Gennaio 8th, 2018 Riccardo Fucile
E’ IMPUTATO PER LE PRESSIONI OPERATE PER FAR OTTENERE CONTRATTI A DUE FEDELISSIME SEGRETARIE, PENA PREVISTA SOSPENSIONE IMMEDIATA DA GOVERNATORE… MA SE SEI PARLAMENTARE E’ NECESSARIA UNA SENTENZA DEFINITIVA DI TERZO GRADO
Passata la sorpresa per l’addio al Pirellone, che neanche Lucia ai monti, la domanda che tutti si fanno è perchè Roberto Maroni, presidente della Lombardia, con buone chance di essere rieletto governatore, lascia la poltrona?
I “motivi personali”, che non sono di salute, però non gli hanno impedito di informare in conferenza stampa che è “a disposizione”, che “ha idee, progetti”.
In pubblico non avanza “pretese, nè richieste” salvo puntare i piedi per un seggio sicuro in Parlarmento, con ogni probabilità al Senato, come raccontano dalle retrovie leghiste. Laggiù nella Roma che fu ladrona, dove è stato due volte apprezzato ministro dell’Interno e poi del Welfare, l’ex segretario della Lega sarà più al sicuro dalle conseguenze di una eventuale condanna nel processo che si sta svolgendo a Milano e che con molta lentezza si sta avviando alla conclusione.
Il giudizio si è aperto il 30 novembre 2015 e il dibattimento è stato aperto solo 10 mesi dopo, alla requisitoria manca poco: un paio di udienze.
Il già deputato, e chissà futuro senatore, è imputato per le ipotizzate pressioni per far ottenere contratti a due fedelissime: quell’indebita induzione che fu concussione (prima dello spacchettamento) che è punita dalla legge Severino con la sospensione immediata dalla carica di governatore.
Quella stessa norma prevede anche la decadenza da parlamentare, ma solo quando la Cassazione conferma una sentenza di condanna.
Proprio come è accaduto a Silvio Berlusconi che ha perso la poltrona rossa di Palazzo Madama solo tre mesi dopo il verdetto definitivo sul caso Mediaset.
Fatti due conti all’uomo della ramazza del dopo Bossi e dello scandalo sui soldi pubblici usati per le spese della Family conviene salutare la Lombardia.
Anche perchè conclusi gli appuntamenti in aula, con le ultime audizioni dei testi della difesa (11 e forse 25 gennaio), il pm Eugenio Fusco è pronto per chiedere al Tribunale la condanna.
Il “processetto“, così lo chiamò in udienza proprio il pubblico ministero, che però si è rivelato di uno dei più lunghi della storia recente del Palazzo di giustizia milanese (con una serie di udienze saltate per il mal di schiena dell’avvocato Michele Aiello), sicuramente subirà uno stop per la campagna elettorale; basti ricordare che quando Maroni fu candidato capolista a Varese nel giugno del 2016 il Tribunale sospese e rinviò.
Quindi solo a elezioni concluse si potrà tornare in aula ad aprile e chissà che i giudici a maggio non riescano, a due anni e mezzo dalla prima udienza, a emettere la sentenza.
Ma a quel punto che sia assoluzione — e dopo il verdetto per l’ex dg di Expo Malangone non lo si può certo escludere — o condanna, Maroni potrà contare sullo scudo parlamentare.
Se non addirittura — se dovesse essere confermato il rumor di un ventilato ingresso a Palazzo Chigi — su una protezione di livello istituzionale.
(da agenzie)
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Gennaio 8th, 2018 Riccardo Fucile
SE IL CANDIDATO DIVENTA FONTANA, L’EX SINDACO LEGHISTA CHE E’ RIUSCITO A PERDERE LE COMUNALI NELLA SUA VARESE, NE VEDREMO DELLE BELLE
Se non è l’inizio della lunga marcia di Roberto Maroni verso Roma poco ci manca: «So cosa vuol dire governare e assumere responsabilità di governo. Per questo ho il timore che se vince Luigi Di Maio l’Italia finisce come spelacchio. Per me il candidato dei 5Stelle è Virginia Raggi al cubo».
Nel giorno in cui annuncia ufficialmente che non si candiderà alla guida di Regione Lombardia il Governatore oramai uscente si lascia aperte porte importanti.
La motivazione ufficiale sono non meglio precisate «motivazioni personali»: «Questa decisione di non ricandidarmi non ha niente a che fare con la politica. Non ci sono tensioni con Matteo Salvini candidato premier. E a parte un raffreddore di stagione sto bene di salute».
Chi gli è molto vicino racconta che la corsa per Roma ai massimi livelli, Palazzo Chigi in cima a tutto, sarebbe stata favorita se non auspicata da Silvio Berlusconi.
Le considerazioni sono quelle di sempre: il leader di Forza Italia è troppo anziano per fare il premier, Matteo Salvini sposterebbe troppo la bilancia dell’alleanza verso la Lega.
Dalla sua Roberto Maroni ha esperienza di governo, è stato più volte ministro, è leghista ma non salviniano.
A chiedergli direttamente se Silvio Berlusconi glielo ha offerto nell’incontro avvenuto poche settimane fa ad Arcore, Roberto Maroni risponde misurando le parole con un sorriso: «Non è vero che me lo ha chiesto, magari lo ha pensato».
