano questi fenomeni. L’obiettivo non è impedire un comizio con 20 persone, ma fare un’azione pacifica, valoriale, politica”
Ritiene che la giunta di Marco Bucci sia troppo disponibile verso queste formazioni?
«Gli spazi a questi neofascisti non li dà una giunta, ma una deriva incoraggiata dalla Lega di Salvini e dalle paure di una società invecchiata e in crisi. Se si afferma una posizione di neutralità , allora non accetto che si minacci un presidente di municipio che nella sua autonomia politica decide di dare un patrocinio, che è un atto politico, al Liguria Pride. Questa neutralità non è in tutte le direzioni, i moderati devono capire come la situazione stia degenerando e potrebbe ancora degenerare».
(da “La Repubblica”)
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Maggio 24th, 2019 Riccardo Fucile
UN ASSURDO AFFIDARE L’INCHIESTA NELLE MANI DELLO STESSO CORPO DEGLI AUTORI DELL’AGGRESSIONE
L’indagine sul pestaggio del giornalista di Repubblica Stefano Origone avvenuto durante gli
scontri fra antagonisti e polizia in occasione del contestato comizio di CasaPound, è stata affidata alla squadra mobile della Questura.
Ieri negli ambienti forensi c’è chi si è stupito del fatto che a indagare su delle violenze palesemente commesse da poliziotti fosse la stessa polizia.
Enrico Zucca, oggi sostituto procuratore generale ma pm dell’inchiesta e del processo per la scuola Diaz al G8 del 2001, risponde alle domande di Repubblica sull’opportunità della scelta: “C’è un canone indiscusso fissato da varie sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che stabilisce come, di fronte alle violazioni dei diritti fondamentali, non si dovrebbero affidare le indagini allo stesso corpo di appartenenza degli agenti o dei funzionari sospettati di aver commesso gli abusi. Nella sentenza Alikaj che ha portato a una condanna dello Stato italiano, la Cedu specifica addirittura come non sia sufficiente l’indipendenza della procura a garanzia di un’indagine imparziale”.
Non è evidentemente una problema di assenza di fiducia nella polizia genovese bensì una questione di procedure che sono poi frutto del buon senso e della ragionevolezza, quella che consiglia di tenere distinte le figure di controllori e controllati.
Ciònonostante è comunque una prassi diffusa quella di assegnare gli accertamenti agli stessi corpi sotto indagine. “Forse — conclude Zucca — esiste un problema anche culturale all’interno della magistratura, alcuni messaggi, anzi indicazioni molto chiare che arrivano dalla Cedu, non vengono recepite”.
“Ci sono delle costanti che si fa fatica a comprendere” ha detto Zucca all’Ansa su quanto avvenuto ieri in piazza Corvetto durante gli scontri tra polizia e antifascisti
“Ho visto quello che è stato – ha detto Zucca -, ho guardato con gli occhi di un genovese e credo che la gestione dell’ordine pubblico sia ancora un punto critico. Pur dovendo riconoscere la difficoltà della gestione in situazioni del genere non è possibile non dire che certi episodi comunque richiamano alla mente quei giorni”. I giorni del G8, appunto.
“Quel che fa impressione – ha detto ancora Zucca – è che un poliziotto, pur nel non facile contrasto verso azioni anche violente, debba utilizzare la forza a sproposito. Mi chiedo: perchè infierire e accanirsi con persone già a terra? Ecco, questa è una costante difficile da capire”. Perchè, continua il magistrato “non ci sono giustificazioni di modalità operativa o di concitazione. Diventa così un modo che appare ritorsivo”, una sorta di “uso della forza che fa presupporre un non ponderato uso di questo mezzo”.
“Allora sentii parlare di ‘prigionieri’ – ha detto ancora Zucca – e erano alti funzionari di polizia che parlavano. ‘Prigionieri’, una parola che evoca scenari di guerra, il ‘nemico’. Oggi sento parlare di ‘ostaggi’. E questo rientra in una mentalità ”
“Sì, il pensiero continua a andare al G8 – ha concluso il magistrato -. Chi dice che è stata voltata pagina?”
