CONSULTA, I 535 GIORNI PIU’ LUNGHI: IL MERCATO DELLA POLITICA
IL CASO NON E’ ISOLATO, ERA GIA’ ACCADUTO PER IL CSM… E I COSTI PER TUTTI SONO INSOSTENIBILI
Deputati e senatori non si perdano d’animo proprio sul più bello. Il record è lì, a portata di mano: si tratta di resistere appena 89 giorni.
Tanti ne mancheranno, quando il 14 dicembre il parlamento tornerà a votare per eleggere i giudici della Consulta, per superare il primato che resiste ormai da 18 anni. Quello del più lungo periodo trascorso con la Corte costituzionale a ranghi incompleti: i 623 giorni ininterrotti fra il 23 ottobre 1995 e il 9 luglio 1997 impiegati per rimpiazzare Vincenzo Caianiello con Annibale Marini, come ha ricordato qualche tempo fa l’agenzia di stampa Adnkronos.
Il 14 dicembre ne saranno passati ben 535 da quando, alla fine di giugno dello scorso anno, sono scaduti Luigi Mazzella e Gaetano Silvestri.
Fuoriuscite a cui sono poi seguite quelle di Giuseppe Tesauro, Sabino Cassese e Paolo Maria Napolitano, scaduti a novembre, e di Sergio Mattarella, eletto a gennaio presidente della Repubblica.
Sei sedie vuote, di cui nel frattempo ne sono stata rioccupate soltanto tre grazie alla nomina di Silvana Sciarra e alle designazioni di Daria de Pretis e Nicolò Zanon da parte dell’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano: con il risultato che la Corte lavora con dodici giudici anzichè quindici. Il che non è affatto un dettaglio trascurabile, come si potrebbe credere.
Chi paga per i pareggi?
Vero è che la Consulta può operare anche con soli undici giudici. Ma che cosa può accadere quando non c’è il plenum, e per giunta la Corte si trova a decidere con un numero di giudici pari, lo dice chiaramente una sentenza di qualche mese fa, quando venne dichiarato incostituzionale il blocco della rivalutazione delle pensioni decretato dal governo di Mario Monti.
Una decisione che ha rovesciato sulle spalle dei contribuenti alcuni miliardi di euro e che è passata, con sei voti favorevoli e sei contrari, soltanto perchè il presidente Alessandro Criscuolo, il cui voto vale doppio, era schierato con i primi.
Ragion per cui provvedere alla rapida sostituzione dei giudici scaduti rappresenterebbe anche una garanzia per il corretto funzionamento di un organismo così fondamentale per la vita democratica.
Da decenni, invece, è proprio in questa occasione che la politica mette in mostra con tracotanza i propri aspetti peggiori.
Lottizzazione, equilibrismi di partito, biechi interessi di corrente a cui viene sottomesso con disinvoltura l’interesse generale.
La conseguenza è che il compromesso reso necessario dal quorum elevato per l’elezione dei giudici sfocia talvolta in scelte improbabili. Quando non addirittura, com’è successo nel caso dei membri laici del Consiglio superiore della magistratura per cui funziona lo stesso indigesto cerimoniale, viziate da difetti gravi come la manifesta incompatibilità . Con risvolti grotteschi.
Nomi tritati (e volgarità in Aula)
In questi 535 giorni il tritacarne del parlamento riunito in seduta comune ha macinato nomi come quelli dell’ex presidente della Camera Luciano Violante, dell’avvocato ed ex deputato di Forza Italia Donato Bruno (poi deceduto), dell’ex sottosegretario alla presidenza Antonio Catricalà .
Senza risparmiare nemmeno l’avvocato generale dello Stato Ignazio Caramazza, indicato da Forza Italia, al quale i leghisti non si astennero dal riservare una simpatica sorpresa: «Siccome qui siamo alla farsa, invece che Caramazza votiamo Caraminchia!» (Ansa, 2 ottobre 2014).
L’occasione è ghiotta per sferrare colpi bassi e consumare vendette. E di sicuro non è una novità .
Ancora l’Adnkronos ha rammentato che per la nomina di Leonetto Amadei furono necessari 353 giorni, per Ettore Gallo 379 e per Cesare Mirabelli 387.
Invece per sostituire l’avvocato Romano Vaccarella dimessosi il 4 maggio del 2007 si impiegarono addirittura 536 giorni, dopo che per eleggerlo ce n’erano voluti 519 con ben 12 fumate nere.
Tre in più delle sedute andate a vuoto un paio d’anni prima per l’elezione di Luigi Mazzella.
Sempre così? No, sempre peggio
Si potrebbe dire che funziona così fin dall’alba della Repubblica, con tutte le distorsioni implicite nel meccanismo.
A titolo di esempio si potrebbe citare il caso del secondo presidente della Consulta, Gaetano Azzariti, che era stato uno dei massimi burocrati del regime fascista, fino a diventare il presidente dell’infame Tribunale della Razza.
Ma il fatto è che un andazzo spesso discutibile peggiora di volta in volta. Le 12 fumate nere servite a nominare il sostituto di Vaccarella fanno ridere al confronto delle 29 sedute già concluse senza esito da 535 giorni a questa parte per sostituire i giudici costituzionali usciti di scena.
Alle quali si devono sommare le altre 16 spese per nominare i sei membri laici del Consiglio superiore della magistratura. Di cui cinque ex onorevoli (Giovanni Legnini e Giuseppe Fanfani del centrosinistra, Antonio Leone e Maria Elisabetta Alberti Casellati del centrodestra, e l’ex ministro della Salute Renato Balduzzi di Scelta civica) e l’avvocato Teresa Bene: l’unica a non essere transitata sui uno scranno parlamentare, e l’unica a vedersi revocare la nomina per la presunta carenza di titoli. Uno schiaffo a cui la protagonista di questa disavventura non ha reagito sportivamente, ma con un ricorso al Tar.
Alla Corte costituzionale si sarebbe invece appellato Matteo Brigandì, ex deputato e avvocato di Umberto Bossi, piazzato anch’egli subito dopo le sue dimissioni dalla Camera al Consiglio superiore della magistratura.
Ma poi dichiarato decaduto dallo stesso Csm per incompatibilità con il suo incarico di amministratore della Fin group, la finanziaria del Carroccio.
I conti impossibili
Quanto grava sui contribuenti tutta questa giostra insensata, fra sedute perse, scelte inutili o semplicemente sbagliate, inefficienze degli organi costituzionali, ricorsi, pareri e controricorsi? Il calcolo è impossibile.
Ma una domanda è d’obbligo: la spesa che i cittadini sopportano per tutto ciò può essere rubricata sotto la voce «costo della democrazia»?
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera”)
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