Di sicuro nell’ultima conferenza stampa dopo giunta a Palazzo Lombardia Roberto Maroni ripete più volte che non ricandidarsi in Regione non vuol dire che lascia la politica: «La mia decisione è questa e chiedo a tutti rispetto. Non ho richieste o pretese da fare alla politica. Con la politica ho una grande storia d’amore che va avanti da 25 anni. E come tutte le storie d’amore non finiscono mai. Sono naturalmente a disposizione se dovesse servire. Ma questo lo lascio decidere ad altri».
(da agenzie)
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Gennaio 8th, 2018 Riccardo Fucile
LA RINUNCIA ALLA LOMBARDIA APRE NUOIVI SCENARI: UN POSTO DA MINISTRO NEL GOVERNO BERLUSCONI O RISERVA DELLA REPUBBLICA DA SPENDERE IN CASO DI GRANDE COALIZIONE?…. SALVINI NON PUO’ STARE TRANQUILLO
Cosa vuole fare Roberto Maroni da grande? Ieri alla fine del vertice del centrodestra che ha certificato l’accordo tra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia è arrivata anche l’indisponibilità dell’attuale governatore della Lombardia a ricandidarsi in Regione.
La domanda che però ora attanaglia tutti i retroscenisti italiani è: cosa vuole fare da grande Maroni?
Il problema che potrebbe aver spinto l’ormai ex governatore al passo indietro, secondo alcuni, si chiama legge Severino.
Maroni è tra gli imputati a Milano al processo con al centro le presunte pressioni per far ottenere un contratto di lavoro e un viaggio a Tokyo a sue due ex collaboratrici dell’epoca in cui era ministro dell’Interno, Mara Carluccio e Maria Grazia Paturzo. In caso di condanna arriverebbe una sospensione già in primo grado ed è chiaro che a quel punto il suo mandato sarebbe a rischio.
D’altro canto il suo correo è stato già assolto in secondo grado e il processo, secondo i legali, sarebbe ora in discesa anche per lui.
In più, Maroni ha smentito che dietro la decisione ci fossero ragioni “di salute”, escludendo così le altre piste che potevano sorgere nell’indagine sul suo futuro politico.
Non ne rimane quindi che una: quella di ministro in un governo di centrodestra che sembra sempre più prossimo.
L’uomo che ha tentato di mordere la caviglia di un poliziotto in via Bellerio allo scopo di impedire la perquisizione della sede della Lega Nord quindi sarebbe una riserva della Repubblica, pronto a bere l’amaro calice del sacrificio di reggere un ministero di grande peso nel prossimo governo che vedrà Silvio Berlusconi come deus ex machina.
E la vicenda non può non suonare come un campanello d’allarme per Matteo Salvini.
Al Consiglio Federale, ricorda oggi la Stampa, quando venne deciso l’abbandono della parola Nord accanto a Lega, Roberto Maroni era assente con Umberto Bossi.
Anche se ai molti che glielo chiedono il Governatore quasi ex ripete: «La mia decisione non è contro nessuno. Non farò mancare il mio impegno in campagna elettorale».
Nella posizione di ministro poi Maroni potrebbe ottenere anche altro.
Francesco Verderami sul Corriere della Sera segnalava che il vecchio Bobo potrebbe trasformarsi nel capofila dei «dialoganti» all’interno del Carroccio, e appoggiare il disegno di Berlusconi per sostenere un governo chiamato a gestire «nell’interesse del Paese» una fase di transizione.
Questo però potrebbe accadere soltanto nell’ipotesi che Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia non ottenessero i numeri necessari per governare e che li ottenesse una maggioranza composita (?) tra Partito Democratico e Forza Italia.
Il punto è però che ad oggi non basterebbero quei numeri per ottenere una maggioranza a meno che tutti i senatori dei collegi vinti dal centrodestra non diano l’ok (e a patto che lo facciano anche tutti quelli eletti dal Partito Democratico).
D’altro canto, come sappiamo, ci sarà una divisione equa nei candidati nei collegi tra Forza Italia (che ne esprimerà il 50% tenendo con sè quelli aderenti al quarto polo) e il resto della coalizione: un’approssimazione che ci permette di pensare che al Senato, ad esempio, ci saranno 34 o 35 senatori eletti in quota Forza Italia.
Visto che gli azzurri eleggerebbero così in totale 70 senatore e 80 li eleggerebbe il PD, ecco che siamo a pochi voti dalla maggioranza in Senato (ma quella alla Camera sarebbe ancora lontana).
In ogni caso è oggi prematuro fare questi conti perchè è più probabile che il centrodestra ottenga la maggioranza assoluta in almeno una delle due Camere.
Di certo lo spauracchio del governo con Renzi potrebbe aiutare a tenere a freno Salvini.
Il quale ieri ha sbandierato l’abolizione della legge Fornero come suo grande risultato ottenuto in cambio dell’apertura al quarto polo, anche se il comunicato congiunto parlava di fermare gli effetti deleteri della riforma, non la sua cancellazione.
Senza contare la totale assenza dell’Europa nell’ambito degli accordi programmatici. Magari non sarà l’unico boccone amaro che Salvini dovrà ingoiare.
Con il fantasma di Maroni alle spalle.
(da “NextQuotidiano“)
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Gennaio 7th, 2018 Riccardo Fucile
A PARTE UN PROGRAMMA CHE SEMBRA QUELLO DEL 1994, QUALCUNO NON HA ANCORA CAPITO COSA STA DIETRO LA SCELTA DI MARONI DI RINUNCIARE ALLA LOMBARDIA
Roberto Maroni potrebbe non ricandidarsi per un secondo mandato da governatore della Lombardia. È quello che emerge dal vertice del centrodestra convocato da Silvio Berlusconi nella sua villa di Arcore.