(da agenzie)
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Marzo 17th, 2019 Riccardo Fucile
IMPOSSIBILE USARE L’ESPLOSIVO, SERVE UN NUOVO PIANO… LO SMONTAGGIO MECCANICO PREVEDE UNO SLITTAMENTO DI ALMENO OTTO MESI
Anche la linea dell’orizzonte può essere un’illusione. Quella che ha sullo sfondo il ponte
Morandi è ormai cambiata da quel maledetto 14 agosto.
Proprio ieri è stato tirato giù un tratto rettilineo lungo 36 metri e pesante 916 tonnellate. C’è più cielo tra un moncone e l’altro, segno che i lavori di demolizione, propedeutici alla ricostruzione, sono cominciati, e avanzano.
Era importante partire, e ancora più importante che si vedesse, ripete sempre Marco Bucci, il sindaco-commissario del governo per il nuovo viadotto.
Annunci
Niente è mai come sembra. Nonostante gli annunci ottimistici e gli inni alla gioia della ricostruzione immediata, con consegna della nuova infrastruttura a fine 2019, massimo primavera del 2020, l’abbattimento dei resti di un gigante da cinquantamila metri cubi di calcestruzzo e cinquemila tonnellate di acciaio rimane un’impresa esposta al vento dell’imprevisto.
L’esplosivo, panacea di ogni male per abbattere le pile superstiti, non si può usare.
La prima doveva essere la numero 8, verso ponente, affacciata su capannoni abbandonati e alta 45 metri, ovvero il livello della carreggiata.
Dopo sarebbe toccato alle pile 10 e 11, prossime all’uscita del casello di Genova Ovest verso i terminal del porto, che incombono sulle case destinate all’abbattimento, sulla zona rossa e su quella gialla.
E per loro non esiste neppure un piano B senza la dinamite.
Perchè hanno entrambe gli stralli, e raggiungono i 90 metri di altezza. L’ipotesi più ottimistica in caso di smontaggio meccanico prevede uno slittamento dei lavori di almeno altri 8 mesi, ma qualcuno nella struttura commissariale sussurra che ci vorrebbe un anno, oltre a un’impennata dei costi che farebbero lievitare i 19 milioni di euro previsti dal piano approvato da Bucci.
Amianto
Nel Ponte Morandi c’è l’amianto. E tutti lo hanno sempre saputo, perchè nel 1962, quando iniziò la costruzione del viadotto sul Polcevera, quel materiale e il mortale polverino che sprigiona erano considerati una mano santa dell’edilizia italiana e mondiale. All’inizio dello scorso ottobre i Vigili del fuoco specializzati in crolli e interventi in ambiente urbano giunti da tutta Italia per sgomberare le macerie del ponte si videro recapitare un modulo con una domanda che aveva dell’incredibile.
«Pensa di essere stato esposto anche in maniera occasionale durante le operazione di soccorso, a materiale contenente asbesto?».
Eppure, come se nulla fosse. Il 6 marzo, conferenza stampa in Prefettura alla presenza delle aziende vincitrici dell’appalto e di tutti gli enti responsabili, compresi l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente e l’Asl, incaricate dei controlli, per l’annuncio della demolizione con esplosivo della pila 8, quella più «facile», come l’intero settore di ponente, prevista per la mattina del 9 marzo.
Un esposto in procura
«Cosa respirano i nostri figli?». I cartelli erano già apparsi all’inizio dei lavori. Un comitato dei cittadini presenta un esposto in procura. Nel carotaggio effettuato da Arpal e Asl, 6 campioni su 24 hanno dato valori fuori norma, confermando la presenza di amianto, seppure in quantità infinitesimali. Il problema diventa non solo edile, ma anche penale.
Il primo a dirlo è lo stesso Bucci, commissario governativo, ma anche sindaco. La marcia trionfale suonata finora si smorza all’improvviso, non senza qualche imbarazzo. Dopo una settimana di passione, viene escluso l’utilizzo dell’esplosivo per la pila 8.
