Luglio 26th, 2017 Riccardo Fucile
COME LA LEGA SPUTTANA 23 MILIONI DI EURO DEI CONTRIBUENTI
Roberto Maroni acquista 24mila tablet che saranno utilizzati per votare al referendum sull’autonomia indetto il prossimo 22 ottobre.
Il governatore della Lombardia ha firmato il decreto. Il referendum infatti si svolgerà completamente con il voto elettronico nei circa ottomila seggi sparsi su tutto il territorio regionale e sarà la prima volta che in Italia si vota non con le schede cartacee.
Il costo dei tablet si aggiungerà al milione e 200mila euro (1,6 milioni calcolando anche l’Iva) speso finora dalla Regione per la promozione della campagna elettorale a suon di spot sui mezzi pubblici, cartelloni pubblicitari lungo strade e autostrade, promozioni sulla carta stampata e spot su radio e tv. Il budget già stanziato per la propaganda sul referendum potrà arrivare, alla fine, a 3,4 milioni.
La spesa complessiva prevista per l’acquisto e la messa in funzione delle ‘voting machine’ supera i 23 milioni (21 milioni più Iva). “Abbiamo già firmato l’accordo anche con il ministero – conferma visibilmente soddisfatto Maroni – le prefetture metteranno a disposizione i seggi. Mentre a noi della Regione competeranno altre cose, come la tessera elettorale. E’ un accordo che mi soddisfa e apre la strada a questa forte innovazione. I tablet saranno poi lasciati in comodato d’uso alle scuole sedi dei seggi”.
In Italia, il voto elettronico è una novità assoluta, che sarà sperimentata, per la prima volta in occasione di questo referendum. Agli elettori basterà un clic e il voto sarà cosa fatta. Il sistema è stato sviluppato da una società olandese, la SmartMatic, che ha vinto la gara d’appalto indetta dalla Regione. Il presidente del seggio, dopo aver identificato l’elettore attraverso un documento d’identità , schiaccierà il pulsante che abilita il tablet.
Sul touchscreen apparirà il quesito referendario e le tre possibili opzioni: ‘Si’, ‘No’ e ‘Bianca’. Una volta fatta la scelta, che si potrà modificare prima del via libera definitivo, basterà schiacciare ‘Votare’ per registrare la scelta. I voti saranno registrati nella memoria della macchina, che sarà inserita nel tablet prima del via alle operazioni di voto.
La sera del 22 ottobre non sarà necessario attendere ore per conocere l’esito finale del referendum che non prevede quorum e in ogni caso ha effetto solo consultivo. Contrariamente a quello indetto lo stesso giorno dal Veneto, che, invece, prevede il raggiungimento del quorum per essere valido.
Una spesa enorme per un referendum inutile che serve solo a Maroni per uno spot elettorale.
(da agenzie)
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Luglio 26th, 2017 Riccardo Fucile
LE INCHIESTE LO FRENANO, A COMINCIARE DA QUELLA SULL’AGENZIA LOMBARDA CHE RISCUOTE LE TASSE ORA INDAGATA PER TRUFFA, PECULATO E FALSO IN BILANCIO
Le ultime parole famose portano la data del 12 settembre 2016. «Oggi la Regione Lombardia ha licenziato Equitalia», scrisse su Twitter il governatore Roberto Maroni. Con tanto di hashtag compiaciuto: “manteniamo le promesse”.
A dieci mesi da quel solenne annuncio le tasse made in Padania sono già un flop, con la procura di Milano che indaga sulla Duomo Gpa, una delle due aziende private a cui la Regione a guida leghista ha affidato la riscossione delle imposte.
Diego Federico Cassani, maggiore azionista e amministratore unico della società , è infatti indagato per peculato, truffa aggravata e falso in bilancio.
Almeno otto milioni sono spariti dai conti. Accusa grave, a maggior ragione per chi maneggia soldi pubblici riscuotendo le tasse.
Il boomerang della società di riscossione finita sotto inchiesta è un grosso guaio per il governatore lombardo e per le sue ambizioni (giusto mercoledì scorso il Foglio lo incoronava futuro leader del centrodestra unito), a pochi giorni da un altro affondo della magistratura: questa volta nel mirino c’è la Pedemontana: l’autostrada che taglia la Brianza collegando la provincia di Varese e quella di Bergamo, simbolo della grandeur d’asfalto in salsa leghista, si è trasformata in un gigantesco buco nero di perdite e debiti.
I guai delle tasse e quelli d’asfalto capitano proprio nel mezzo della campagna per il referendum consultivo sull’autonomia lombarda.
Per Maroni, leghista di governo, variante post-democristiana del sovranismo alla Matteo Salvini, le settimane che portano all’appuntamento del 22 ottobre prossimo dovevano trasformarsi in una passerella verso il trionfo.
Questo successo, a sua volta, avrebbe aperto nel migliore dei modi la volata verso le amministrative del prossimo anno, con il governatore leghista pronto a ricandidarsi.