Per quanto riguarda la Lombardia, se davvero il presidente Maroni per motivi personali non confermasse la disponibilità alla sua candidatura, verrebbe messo in campo un profilo già comunemente individuato”, si legge nel comunicato diffuso alla fine del summit.
In realtà Maroni ha già deciso da tempo, il nome del sostituto sarebbe quello di Mariastella Gelmini, ben poche possibilità per il leghista di Varese Fontana.
Prendono corpo, dunque, le indiscrezioni circolate negli ultimi giorni su un passo indietro di Maroni, eletto nel 2013 con il 42% dei voti contro l’aspirante governatore del centrosinistra Umberto Ambrosoli.
La nota della coalizione parla di “motivi personali”, ma vale la pena ricordare che il presidente è attualmente tra gli imputati del processo con al centro le presunte pressioni per far ottenere un contratto di lavoro e un viaggio a Tokyo a sue due ex collaboratrici dell’epoca in cui era ministro dell’Interno.
Maroni, in ogni caso, chiarirà la sua posizione domani, 8 gennaio, visto che ha convocato una conferenza stampa a Palazzo Lombardia al termine della riunione della giunta regionale.
Cosa si nasconde dietro l’improvvisa decisione di Maroni, dato per vincente sicuro alle Regionali del 4 marzo?
Problemi processuali a parte, con relativa possibile inibizione in base alla legge Severino, Maroni punta a un incarico governatiuvo.
Ma se il centrodestra non raggiunge il 40% come può fare il ministro?
Vale la pena rischiare e perdere la carica di governatore?
Sì, se hai avuto garanzie che ministro (o premier) lo diventeresti lo stesso.
E qui sta l’abile operazione di Berlusconi che Salvini deve ancora capire.
Poniamo che nessuno raggiunga il 40% e si debba andare a un governo di larghe intese o “del presidente”.
Nessuno avrebbe a che ridire sul ruolo “tecnico” di Maroni, leghista moderato e con esperienza ministeriale, abile tessitore di alleanze trasversali.
Non solo, la mossa metterebbe all’angolo Salvini: nel caso si opponesse, Maroni è pronto a sfilargli una pattuglia di parlamentari a sostegno del neogoverno e a garantire diversi posti di sottogoverno ai leghisti più sensibili alle poltrone.
In un colpo Berlusconi riprenderebbe la Lombardia con la Gelmini e neutralizzerebbe quel Salvini che non ha mai amato, dopo aver recuperato un buon rapporto con la Meloni.
Per il resto il programma ricalca più o meno quello del 1994, quando Salvini e Meloni erano adolescenti ma Berlusconi era già agilissimo nelle promesse da campagna elettorale.
E nella capacità di trovare la quadra con i leghisti delle origini.
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Ottobre 24th, 2017 Riccardo Fucile
SALVINI SI VESTE DA POMPIERE PRIMA CHE LE FIAMME DIVORINO IL CAROCCIO: “C’E UNA SOLA LEGA”… MA AL SUD NON L’HANNO PRESA BENE
All’indomani del referendum, i due alfieri dell’autonomia Luca Zaia e Roberto Maroni sono già divisi.
La richiesta del governatore del Veneto di uno statuto speciale non piace al suo collega e compagno di partito, che in un’intervista a Repubblica esprime tutto il suo disappunto. “Zaia mi ha spiazzato, ha avanzato la sua proposta a mia insaputa”.
I due sembrano aver preso strade completamente diverse: se Maroni vorrebbe continuare a dialogare con il governo, Zaia si avvia a uno scontro istituzionale riassunto dal sottosegretario agli Affari Regionali Gian Claudio Bressa, che ha definito “una provocazione” la sua richiesta di uno statuto speciale per il Veneto.
Il governatore lombardo si dice “spiazzato” dalla richiesta del collega veneto, che considera senza mezzi termini un errore.
Una sorpresa condivisa da buona parte del Carroccio, compreso il leader Matteo Salvini. Che però, intervenendo stamattina a Radio Anch’io, mette subito in chiaro una cosa: anche dopo i referendum di Lombardia e Veneto, “c’è una sola Lega che dà speranza a 60 milioni di cittadini italiani” afferma il leader leghista.
Quando alla richiesta di statuto speciale da parte del Veneto, Salvini rimanda tutto a “una discussione tra persone serie”. “Ci sono due milioni e mezzo di veneti che hanno dato mandato per trattare autonomia. Poi quanta autonomia deve arrivare… da persone serie si discute”.
Dopo i referendum – aggiunge – “gli italiani devono decidere” se continuare a farsi governare da “un centralismo che ha fallito”, pur restando “nell’ottica dell’unità nazionale”.
Insomma Salvini cerca di barcamenarsi perchè è evidente che il referendum gli ha creato grossi casini al Sud.
“Mi ha un po’ spiazzato – spiega Maroni a Repubblica – Non era concordata questa mossa, l’ho appresa stamattina. Domani leggerò la sua proposta di legge e capirò se sarà possibile un percorso comune”.