Smontaggio meccanico
La tecnica di smontaggio meccanico, che dovrà contenere misure di «mitigazione del rischio» per la dispersione delle polveri, verrà adottata per tutti i piloni superstiti. Impossibile anche solo immaginare di far saltare in aria le pile 10 e 11, più vicine ai quartieri abitati e allo svincolo della A7, uno dei caselli più frequentati d’Italia.
Se la pila 8 non presenta difficoltà insormontabili, e il ritardo nei lavori sarà solo di qualche settimana, sull’altro versante la differenza tra uso dell’esplosivo e demolizione fatta «a mano», ragiona un esponente della struttura commissariale, si calcola in semestri, con annessa chiusura per settimane dell’autostrada, che nell’ipotesi originaria era previsto solo per i giorni delle deflagrazioni.
Da un lato la necessità di fare in fretta. Dall’altro la tutela della salute pubblica, alla quale si collegano eventuali responsabilità giudiziarie. Non se ne esce.
Aggiornare i calendari. L’importante era cominciare, in pompa magna. Ma la demolizione di un ponte in una zona sovraffollata della città non poteva certo essere un pranzo di gala.
(da “Il Corriere della Sera”)
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Febbraio 13th, 2019 Riccardo Fucile
LA PROCURA HA APERTO UN FASCICOLO PER VERIFICARE I FATTI DENUNCIATI
La procura di Genova ha aperto un fascicolo, al momento per atti relativi, dopo l’esposto presentato dal sindacato autonomo Csa, sul caso delle multe nel quartiere genovese di Carignano, dove vive il sindaco di Genova Bucci. Il procuratore aggiunto Vittorio Ranieri Miniati, che coordina il pool reati contro la pubblica amministrazione, ha assegnato il fascicolo al pm Gabriella Marino.
L’episodio è avvenuto sabato nel quartiere e nella via dove lo stesso sindaco risiede.
Secondo alcuni testimoni Bucci avrebbe criticato l’operato degli agenti che stavano multando le auto parcheggiate in divieto – perchè in quelle ore sarebbe dovuta scattare la pulizia delle strade – come indicato da alcuni cartelli.
Dopo qualche minuto e un giro di telefonate tra il sindaco e il comandante della polizia locale Gianluca Giurato, gli agenti hanno interrotto la loro attività .
Secondo l’esposto il sindaco di Genova Marco Bucci sarebbe intervenuto, nella via dove risiede, e avrebbe criticato l’operato degli agenti che stavano multando le auto parcheggiate in divieto.
In quelle ore sarebbe dovuta scattare una pulizia delle strade come indicato da alcuni cartelli, ma secondo il sindaco le comunicazioni non erano state abbastanza chiare.
Nell’esposto viene citata la telefonata tra Bucci e il comandante della polizia locale Gianluca Giurato.
Inoltre il Csa afferma che gli agenti hanno interrotto la loro attività dopo un ordine arrivato dal Coa, il centro operativo dei vigili urbani.
(da agenzie)
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Febbraio 3rd, 2019 Riccardo Fucile
SACCHI DI JUTA DEI CONTESTATORI CON IL SIMBOLO EURO PER RICORDARE I 49 MILIONI CHE LA LEGA HA RUBATO AGLI ITALIANI
Prima sono arrivati con alcuni sacchi di juta con disegnato il simbolo dell’euro per sbeffeggiare i militanti del Carroccio circa la restituzione dei 49 milioni di euro che la Lega deve allo Stato dopo le condanne giudiziarie.
Poi la situazione è degenerata finendo a insulti e sputi.
E’ successo questa mattina in Largo Boccardo a Genova, nel popolare quartiere di Molassana, dove era stato organizzato uno dei tanti banchetti della Lega per raccogliere firme a sostegno del vicepremier Matteo Salvini.
I leghisti sono stati presi a sputi, poi i contestatori hanno strappato la bandiera del Carroccio e l’hanno gettata nel torrente.Infine se ne sono andati.
Sul posto sono intervenuti i carabinieri e la Digos .
(da agenzie)
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