Una corsa che sembrava scontata, con l’opposizione costretta a rincorrere a grande distanza. Tanto che in vista del voto di ottobre, la gran parte del Pd, con in testa i sindaci di Milano, Giuseppe Sala, e di Bergamo, Giorgio Gori, si era spostata sulle posizioni del governatore per non lasciare solo a lui tutto l’incasso della scontata vittoria referendaria.
In questa cornice trionfale, l’inchiesta su Duomo Gpa, finora rimasta sottotraccia, con pochi trafiletti sui giornali confinati nella cronaca locale, è quella che potrebbe finire per creare i guai maggiori per Maroni, quanto meno sul piano dell’immagine.
Nel 2013 infatti, l’ex ministro dell’Interno dei governi Berlusconi aveva sbancato la lotteria delle elezioni regionali, mitragliando slogan sul fisco. Parole forti. Tipo: «Ai lombardi il 75 per cento delle tasse pagate in Lombardia».
Strada facendo, il governatore è dovuto venire a patti con la realtà . A quattro anni di distanza, le promesse restano promesse e buona parte dei tributi padani prendono ancora il volo verso Roma. Equitalia però restava un ottimo bersaglio, un simbolo del fisco rapace da abbattere al più presto.
Detto, fatto. La Regione ha bandito una gara, vinta da Duomo Gpa, associata per l’occasione alla Publiservizi, una ditta di Caserta, con il ruolo, quest’ultima, di capocordata con la quota di maggioranza. Non si può dire che ci fosse una gran concorrenza.
L’unica altra offerta è arrivata da Poste Tributi, società pubblica che è finita in liquidazione nel 2016.
Duomo Gpa, però, aveva già i conti in grave crisi: ricavi in calo, debiti oltre il livello di guardia. E adesso dalla magistratura è arrivata un’altra mazzata.
Non per niente, il ministero dell’Economia ha già sospeso la Duomo dal registro delle imprese abilitate alla riscossione.
La Regione Lombardia, invece, per ora non ha preso provvedimenti. L’istruttoria nasce da una lettera anonima spedita il 25 marzo 2016 alla Guardia di Finanza, ancor prima, quindi, che l’azienda di Cassani vincesse la gara bandita dalla giunta Maroni.
Dalle carte sequestrate dalla Guardia di Finanza emerge che il nuovo concessionario lombardo ha accumulato debiti per quasi 20 milioni. Una somma enorme, se si considera che i mezzi propri della società non raggiungono i 7 milioni.
La società fatica a far fronte ai propri impegni. Negli ultimi due anni, i dipendenti, un centinaio in tutto, sono rimasti per mesi senza stipendio, mentre decine di enti pubblici reclamavano le loro entrate.
La Duomo Gpa, infatti, incassa i tributi per oltre 800 comuni in Lombardia e Piemonte, fino alle Marche e alla Toscana.
Dalle carte dell’inchiesta risulta che già nel 2016 la società era assediata dai decreti ingiuntivi e dalle proteste dei municipi. Nel gennaio 2017 due impiegati, intercettati dalla Guardia di Finanza, si sfogano al telefono accusando la famiglia Cassani di aver «intascato otto milioni di euro»: «Stiamo parlando di debiti nei confronti dell’erario e dei comuni», per cui «se arriva un pm ti porta a San Vittore».
Non solo. La moglie di Cassani, intercettata, spiega a un ragioniere che «la contabilità va ricreata ex novo». Una funzionaria protesta che «per coprire i debiti fanno cose allucinanti, bonifici finti, un sacco di contabili finte». Ad ascoltare simili confidenze, preoccupato, è Ezio Buraschi, che non è indagato, già socio della Duomo: «Fanno il gioco delle tre carte», è il suo commento, «ma così qualcuno va in prigione».
Secondo la Guardia di Finanza almeno 8 milioni sono spariti. Gli ammanchi, ha ricostruito il pm Mauro Clerici, dipendono da «una confusione tra conti pubblici e privati», che è l’effetto di una legge singolare, modificata solo in tempi recenti.
Un sistema durato anni, così congegnato: le tasse, che appartengono ai comuni, vengono pagate dai cittadini (coi bollettini postali) su conti di proprietà degli esattori che sono quindi liberi di travasarli altrove.
La Duomo, in particolare, ha dirottato le tasse di mezza Italia su un proprio deposito di Milano, chiamato «conto padre», usato per pagare dipendenti e fornitori, versare bonus e benefit ai dirigenti, distribuire utili e premi agli azionisti.
Tra il 2015 e il 2016 la società sigla con i comuni alcuni «piani di rientro» a rate, ma di fatto usa le entrate di un municipio, accusano i magistrati, per tappare i buchi con un altro. La nuova legge, che intesta i conti delle tasse direttamente ai comuni, interrompe una volta per tutte questa girandola. E a quel punto parte la presunta truffa: la Duomo prepara «finti bonifici» on line, li stampa e li trasmette ai comuni come se fossero veri, ma subito dopo li annulla. I contabili descrivono anche un’altra presunta «tecnica fraudolenta collaudata da anni», che loro stessi chiamano «il sistema Cassani».