Maroni dice di non sapere perchè Zaia abbia fatto questa mossa “non concordata”. “Francamente non lo so, se per vicende interne alla Lega o per mostrare i muscoli. Però ogni risposta è lecita perchè è indubbio che ora c’è un problema all’interno della Lega. E un altro con il governo”.
Per il leader leghista, è difficile ora fare una battaglia insieme”.
“Bressa – sottolinea Maroni – mi ha telefonato stamattina (ieri, ndr) dicendomi chiaro che se io gli avessi chiesto lo statuto speciale per la Lombardia non sarebbe stata possibile alcuna trattativa con il governo, visto che la materia è di competenza del Parlamento. Io speravo di fare una battaglia comune, e invece a questo punto non ci faranno sedere allo stesso tavolo. Un conto è andare a trattare in due, un altro andarci da soli. E poi anche per un motivo strettamente tecnico”.
Quale? “Al contrario di quella di Zaia che parlava in modo vago di nuove forme di autonomia senza citare le risorse, la mia richiesta referendaria faceva esplicito riferimento all’articolo 116, il che mi impedisce ora di chiedere lo statuto speciale. Anche se volessi allinearmi al governatore veneto, non potrei farlo. Non potrei seguirlo sulla sua strada. Ecco perchè mi ha un po’ spiazzato”.
(da “Huffingtonpost”)
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Settembre 19th, 2017 Riccardo Fucile
NEL 2011 LA LEGA AL GOVERNO FECE QUELLO CHE ADESSO CONTESTA… E REGOLARIZZO’ 200.000 IMMIGRATI
In questo intervento in Parlamento del 30 marzo 2011 il ministro Maroni spiega il funzionamento della distribuzione dei profughi provenienti dai Paesi del nord Africa. All’epoca Maroni aveva proposto alle Regioni un piano per la distribuzione equa dei rifugiati con un criterio molto semplice: ossia in base al numero degli abitanti.
Signor Presidente, la drammatica crisi che ha sconvolto i Paesi del nord Africa sinora ha spinto sulle coste italiane, in poco più di due mesi, oltre 22 mila cittadini extracomunitari contro i soli 25 dello stesso periodo dello scorso anno. È un fenomeno di straordinarie proporzioni, un’emergenza umanitaria, sia per la quantità degli arrivi, che per l’intensità con cui si sono susseguiti. Basti considerare che, lo scorso anno, i dati che ho citato,riferiti ai primi tre mesi, dicono, appunto, di un numero esiguo rispetto al fenomeno che si sta oggiverificando.
Un fenomeno che il Governo ha compreso dall’insorgere della crisi del Maghreb tanto da dichiarare immediatamente lo stato di emergenza umanitaria sul territorio nazionale. Questa decisione ci ha consentito, con la nomina del prefetto Caruso a commissario del Governo, di pianificare da subito una serie di interventi per garantire, non solo l’accoglienza degli immigrati, in maggior parte clandestini, ma anche la sicurezza dei cittadini italiani.
L’unità di crisi del Viminale,che segue l’emergenza umanitaria ventiquattrore su ventiquattro, ha messo a punto nei giorni scorsi quel piano di completa evacuazione degli immigrati da Lampedusa che, oggi, il Presidente delConsiglio ha illustrato proprio a Lampedusa.
Dall’inizio della crisi sono già stati trasferiti da Lampedusa, nei centri del Ministero dell’interno, oltre 13 mila immigrati.
A tutti è stata assicurata assistenza umanitaria e sanitaria, oltre che la possibilità di richiedere la protezione internazionale.
Per quanto riguarda il coinvolgimento delle regioni, tra poco incontrerò i rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni.
Ho proposto loro un piano per la distribuzione equa, in tutte le regioni, con la sola esclusione dell’Abruzzo per i soliti motivi, dei rifugiati, con un criterio molto semplice, ossia in base al numero degli abitanti, alla popolazione.
Sentirò oggi le regioni e mi auguro che vi sia quella solidarietà di tutte le regioni che è stata invocata, da ultimo, dal Presidente della Repubblica.
Magari Salvini vi potrà dire che quella era un’altra Lega, con altri dirigenti (curioso visto che Maroni è Presidente di Regione per la Lega Nord), allora voi raccontategli di quando il governo di centro-destra del quale faceva parte la Lega Nord regolarizzò 200 mila immigrati.
(da “NextQuotidiano”)
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Agosto 30th, 2017 Riccardo Fucile
“E’ LA CONTROPARTITA AL MAXI-FINANZIAMENTO DA 15 MILIONI DI EURO”… BARCATA DI SOLDI PUBBLICI PER COPRIRE IL DEFICIT
Un Gp presentato in grande stile da Roberto Maroni che verserà 15 milioni di euro in tre anni per “questa grande avventura”, come dice il governatore lombardo, mentre i Cinque Stelle in Regione lanciano la polemica sui privilegi della casta e i biglietti riservati ai consiglieri regionali.
“Nel weekend ci sarà il Gp di Monza. Un evento straordinario a cui ho già avuto il piacere in passato di assistere” esordisce così su Facebook il consigliere regionale lombardo del M5S, Stefano Buffagni,sostenendo di aver chiesto di “poter comprare” i biglietti per assistere al gran premio di Monza.
“Oggi scopriamo che ogni consigliere regionale ha a disposizione 6 biglietti da usare come vuole. Siamo 80 consiglieri (senza considerare eventuali assessori). Si parla di almeno 480 biglietti omaggio. Pazzia! Noi ovviamente non accettiamo questi omaggi, come abbiamo fatto per tutti gli eventi, compreso Expo”.
