DI SCUOLA NE SA PIÙ CROZZA O IL MINISTRO?
C’E’ ORMAI UN FOSSATO TRA CHI I PROBLEMI DELLA SCUOLA LI VIVE E CHI GOVERNA
Verrebbe voglia di ripristinare il vecchio armamentario simbolico: le orecchie d’asino. Pelose, lunghe e rivelatrici.
Che oggi ostenta sorridendo, nella compiaciuta ignoranza, come Pinocchio di fronte allo specchio, colui che parla e legifera di scuola, senza conoscerla.
C’è ormai un fossato tra chi si occupa giornalmente di scuola, nel senso che la vive, come docenti o studenti, e tutti gli altri.
La scuola non è solo misconosciuta, a causa di pseudoriforme e sciagurati decenni di tagli all’istruzione, ma letteralmente sconosciuta. Sconosciuta ai più. Tra questi, molti occupano le aule parlamentari.
Ascoltando la ministra Giannini a DiMartedì (La7, 21.15), ospite di Giovanni Floris, se n’è avuta un’ulteriore conferma, nel momento in cui si è usato e osato l’argomento principe della propaganda renziana: “La scuola è al centro dell’agenda politica del governo”.
Il conduttore ha perso l’attimo ghiotto, perchè avrebbe potuto prontamente replicare: “E di grazia, dove risiederebbe, nel disegno di legge del Governo tale presunta centralità ?”
Si dice infatti che Renzi sia un affabulatore. Ma nel documento della “buona scuola” e nella legge approvata alla Camera, al di là dei “contenuti” sono assenti proprio fabula e intreccio.
Manca una tessitura narrativa degna di questo nome.
Oltre l’abusata metafora geometrica della “centralità ”, quali sono le parole d’ordine, gli slogan che si potrebbero usare per lanciare nella migliore forma comunicativa la legge sulla “Buona scuola”?
Autonomia e valutazione. La ministra non ha che questi due concetti da spendere, e sembra quasi in imbarazzo semantico.
E chiunque, anche coloro che poco s’intendono del tema, comprendono che è il nulla. Non si vincono le elezioni su “autonomia” e “valutazione”.
Se anche volessimo giocare il ruolo di fan del governo, non sapremmo a quali simboli aggrapparci. Alla propaganda mancano parole e immagini. E fa difetto la logica. Visto che alla roboante “centralità ” segue il topolino “autonomia”.
Chi invece sembra aver compreso tutto della scuola è Renzi. Ma l’altro.
Quello col parrucchino e i denti da coniglietto che a Crozza nel paese delle meraviglie scrive e pronuncia il più bell’editoriale che sia stato prodotto sull’argomento.
Dura otto minuti . Inizia leggero ma a un certo punto calano le luci, il tono s’impenna e la maschera si scioglie.
La comicità diviene un pretesto per fare il vuoto attorno e creare una sospesa attenzione. La maschera ridens renziana si decompone, come il trucco di un clown, che disvela la malinconia dietro la risata dipinta.
E parla Renzi, con voce finalmente sincera. E confessa che una riforma vera lui non ce l’ha, e che sa bene in realtà quale sarebbe.
Restituire dignità agli insegnanti attraverso uno stipendio gratificante, non quei 500 euro annuali per spese culturali. Che sono “stronzate”.
La vera riforma sarebbe fare come in Germania, dove un professore prende fino a 55.000 euro all’anno, contro i nostri 23.000. È vero. “Ma i soldi dove li prendo?” Forse portando gli stipendi dei politici di professione a 1.500 euro e quelli degli insegnanti a 4.000. Come si fa in Germania. Ma non può.
Perchè, se proprio fossimo in Germania, uno come lui non farebbe il premier, ma “l’animatore per bambini in un autogrill di Dusseldorf”.
Luigi Galella
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