Il punto di partenza è che esistono due tipi di contratti di riscossione: con i piccoli comuni la società paga solo un canone fisso, per cui può trattenere tutte le tasse che superino quel minimo garantito; con gli enti più grandi, invece, riceve una percentuale (chiamata aggio) e quindi dovrebbe rimborsare una cifra variabile in base agli incassi. Invece, secondo l’accusa, i soldi dei grandi comuni venivano spostati, con un apposito programma informatico, sui conti dei piccoli. In quel modo la Duomo pagava solo i canoni fissi e incamerava una bella fetta di tasse dei grandi enti: «in media il 10 per cento», secondo i contabili già interrogati.
Il 30 giugno scorso i magistrati hanno ordinato il primo sequestro di otto milioni. Oltre alla società , il decreto ha colpito i tre proprietari, cioè Cassani con la moglie e la sorella, che negli ultimi dieci anni tra stipendi e benefit hanno ricevuto dall’azienda almeno 5 milioni e mezzo.
Tra le uscite contestate compaiono tre auto da 70 mila euro ciascuna regalate a parenti, rimborsi benzina per una Jaguar e oltre due milioni di fatture sospette, liquidate a un’altra ditta di famiglia. Nel decreto i magistrati precisano che l’inchiesta continua e potrebbe scoperchiare altri ammanchi: nella sede perquisita mancavano le carte di «più di cento conti bancari».
Interpellato dall’Espresso, l’avvocato Giovanni Maria Soldi, che difende Cassani e i suoi familiari, smentisce qualsiasi truffa o ruberia: «Esiste un debito importante nei confronti dei comuni, ma escludo che ci siano state frodi o appropriazioni indebite».
Adesso, in attesa delle prossime mosse della magistratura, c’è il rischio che la Lombardia sia costretta a reclutare un nuovo concessionario per riscuotere le tasse. Dal licenziamento di Equitalia è passato meno di un anno. Chissà se Maroni avrà ancora voglia di parlarne su Twitter.
(da “BusinessInsider”)
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Luglio 7th, 2017 Riccardo Fucile
IL LEGALE PROVA A CONTESTARE GLI ORARI DI UNA INFORMATIVA DEL NOE E LA COMPETENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO: CONTINUA LA FARSA PER ARRIVARE ALLA PRESCRIZIONE
Ritornato dopo un lungo periodo di malattia che ha provocato anche la nomina d’ufficio di un legale per il suo assistito l’avvocato Domenico Aiello, nell’ultima udienza prima della pausa estiva, tira fuori dal cilindro un argomento nuovo.
“Il Tribunale è stato truffato” in quanto ci sarebbero dei “falsi” agli atti del processo a carico di Roberto Maroni, accusato dalla procura di Milano di pressioni indebite per fare ottenere un contratto di lavoro e un viaggio a Tokyo a due sue ex collaboratrici che avevano lavorato con lui quando era ministro dell’Interno.
Dopo l’esame di Alberto Brugnoli, ex dg di Eupolis (ha patteggiato 8 mesi) il legale del presidente lombardo ha contestato gli orari annotati in una informativa del Noe firmata da Gianpaolo Scafarto, il capitano accusato di falso nell’inchiesta romana sulla Consip.
La difesa di Maroni ha sostenuto che l’orario di cinque sms del 28 maggio 2014 che compaiono in questa relazione dei carabinieri, utilizzata per determinare la competenza territoriale del processo, sia differente rispetto a quello annotato sia in un’altra informativa del Noe sia in un brogliaccio contenuto nel fascicolo processuale.
Una discrasia che, secondo Aiello, segnerebbe una difetto di competenza nel dibattimento che si sarebbe quindi dovuto celebrare a Roma e non a Milano.
Secondo la difesa, che ha chiesto di fare chiarezza con nuovi accertamenti, l’ex braccio destro del governatore Giacomo Ciriello (anche lui imputato) e il dg di Expo Christian Malangone (già condannato a 4 mesi con rito abbreviato) si sarebbero scambiati l’sms, non a Milano, ma durante una trasferta nella capitale.
Nel messaggio si diceva: “Christian il Pres ci tiene acchè la delegazione per Tokyo comprenda anche la società Expo attraverso la dottoressa Paturzo”.
Una volta segnalata la vicenda dell’orario ritenuto non corretto ha preso il via un acceso botta e risposta tra accusa e difesa.
“È processualmente sbagliato e tardivo — ha sottolineato il pubblico ministero come riporta l’Ansa — sollevare la questione a questo punto del dibattimento”.
Il presidente della IV sezione penale Maria Teresa Guadagnino, davanti a cui si svolge il processo, ha poi ripreso più volte l’avvocato di Maroni.
“Se non abbassa i toni — lo ha avvertito — faccio una segnalazione all’ordine degli avvocati“.
Si ritorna in aula il prossimo 14 settembre per celebrare il processo il cui dibattimento è stato dichiarato aperto solo 10 mesi dopo la prima udienza.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Giugno 8th, 2017 Riccardo Fucile
DURANTE UN COMIZIO A MONZA, IL GRILLINO AVEVA ACCUSATO IL GOVERNATORE DI AVER FINANZIATO LE COOPERATIVE DI BUZZI QUANDO ERA MINISTRO DEGLI INTERNI
Qualche giorno fa il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio era a Monza per la campagna elettorale. Durante un comizio Di Maio ha attaccato il Presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni accusandolo sostanzialmente di aver finanziato il sistema delle cooperative di Salvatore Buzzi quando era Ministro dell’Interno.