Buffagni aggiunge che i biglietti omaggio per i consiglieri ci sono “perchè la Regione ha versato 20 milioni di euro per coprire i disastri di chi gestiva l’autodromo… quindi sempre i lombardi pagano… anche quei 480 biglietti senza aver fatto partire una azione di responsabilità contro gli ex manager”
Ma davvero ogni consigliere ha diritto a 6 ingressi?
In effetti nel pomeriggio è arrivata una comunicazione a tutti i consiglieri, in cui del presidente del consiglio regionale Raffaele Cattaneo spiega che il governatore Roberto Maroni mette a disposizione dei politici che ne facciano richiesta coppie di biglietti per i tre giorni del Gran Premio, da venerdì a domenica, per prove e gara.
Dunque, due biglietti a testa per tre giorni di eventi. Uguale, sei.
E che il maxi omaggio alla Regione possa essere legato al robusto finanziamento che Palazzo Lombardia ha garantito alla Formula Uno, non stupisce più di tanto i consiglieri eletti, non solo grillini.
A cinque giorni dalla corsa, il botteghino ‘regolare’ invece fa registrare un +9% nella vendita dei biglietti, rispetto ai 140mila spettatori che hanno invaso l’autodromo l’anno scorso.
Domenica a Monza ci sarà anche il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, come un anno fa c’era stato Matteo Renzi, in pieno braccio di ferro per salvare il gran premio d’Italia.
Spettacolo delle Frecce Tricolore e Inno di Mameli intonato da Francesca Michelin, per uno spettacolo di sport ‘sorvegliato speciale’ sul fronte della sicurezza.
Maroni deve pur farsi rieleggere, no?
(da agenzie)
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Agosto 27th, 2017 Riccardo Fucile
TRATTENERE 23 MILIARDI DI IMPOSTE E 30.000 POSTI DI LAVORO? L’ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA DI MARONI PER FARSI RIELEGGERE
Penso che la propaganda di Maroni sul referendum in Lombardia sia una grossa bufala ai danni dei cittadini. Perchè promettere di “trattenere 23 miliardi di euro” (si, avete letto bene) da “distribuire sul territorio” e di “30mila possibili nuove assunzioni” non è serio nè corretto verso gli elettori.
Perchè parlare a slogan di “residuo fiscale” e collegare tutto al quesito è semplicemente falso.
La verità è che Maroni usa furbescamente il referendum come arma di distrazione di massa.
Sia chiaro, l’operazione dal punto di vista propagandistico è raffinata. D’altro canto, quando andavo alle scuole superiori Maroni era già Ministro, mentre a sentirlo parlare anche oggi, sembra che non abbia mai avuto ruoli e responsabilità di governo. Magie.
E pensare che fu proprio il governo Berlusconi, guarda un po’ proprio con Maroni ministro, a bloccare il lavoro sul federalismo differenziato che la Lombardia preparo’ nei primi anni duemila con l’allora governo Prodi. Corsi e ricorsi.
Ora il referendum regionale riprende il tema che si poteva invece trattare con il governo in questi anni senza ricorrere a strumenti costosi.
E invece che ha fatto Maroni su questo dal Pirellone? Nulla. Non ha mai aperto la trattativa con Roma. Non ha mai chiesto di discuterne seguendo ciò che avevano proposto anche i sindaci del territorio e ciò che la Costituzione permette già di fare. Nulla di tutto ciò.
Ha aspettato solo gli ultimi mesi prima delle elezioni regionali per inventarsi l’operazione referendaria. Ha estratto il classico coniglio dal cilindro. Come già fatto anni fa con la promessa-bufala di trattenere il 75% delle tasse in Lombardia (ricordate?).
La verità è che il referendum è talmente scontato che non esiste una scelta tra il si e il no. Perchè nessuna persona sensata può immaginare un altro risultato che il sì.
Ciò che non è affatto scontato invece e’ il costo di questa operazione: ben 50 milioni di euro che potevano essere spesi per i pendolari o per il sostegno al lavoro nei territori. Non così.
Vinceranno i sì, anzi, hanno già vinto. Maroni si gonfi pure il petto e si autoproclami padre di una rivoluzione che rimarrà confinata alla sua propaganda.
Il giorno dopo, non cambierà nulla e si ricomincerà dal via. La Lombardia dovrà chiedere l’apertura di un confronto con lo Stato per discutere eventuali materie da gestire, e in caso di accordo, la legge dovrà essere successivamente votata dal Parlamento.
Ma le vere domande sul futuro della Lombardia rimarranno tutte intatte anche dopo il 22 ottobre.
Perchè le scelte cruciali che andrebbero prese sullo sviluppo sostenibile di questa Regione, dopo gli anni duri della crisi che abbiamo passato, non si definiranno con questo referendum-spot inventato dal governatore per sopravvivere nel gioco di riposizionamento in atto nel centrodestra.
Il 22 ottobre prossimo in Lombardia si aprirà la campagna elettorale e questa semplice verità andrebbe detta agli elettori. Nulla di più e nulla di meno di questo.
(da “Huffingtonpost”)
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Luglio 31st, 2017 Riccardo Fucile
COME SONO STATI SPESI? …LE DOMANDE DELLA CORTE DEI CONTI LOMBARDA
“Scusate, vorreste essere così gentili da dirci che ne è stato degli 871.459.434 euro che Finlombarda risulta aver avuto nella sua totale disponibilità nel 2016 e dei quali non si sa se e come sono stati utilizzati?”.