Secondo Di Maio «in Mafia Capitale i soldi per le cooperative che gestivano immigrati e Rom venivano dal Ministero dell’Interno e allora come ministro c’era il vostro governatore, Robero Maroni. Da lì che partivano i soldi che entrarono nella gestione dei campi rom e che poi finanziavano le cooperative di Buzzi e che hanno finanziato il PD. Quindi possiamo dire che la Lega ha finanziato il Pd».
Per questa affermazione Maroni ha querelato Di Maio spiegando che “attribuire a me una responsabilità , agganci e collusioni in Mafia Capitale è inaccettabile sul piano umano, la politica non c’entra. È una roba da mascalzoni.”
Ed è vero, perchè Maroni non è mai stato indagato nell’ambito dell’inchiesta su Mafia Capitale.
Quindi dire che Maroni ha finanziato le cooperative di Buzzi, o che l’allora Ministro dell’Interno era colluso con il sistema criminale che gestiva i campi Rom della Capitale è falso.
Repubblica riporta che nel corso dello stesso comizio Di Maio è tornato a lamentarsi delle ONG che fanno da taxi trasportando in Italia i migranti dopo essersi accordate con gli scafisti.
Una teoria che dopo numerose audizioni in commissione alla Camera e al Senato si è dimostrata essere priva di fondamento.
Ma il gioco di Di Maio è chiaro: andare “in casa della Lega” a dire cose che direbbe la Lega. Facendo però passare la Lega Nord per un partito colluso con Mafia Capitale e — ancora peggio — con il PD.
Eppure ad esempio la recente intesa sulla legge elettorale è stata raggiunta proprio tra Lega Nord, PD, M5S e Forza Italia. Misteri della politica.
Un altro punto interessante riguarda quello che ha fatto Maroni da Ministro dell’Interno del Governo Berlusconi per i campi Rom della Capitale.
È vero che quando Maroni era Ministro ha promosso delle azioni per finanziare la costruzione di alcuni insediamenti.
Si tratta di iniziative perfettamente legali e delle quali abbiamo parlato qui. Era il 2008 e il sindaco di Roma era Gianni Alemanno.
Il sindaco chiese ed ottenne da Maroni un finanziamento di 30 milioni di euro per poter affrontare “l’emergenza nomadi” nella Capitale.
Nel 2014 la Stampa rivelò che dieci milioni furono destinati alla costruzione di un nuovo campo mentre 20 allo smantellamento e alla ristrutturazione degli altri insediamenti della Capitale.
Nessuno però ha mai detto che Maroni ha dato direttamente i soldi a Buzzi nè che poteva sapere dove sarebbero finiti e che avrebbero alimentato il business dei campi gestito dalle cooperative di Buzzi.
Questione di sfumature, che forse Di Maio non ha colto come già quando lodò il Procuratore di Catania Zuccaro.
Ed è tutta qui la ragione della querela al deputato del MoVimento 5 Stelle da parte di Maroni.
(da “NextQuotidiano”)
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Maggio 19th, 2017 Riccardo Fucile
CONTINUA LA TATTICA OSTRUZIONISTICA DI MARONI PER NON RISPONDERE DEL REATO DI INDUZIONE INDEBITA IN RELAZIONE A DUE COLLABORATRICI… IN CASO DI CONDANNA MARONI DECADREBBE DA GOVERNATORE
La prima udienza, il 1 dicembre 2015, fu rinviata perchè c’era una astensione indetta dal sindacato degli avvocati.
E fu rinviata anche la seconda (3 marzo 2016, per impedimenti di avvocato e imputato) e la terza (5 maggio, perchè l’imputato era capolista alle elezioni amministrative).
Il destino del processo a Roberto Maroni, imputato, assieme ad altri, per le ipotizzate pressioni per far ottenere un viaggio a Tokyo e un contratto a due sue ex collaboratrici, probabilmente era segnato dalla nascita.
Perchè non solo i giudici sono riusciti a dichiarare l’apertura del dibattimento solo 10 mesi dopo la prima convocazione, ma hanno dovuto rinviare quasi la metà delle 22 udienze convocate: dieci udienze.
E così — tra un legittimo impedimento e un persistente mal di schiena dell’unico difensore del presidente della Lombardia — sono saltate tutte di fila le ultime cinque udienze del dibattimento.
Probabilmente un regalo visto che una condanna innescherebbe la legge Severino e l’immediata decadenza dalla poltrona del Pirellone.
Uno dei due reati contestati al governatore leghista, ovvero l’induzione indebita (l’altro è turbata libertà nel procedimento), prevede in caso di verdetto di responsabilità la sospensione e la decadenza dalle cariche pubbliche.
L’udienza è saltata anche oggi. E questa volta non per un impedimento per motivi di salute dell’avvocato Domenico Aiello, ma per l’incompatibilità dell’avvocato Lapo Becattini, legale d’ufficio nominato al suo posto alla scorsa udienza proprio per proseguire il dibattimento bloccato dallo scorso 16 marzo.
Il 5 maggio scorso, infatti, i giudici hanno inviato una visita fiscale al difensore, per poi decidere il giorno dopo che i problemi di salute fossero un “episodio tipico e ricorrente della patologia in atto” e non avessero il carattere dell’imprevedibilità .
Inoltre i giudici avevano rilevato che il legale non aveva nominato, come richiesto e nonostante ne “avesse l’onere”, un sostituto “adducendo argomentazioni non documentate e comunque inidonee a giustificare l’omessa nomina”.
Per questo, citando anche il “dovere di leale collaborazione tra le parti e il Tribunale”, i giudici avevano respinto l’istanza di rinvio e dato appuntamento per 18 maggio, lasciando il tempo al legale nominato d’ufficio di leggere tutti gli atti dell’inchiesta per assicurare un’adeguata difesa a Maroni.
Ma Becattini, nel chiedere la sua sostituzione, ha spiegato al Tribunale di aver scoperto otto giorni fa “un conflitto di interessi in merito all’incarico” poichè la sua socia di studio difende tre imputati al processo sul cosiddetto caso Ilspa nel quale la Regione, rappresentata dall’avvocato Aiello, è parte civile.
Il difensore d’ufficio ha aggiunto di aver consultato il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati il quale, dopo essersi riunito, nel pomeriggio dello scorso 12 maggio ha stabilito “la mia incompatibilità ”. Il giorno dopo la dichiarazione scritta è stata depositata al collegio.
I giudici di Milano hanno parlato di “stasi processuale” dovuta alla “perdurante assenza ingiustificata” di un difensore per il governatore della Lombardia e nell’ordinanza, con cui hanno rinviato, hanno fatto presente che Aiello non ha presentato legittimo impedimento e non ha nominato un sostituto, “non ottemperando” così ai ripetuti “inviti” del collegio.
Dovrà essere nominato un nuovo avvocato d’ufficio che sia pronto per il 15 giugno. Pronto, ma soprattutto compatibile perchè la Regione attualmente parte civile in moltissimi processi tra cui quello delle spese pazze dei consiglieri regionali, in un processo per morti causate dall’amianto, in quello in cui è imputato l’ex assessore Guarischi per corruzione, nel giudizio per i contratti fantasma. L’incompatibilità del prossimo avvocato d’ufficio del governatore, in attesa della guarigione di Aiello, è in agguato.
Nel caso andasse male il 15 giugno, ci sarà speranza il prossimo 6 luglio ultima udienza prima della pausa estiva.
All’accusa mancano tre testi poi si potrebbe iniziare a esaminare gli imputati.
Il processo non si prescriverà prima del 2023, ma la campagna elettorale per le elezioni regionali del 2018 inizierà molto prima.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Maggio 16th, 2017 Riccardo Fucile
“NON ERA SALVINI IL CAPO DEI GIOVANI COMUNISTI PADANI?”… “IL REFERENDUM SULL’AUTONOMIA VUOL DIRE PIU’ SOLDI AL NORD E MENO AL SUD, SALVINI LO VADA A SPIEGARE AI MERIDIONALI”… “IL MODELLO LEPENISTA NON E’ IL NOSTRO”
Lo spirito è allegro, la voce serena: «Vuole sapere per chi ho votato? Ma per la Lega, naturalmente… Il nome non lo voglio dire. E comunque non sono affatto preoccupato per le dichiarazioni di Salvini. Con lui non c’è mai stato uno scontro ma una leale collaborazione, una dialettica sana come dovrebbe esserci in ogni partito».
Peccato che la «dialettica» nei partiti talvolta preluda alle epurazioni. «Bobo» Roberto Maroni sorride. Dal 2013 presidente della regione più importante e ricca d’Italia, il giorno dopo le primarie della Lega, Maroni spiega quello che sta succedendo e che potrebbe succedere da qui ai prossimi mesi nel Carroccio e nel grattacielo più alto di Milano.
Salvini, ha già iniziato a mettere in chiaro le cose: dice che con Alfano e gli alfaniani le alleanze sono finite, Lombardia compresa. Vi mette in crisi?
«No, penso proprio di no. Premesso che quello che decide, una volta eletto, è il segretario ed è lui che determina la linea politica, ciò che dice Salvini io lo condivido: non ci possono essere alleanze diverse a livello nazionale e regionale . E poi in Lombardia gli ex Ncd, oggi “Lombardia popolare”, hanno già preso le distanze da Alfano. Comunque, quando sarà il momento, farò tutte le verifiche: se ci saranno le condizioni per avere una maggioranza di centrodestra coesa, bene. Altrimenti vedremo».
Bene, perchè i toni sembravano un po’ da ultimatum nei suoi confronti. Anche Sel e il Pd dicono che lei sia la prossima vittima sacrificale di Salvini…
«Anche con Bossi ho avuto scontri forti, anche ai suoi tempi c’era chi mi voleva cacciare dalla Lega, ma abbiamo sempre superato le incomprensioni in nome della Lega. Quando io dico “prima il Nord” è perchè come governatore della Lombardia ho questo compito. Non vuol dire che sia contro la decisione di Salvini di guardare al Sud. Poi però dovrà essere lui a spiegare che il referendum in Lombardia vuol dire meno soldi al Sud e più denaro al Nord. Io faccio la mia parte».