A porre l’incredibile domanda — non in questi termini, naturalmente, ma il senso è quello — è stata la Corte dei Conti della Lombardia, chiamata il 10 luglio scorso a dare il suo Giudizio di Parificazione del Rendiconto generale dell’ente guidato da Roberto Maroni. Cioè, il suo parere sul bilancio della regione più ricca d’Italia.
I (pochi) media che hanno seguito l’udienza del 10 luglio hanno riferito di un bilancio 2016 che registra una riduzione del disavanzo; di un “saldo contabile, che pur rimanendo negativo, recupera 89,1 milioni di euro rispetto al 2015” e di un “saldo sostanziale che registra un miglioramento di 556,47 milioni rispetto al precedente esercizio”. Insomma, a una prima lettura sembra che Maroni abbia ricevuto una promozione a pieni voti.
Da qui le dichiarazioni del Governatore che esultante dichiarava: «La Corte anche quest’anno ha promosso Regione Lombardia, approvando il bilancio 2016 e confermando così la qualità nella gestione dei nostri conti pubblici».
Tuttavia, a prendersi la briga di spulciare le circa 300 pagine della relazione del Presidente Simonetta Rosa e nella Requisitoria del procuratore regionale, Salvatore Pilato, le ombre escono fuori e sono pure nere.
Il documento, infatti, solleva pesanti rilievi che svariano dai fondi stanziati e inutilizzati dagli enti regionali, alla preoccupazione per la redditività delle grandi società in house, passano per gli allarmi lanciati sulle partecipate Aler (case popolari) e Asam (autostrade) e si concludono con le bacchettate per le assunzioni dei dirigenti delle partecipate e l’abuso dei contratti atipici.
Per Bobo Maroni i dolori arrivano nella parte dalla relazione a firma Giovanni Guida, il magistrato che si è occupato di analizzare i rapporti tra il Pirellone e “gli enti del sistema Regionale (Sireg)”.
Fanno parte dei Sireg tutti quegli enti dalla natura giuridica differente (agenzia, spa, fondazione) ai quali l’architettura regionale lombarda ha conferito un ruolo fondamentale nell’attuazione delle proprie politiche.
Per capirci, sono Sireg: Finlombarda, Infrastrutture Lombarde, Lombardia Informatica, le Aziende Ospedaliere, le Aziende socio sanitarie territoriali (Asst), Aler, Fnm ecc…
Insomma, è l’oceano di tutte le partecipate che di fatto realizzano le politiche decise dalla giunta regionale. E che quindi ricevono una “non marginale quota di trasferimenti”.
E qui iniziano le note dolenti, scrivono i giudici: “Si tratta di risorse che vengono gestite per il tramite di organismi partecipati dalla Regione e delle quali il rendiconto daÌ€ evidenza contabile esclusivamente con riferimento ai dati dell’impegno e della spesa relativi all’assegnazione iniziale delle risorse e che in misura non insignificante rimane non utilizzata nelle contabilitaÌ€ di questi Enti”.
Tradotto: il Pirellone vota le leggi e stanzia i fondi per realizzarle, li gira all’ente che dovrebbe attuare le politiche, ma lì i soldi si impantanano.
Perchè gli enti quei soldi li incamerano, ma non li spendono. E non parliamo di spiccioli, visto che nel 2016 “gli impegni verso enti dipendenti e società totalmente partecipate sono stati pari a 631,57 milioni di euro, di cui 155 per spese di funzionamento”. Anzi, sono talmente tanti, che spesso eccedono le capacità di spesa.
“Un’indagine sulla gestione della liquiditaÌ€ regionale nel Sireg”, aggiungono i magistrati, “ha rilevato come sono trasferite agli Enti risorse eccessive rispetto alla capacitaÌ€ d’impiego da parte degli stessi nell’espletamento delle funzioni loro delegate. Tale fenomeno, che appare riconducibile o a un difetto di programmazione da parte della Regione ovvero ad una scarsa efficienza della gestione operata dai predetti Enti, che non riescono ad impiegare in modo efficace le risorse trasferitegli dalla Regione, potrebbe produrre effetti potenzialmente distonici sulla valutazione del raggiungimento dei nuovi saldi di finanza pubblica in ipotesi di utilizzo di tale liquiditaÌ€ e di un suo eventuale tiraggio da parte della Regione stessa”.
Per comprendere l’entità dell’eventuale “distonia”, basti dire che al 31 dicembre 2016, presso i principali enti Sireg risultavano allocate risorse regionali pari quasi a due miliardi di euro”! Un immobilizzo monstre, che, oltre a togliere liquidità alla Regione e puntualità nell’intervento sociale, ha anche cospicui costi impliciti.
Ma siamo all’inizio: non solo quei soldi restano inutilizzati, ma spesso, dicono i giudici, spariscono dai radar e non si riesce a sapere come vengono utilizzati: “Il Rendiconto della Regione, proprio per essere in gran parte caratterizzato da trasferimenti, non consente di conoscere esaustivamente e di valutare i fatti gestionali attraverso i quali sono attuate le politiche pubbliche, rimesse in gran parte alle attivitaÌ€ degli Enti regionali, neÌ di ricostruire i relativi costi e le procedure amministrative adottate”.