A proposito di Bossi: il Senatur ha già detto che è pronto ad andarsene…
«Bossi sbaglierebbe se dovesse uscire dalla Lega. Mi spiace per lui, ma la politica va avanti a prescindere dai buoni sentimenti».
Ritirata tattica?
«Guardi, io non ho nulla contro Salvini, non sono il suo competitor. L’ho voluto io segretario nel 2013 dimettendomi in anticipo.”
Anche se sembra dividervi tutto: lei, come Berlusconi, ha detto di non condividere il lepenismo di Salvini. Quale spirito crede che prevarrà nella Lega?
«Credo che questa fase del lepenismo in realtà sia conclusa. E non tanto perchè Marine Le Pen ha perso ma perchè ha un progetto politico opposto rispetto al nostro. Il Front National vuole uscire dall’Europa e tornare allo stato nazionale francese, noi vogliamo invece l’Europa dei popoli e delle regioni, come insegnava Miglio. E poi la stessa Le Pen ha detto che il lepenismo è morto. E ne prendo atto con soddisfazione. Perchè la Lega non è di destra e un’altra cosa…».
Questa è bella: Salvini negli ultimi anni ha completamente abbracciato la destra!
«Infatti non sono d’accordo e l’ho detto a Salvini: la Lega non è di destra, noi abbiamo fatto cose in Lombardia che le regioni rosse si sognano, dal bonus bebè al welfare. Cose tipiche delle politiche di sinistra. Per noi ci sono i lombardi, non quelli di destra o di sinistra».
Maroni, lei avrà anche l’animo di sinistra ma il suo segretario…
«Su questo c’è diversità di opinioni con Salvini ma sono convinto che anche per lui questo sia un peso. D’altronde ricordo quando nel ’96 era segretario dei giovani comunisti padani…Quelle sono le origini e sono sicuro che alla fine anche lui condividerà questa posizione».
Tornando al Pirellone, dopo le dichiarazioni di Salvini, lei di fatto in Regione non sembra messo benissimo.
«Il mio orizzonte adesso è concludere la legislatura e, arrivare al referendum per l’autonomia fiscale del 22 ottobre, il cui obiettivo è poter trattenere qui i nostri soldi, senza mandarli più al Sud, come avviene oggi e su questo la maggioranza è compatta. Quello sarà il vero spartiacque anche per future alleanze».
Si va a votare in anticipo ad ottobre?
«Dipende dalla politica nazionale».
Non dal suo processo? Se condannato, dovrebbe dimettersi.
«Secondo la legge Severino ci sarebbe una sospensione di 18 mesi. Uso il condizionale perchè poi, come è successo per De Luca e De Magistris, i giudici hanno sospeso la sospensione. Nel merito invece, ritengo che in nessun paese civile si sarebbe proceduto a processare un politico per un viaggio istituzionale che non ha mai fatto. Costo zero per la Regione. Non vedo l’ora che questa storia finisca».
Il suo avvocato però oppone continui rinvii. Si difende anche lei «dal processo»?
«Il mio avvocato fa quello che deve fare nel mio interesse».
Paolo Colonnello
(da “La Stampa”)
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Maggio 11th, 2017 Riccardo Fucile
ESCE ALLO SCOPERTO ANCHE IL GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA IN VISTA DEL CONGRESSO: “OCCORRE TORNARE ALLE ORIGINI, LA LEGA NON E’ NE’ DI DESTRA NE’ DI SINISTRA”
Comincia con Roberto Maroni che in un’intervista al Corriere della Sera dice “la parentesi lepenista si possa considerare conclusa” la giornata della Lega lanciata verso la scadenza della primarie di domenica prossima.
Un affondo nei confronti della linea sovranista di Matteo Salvini, che è stato sponsor della candidata frontista francese.
E una dichiarazione che, seppur senza essere un endorsement da parte del governatore leghista lombardo, avrà fatto piacere al competitor di Salvini alle primarie del Carroccio, Gianni Fava, esponente dell’area autonomista e sostenuto da Bossi.
Maroni con un certo distacco sottolinea che “chi vince ha il dovere di fare il segretario, ma non è che puoi farlo soltanto se annienti chi la pensa in modo diverso”. Per Maroni occorre “tornare alle nostre origini di movimento post ideologico, nè di destra nè di sinistra.”.
Lo sfidante di Salvini alle primarie Fava plaude all’intervista del governatore lombardo. “Lo dico da un pezzo – posta su Facebook Fava, assessore di Maroni -. Forse non è mai nemmeno cominciata la fase lepenista, se non nella testa di qualche dirigente in cerca di facili scorciatoie. La Lega faccia la Lega. Lottiamo per la questione settentrionale”.
Se Maroni ha deciso di uscire allo scoperto in vista del congresso della Lega è evidente che Salvini è all’angolo ed è ormai un segretario dimezzato.
La linea sovranista, sconfitta in tutta Europa, non può rappresentare un modello, se ne stanno accorgendo anche nel Carroccio.
Salvini verrà confermato segretario in attesa che le amminsirative gli diano la botta finale.
(da agenzie)
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Maggio 9th, 2017 Riccardo Fucile
ALL’OMBRA DELLA REGIONE: IL GOVERNATORE CHE VUOLE FUGGIRE ALLA GIUSTIZIA
Roberto Maroni è un ottimo passepartout: basta aver lavorato una volta per lui per vedersi spalancate le porte delle società controllate o partecipate da Regione Lombardia.
Così è successo a Luca Morvilli, l’esperto in comunicazione olistica che nel 2013 ha contribuito alla sua vittoriosa campagna elettorale per le regionali.
Tra il 2014 e il 2016, Morvilli ha ottenuto tre consulenze in tre anni da due società controllate dalla Regione, per un importo totale di 192 mila euro.
Il primo a ingaggiarlo è stato Eupolis — l’istituto di ricerca, statistica e formazione della Regione — che gli ha commissionato lo sviluppo di “una strategia di comunicazione olistica, nell’ambito del Programma di attività Ufficio Studi”. Il contratto prevede un compenso di 48 mila euro in 10 mesi.
Nel 2015 e nel 2016 Morvilli fa il bis con Ferrovie Nord Milano SpA, la holding che gestisce i trasporti ferroviari lombardi, guidata dal leghista ed ex segretario generale della Regione Andrea Gibelli.
I contratti — di cui Business Insider è in grado di dare conto in esclusiva — sono due: nel 2015 Fnm affida a Morvilli una consulenza di sei mesi per il “riposizionamento del brand Fnm”. Valore: 48 mila euro, come era già accaduto per Eupolis.
Nel 2016 l’esperto in comunicazione raddoppia impegno e stipendio: la consulenza annuale vale 96 mila euro, ma qualcosa va storto e il 31 ottobre 2016 il contratto viene rescisso in anticipo.
Alla fine Morvilli incasserà “soltanto” 26 mila euro. Fnm — un po’ come la Cia — non conferma e non smentisce le cifre: durante l’ultima assemblea degli azionisti dello scorso aprile il presidente Gibelli si è limitato a ribadire che «la comunicazione olistica è una cosa seria».
Silenzio anche da parte di Morvilli, al quale abbiamo chiesto — fra l’altro — se avesse mai lavorato con società partecipate o controllate da Regione Lombardia prima dell’insediamento di Maroni.
“Le clausole di riservatezza previste dai contratti — ci ha scritto — non mi consentono di rispondere”.
Secondo Isabella Votino, portavoce del Governatore Maroni, “le collaborazioni di Morvilli con Eupolis ed Fnm non sono certamente state decise dal Presidente”.
Il pupillo del governatore
L’esperto in comunicazione olistica, in ogni caso, è un “amico alle prime armi” se paragonato al vero pupillo di Bobo Maroni, il suo confidente e avvocato personale Domenico Aiello.
Nel 2015 il legale calabrese ha ottenuto almeno due consulenze da Fnm: la prima, come si legge nel verbale dell’assemblea degli azionisti del 2016, “ha ad oggetto la costituzione in un procedimento penale ed ha un corrispettivo, valutato secondo tariffa, per la fase del giudizio per massimi 100.000 euro a seconda delle udienze; (…). La seconda consulenza ha un ammontare massimo di 50.000 euro».
Tutto normale, si penserà , se non fosse che il giorno prima dell’assemblea Aiello negò di aver ricevuto incarichi dalla holding dei trasporti lombardi.
“Me lo ricorderei — disse al Fatto Quotidiano — Al massimo potrei essere stato pagato per le spese legali come controparte di Fnm, ma non ho firmato nessun contratto con Norberto Achille (ex presidente della holding, finito male per una storia di “spese pazze”, ndr) per una consulenza legale”. Aiello, insomma, era consulente di Fnm a sua insaputa.
Gli albori
Il sodalizio tra Aiello e Maroni risale ai tempi del Ministero degli Interni, quando il non ancora governatore della Lombardia fu indagato per finanziamento illecito ai partiti (la sua posizione fu poi archiviata).
Da quel momento, il legale si è trasformato nel “Mr Wolf” personale del Presidente e ha gestito una lunga serie di patate bollenti: lo scandalo dei diamanti comprati con i fondi del Carroccio; la costituzione di parte civile di Regione Lombardia nel processo Maugeri: un compito che Aiello ha svolto bene, ottenendo dal tribunale, come scrive in un’interrogazione il consigliere regionale del Pd Bruni, il versamento di circa “15mila euro di spese legali alla Regione» a fronte di una parcella da 188 mila euro (pagata con soldi pubblici).
Una cifra «spropositata», secondo Bruni che si è rivolto alla Corte dei Conti per danno erariale
Non basta, Aiello ha ricevuto dal Pirellone incarichi anche nel processo contro l’ex capo di Infrastrutture Lombarde, Antonio Giulio Rognoni, in quello per i danni dell’ex enfant prodige della Lega, il consigliere Fabio Rizzi, accusato di aver intascato tangenti da Maria Paola “Lady Dentiera” Canegrati.