E da qui si capisce l’apparente inconciliabilità di una Corte che da un lato certifica un bilancio in ordine — quello della Regione, dove appaiono solo i soldi girati ai Sireg — e dall’altro lancia l’allarme per l’inconoscibilità dell’utilizzo dei fondi, i quali una volta incamerati dalle partecipate, rientrano nella contabilità delle stesse e non più del Pirellone.
Ad aggravare la situazione, “la facoltaÌ€ riconosciuta alla Giunta di intervenire, modificando le finalitaÌ€ cui le risorse sono state assegnate con precedenti leggi di spesa o determinando una riprogrammazione dell’utilizzo delle stesse, senza alcuna partecipazione da parte del Consiglio”. Cioè: i soldi stanziati a un ente con la legge per le case sismiche, per esempio, la giunta può decidere di “girarli” per la costruzione di campi da golf (è un’ipotesi di scuola), senza che il Consiglio Regionale lo sappia.
Campione di questa “possibile gestione fuori bilancio” e, soprattutto, “del significativo accumulo di risorse che rimangono inutilizzate presso gli organi” è, per i magistrati, Finlombarda, la cassaforte del Pirellone, che di fatto svolge un’“attività di tesoreria alternativa” in favore sia della Regione che degli altri enti.
Finlombarda, recentemente assurta all’onore delle cronache per una supposta truffa milionaria organizzata da alcuni dei suoi manager di punta, nel 2016 ha gestito fondi — finalizzati ad attività di finanziamento, concessione garanzie, contributi in conto capitale o in conto interessi — per un totale di 1.426.221 euro, di cui 871.459.434 risultano essere rimasti giacenti e, dunque, non destinati al diretto soddisfacimento delle politiche regionali.
Tutte “risorse” che scrivono i magistrati “risultano sottratte al sistema della Tesoreria unica dello Stato e, di contro, impiegate anche in strumenti finanziari”.
Insomma, un fiume di soldi — tutti stanziati con uno scopo chiaro — finiti nelle disponibilità di Finlombarda che potrebbero non essere andati per i loro fini originari, o che non sono proprio andati da nessuna parte. Tanto che “la significatività , dal punto di vista quantitativo, di tali risorse regionali liquide (…) sta generando ulteriori fenomeni potenzialmente distonici rispetto ai principi di finanza pubblica”.
E i giudici fanno anche un elenco dei finanziamenti non previsti, effettuati nel 2016 da Finlombarda a favore di alcuni enti regionali: il prestito da 38 milioni concesso come “versamento soci infruttifero” ad Arexpo spa e poi non più richiesto indietro; i 29 milioni dati ad Asam per pagare gli interessi per due prestiti in scadenza; le due anticipazioni straordinarie decise per far quadrare i disastrati bilanci Aler; i 25 milioni concessi a Lombardia Informatica a copertura delle spese generali di funzionamento; la Fondazione Biomedica che ha goduto di un’anticipazione da 25 milioni di euro. Fondi che Finlombarda ha usato, ma che le erano stati dati per fini specifici.
E infatti è qui che per i giudici, sorge un problema di “compatibilità con il divieto di gestioni fuori bilancio, nonchè con la competenza del Consiglio Regionale ad approvare la destinazione delle predette risorse a livello di programmi”.
La scure dei giudici si è anche abbattuta direttamente su alcuni enti regionali, indicati come organismi dalla gestione semi-fallimentare. In questa (ingloriosa) classifica, la parte del leone spetta alle già citate Aler, ad Asam e a Infrastrutture Lombarde spa. Tutte società completamente in house, cioè a totale controllo del Pirellone. Complessivamente, le sole in house hanno ricevuto nel 2016 — al netto dei trasferimenti sanitari — circa il 70% delle risorse complessivamente stanziate per gli enti Sireg, cioè 627.959.648 euro.
Prima di analizzare le “magagne” delle singole società , è d’obbligo una breve ricognizione sui costi di gestione di queste strutture: solo per il loro mantenimento, gli ignari cittadini lombardi hanno sborsato solo nel 2016 la bellezza di 54 milioni. “Per avere un termine di paragone”, sottolineano i giudici con neanche tanto celata ironia, “può rilevarsi che, nel medesimo anno, Regione Lombardia ha speso complessivamente per il proprio personale (2926 persone, ndr) circa 160 milioni di euro”!
A far lievitare il costo del personale delle in house sono anche una miriade di dirigenti, sulle cui modalità di assunzione la Procura generale ha mosso fortissimi dubbi. Pur riconoscendo a queste società il diritto di scegliere i manager apicali con “provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità ”, il procuratore Pilato ha rilevato come “al 31.12.2016 risultino in servizio svariati dirigenti, la cui modalità di assunzione non appare chiaramente riconducibile al predetto dato normativo, poichè l’Amministrazione regionale ha indicato le seguenti modalità di reclutamento: a) “privatistica”; b) “provvedimento del presidente”; c) provvedimento del direttore Generale; d) “provvedimento di natura privatistica”; e) delibera organo di gestione”; f) “selezione tramite società esterna””.
Cioè, tutte assunzioni avvenute al di fuori dei dettami della norma e per il procuratore, “le eventuali assunzioni in violazione delle norme sarebbero nulle di diritto”. Da qui la richiesta formale al Pirellone di un “controllo analogo (a quello da lei svolto su se stessa, ndr) sulle società in house” e che “promuova una verifica sistematica della conformità della legge nella fase di costituzione dei rapporti di lavoro dirigenziali”.