Non mancano poi le consulenze alle altre controllate della Regione: oltre alla già citata Fnm, Aiello viene arruolato anche da Aler (nel 2013) e da Pedemontana.
Il processo a Maron
Ma dove il rapporto tra Maroni e Aiello si dimostra granitico è nel processo che vede imputato i Bobo per induzione indebita e turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente.
Secondo il pm Fusco, Maroni avrebbe fatto ottenere un contratto di lavoro in Eupolis a una ex collaboratrice (Mara Carluccio) e avrebbe fatto pressioni affinchè un’altra sua ex collaboratrice (e per i pm, sua amante), Maria Grazia Paturzo, partecipasse a un viaggio istituzionale a Tokyo a spese di Expo.
Quando il presidente della Lombardia scopre di essere indagato dai pm Fusco e Addesso nomina immediatamente Aiello — à§a va sans dire — suo difensore personale, il quale giustamente inizia le sue lecite e doverose indagini difensive.
Chiede quindi alcuni documenti a Expo spa, ma il cda della società ne fornisce solo una parte. Pur di averli, Aiello si rivolge in procura, lamentando di non riuscire a ottenere le carte.
Tuttavia, anche i magistrati milanesi ritengono che quei documenti non siano necessari nè pertinenti all’inchiesta. A quel punto Maroni, con un colpo a sorpresa, decide di far dimettere il rappresentante della Regione nel cda di Expo spa, Fabio Marazzi, sostituendolo con chi? Esatto, proprio con l’avvocato Domenico Aiello, che da quel momento, in qualità di consigliere avrà accesso a tutte le carte della società .
In molti allora sottolinearono quanto fosse quantomeno inopportuno che nel cda di Expo spa sedesse l’avvocato di un indagato, azionista di Expo spa, finito nelle pesti proprio per aver fatto presunte pressioni sulla società .
Per Maroni questo conflitto non c’è mai stato e ha tirato dritto, facendo guadagnare da allora ad Aiello 27 mila euro l’anno come membro del board della società .
Torniamo a oggi: quel processo si sta celebrando (si fa per dire) in questi giorni e, in caso di condanna, Maroni decadrebbe dalla sua carica in base alla legge Severino.
In realtà non si sta celebrando affatto, visto che le udienze saltano una dopo l’altra a colpi di legittimo impedimento: prima perchè Bobo era candidato come consigliere comunale a Varese, poi perchè l’avvocato Aiello era in sciopero, oppure perchè colpito da mal di schiena talmente lancinanti da impedirgli di essere in aula.
Malesseri certificati dai medici, che però stanno trasformando il procedimento in una pantomima: alla terza udienza consecutiva saltata a causa del mal di schiena del legale, i giudici hanno ordinato una visita fiscale a casa.
Neanche fosse un impiegato pubblico assenteista. «Questo processo è fermo da più di due mesi e così rischia uno stop fino alla primavera del 2018», ha sbottato il solitamente mite pm Fusco.
Di questo passo si potrebbe andare avanti ancora per un anno, proprio quando si dovrebbe tornare a votare in Lombardia.
Una coincidenza? Forse, di sicuro chi trova un amico (presidente), trova un tesoro.
(da “Business Insider”)
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Maggio 6th, 2017 Riccardo Fucile
IL GOVERNATORE SOTTO PROCESSO PER I FAVORI ALLE SUE AMANTI CERCA OGNI MEZZO PER RINVIARE LE SEDUTE E LA SENTENZA CHE POTREBBE FARGLI PERDERE LA CARICA
Il mal di schiena di Domenico Aiello, suo difensore, non rallenterà il processo al governatore lombardo Roberto Maroni, imputato per presunte pressioni per far ottenere un viaggio a Tokyo e un contratto a due sue ex collaboratrici.
Il Tribunale di Milano ha, infatti, respinto l’istanza — la quarta — di rinvio del dibattimento per legittimo impedimento dovuto a motivi di salute avanzata dall’avvocato Aiello.
E, accogliendo la richiesta del pm Eugenio Fusco, ha aggiornato il dibattimento per il prossimo 18 maggio, giorno in cui dovrebbero essere sentiti gli ultimi testi citati dall’accusa: Roberto Arditti, ex direttore delle relazioni istituzionali di Expo e attuale consigliere per gli affari istituzionali di Palazzo Marino e Alberto Brugnoli, ex direttore di Eupolis. in questo modo sono stati dati anche i termini al legale nominato d’ufficio per assistere il presidente della Lombardia al posto di Aiello che, in accordo con il suo assistito, ha ritenuto di non farsi affiancare nemmeno da un collega di studio.
Maroni le ha provate tutte per rinviare le udienze, si è persino candidato l’anno scorso alle amminisrative per ottenere due mesi di rinvio per impegni elettorali.
In base alla legge Severino in caso di condanna Maroni perderebbe la carica, è evidente il tentativo di arrivare alla prossima primavera, alla scadenza naturale del mandato.
(da agenzie)
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