Sottolineando come insieme Regione Lombardia e gli altri enti Sireg nel 2016 alle società in house abbiano conferito oltre 400 incarichi, i giudici hanno poi ricordato l’esistenza del Dl 50/2016, il quale prevede “che prima di procedere ai suddetti affidamenti, venga effettuata una valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, dando anche conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato”.
Per misurare la buona salute delle società — una curiosità più che lecita: essendo le in house società alternative agli uffici regionali per la gestione dei servizi, esse devono essere pienamente operative, altrimenti non avrebbero senso di esistere, no? —, i giudici hanno scelto di utilizzare il ROE (l’indice di redditività del capitale proprio). Trattandosi di società pubbliche, per avere la promozione, è sufficiente che il Roe sia non negativo, in quanto l’investimento pubblico dovrebbe essere finalizzato esclusivamente alla realizzazione della politica pubblica. Pur con questa avvertenza, per i giudici nel triennio 2014/2016 sono parecchi gli enti Sigef che presentano un Roe in caduta e quindi profili di preoccupazione: Finlombarda (1,02 nel 2014, 1,19 nel 2015; 0,64 nel 2016), Infrastrutture Lombarde (3,25; -13,8; 4,13); Lombardia Informatica (1,72; 7,85; 0,04); Explora (-399; 7,68; 1,17); Arexpo (0,53; 0,23; -33,7) e Asam (-6,09; -1,76; -3,96).
Una mezza debacle. A destare più preoccupazione è la declinante redditività di Infrastrutture Lombarde, la super società che gestisce i più grandi appalti della Regione, i cui vertici sono stati decapitati nel 2015 per un giro di maxi tangenti.
I giudici hanno puntato il dito sui risultati di esercizio: pur se nel 2016 la società è tornata in utile (per poco più di 300 mila euro) a fronte di una perdita del 2015 di oltre un milione di euro, “non può non evidenziarsi sia una notevole diminuzione del valore della produzione, calato di circa due terzi dal 2014 al 2016, sia il forte incremento del contributo in conto esercizio da parte di Regione Lombardia che passa, nello stesso periodo, da 763 mila euro a 7,1 milioni”.
Altra nota dolente è Aler: per i magistrati “non può non ricordarsi la situazione di marcata criticità in cui versano Aler Milano e Aler Pavia-Lodi, entrambe oggetto di piani specifici di risanamento, il raggiungimento dei cui obiettivi (…) appare riscontrare significativi ritardi. A tal riguardo, appare emblematico ricordare come nel 2016 Aler Milano abbia fatto ricorso ad anticipazioni di cassa per la gestione corrente per più di 56 milioni di euro, nonchè come la stessa Aler sia in ritardo nell’implementazione del sistema informatico SIREAL (Sistema informativo integrato Regione Lombardia-Aler) che dovrebbe consentire un miglior monitoraggio da parte di Regione di tali enti”.
Se Aler piange, certamente Asam non ride: ereditata dalla ex Provincia di Milano, la holding delle partecipate societarie facenti capo a Finlombarda che controlla le principali autostrade lombarde (presieduta dall’ex capo di Aler, l’ex profetto Gian Valerio Lombardi) è interessata da “una situazione di particolare criticità ”. L’indebitamento complessivo, pari a 172.333.327 euro, è un fattore che “può compromettere la stessa continuità aziendale”.
Sireg a parte, anche Regione Lombardia ha i suoi scheletrini nell’armadio, dalle spese per il personale al carente sistema dei controlli interni.
Circa il personale, la Corte ha registrato l’ennesimo pesante sforamento della spesa per i contratti di lavoro flessibile: a fronte di un tetto di 4.294.921, ha infatti speso ben 6.256.756, con uno sforamento — ritenuto “non accettabile” — di 1,9 milioni e rotti. “Il protrarsi di tale violazione genera obiettivi profili di criticità ” dal punto di vista sia “della legitimità contabile dell’eccedenza di spesa”, sia “della conformità dell’attività amministrativa alla disciplina finanziaria in sede di programmazione, gestionale e di consuntivo”, dicono i magistrati.
Neanche dal punto di vista dei controlli messi in atto per combattere la corruzione, la famosa e contestata agenzia Arac, per i giudici, va tutto benissimo: “L’architettura complessiva ed il funzionamento dei controlli interni merita particolare attenzione sotto i profili dell’effettivitaÌ€ delle misure di garanzia, poste a presidio dell’integritaÌ€ della finanza pubblica e dell’efficienza amministrativa, anche nella logica dell’adeguato contrasto delle forme piuÌ€ insidiose di devianza economica”.
Infine, l’ultima bacchettata a Maroni arriva dai “costi della politica”: per i giudici, infatti, “un ulteriore profilo da monitorare con attenzione concerne i costi degli apparati delle segreterie politiche dei componenti della Giunta regionale”. Emerge infatti “che tali costi esprimono importi significativi, ammontando ad Euro 5.969.711,34, importo di gran lunga maggiore, ad esempio, rispetto al dato del 2013 pari ad Euro 4.735.136,01, seppur in lieve calo rispetto al 2015 (Euro 6.088.800,30)”
Alla luce di quanto detto e scritto, quella data dai giudici a Maroni il 10 luglio scorso può sembrare molte cose, tranne una promozione a pieni voti. Sarà per l’anno prossimo, Bobo.
(da “Business Insider”)
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