DOPO LA MOSSA DI MONTI STUPORE E RABBIA AD ARCORE: “ORA SARA’ GUERRA APERTA”
SI POTREBBE ANDARE A VOTARE A FINE FEBBRAIO. BERLUSCONI IRRITATO TEME DI NON FARE IN TEMPO A RISOLLEVARE IL PDL
Colto in contropiede nella gelida serata di Arcore.
Il forfait di Monti non era contemplato nella campagna d’inverno appena lanciata da Berlusconi.
La prima reazione, appena appresa la notizia, è stizzita, se quello lanciato da Palazzo Chigi è un guanto di sfida, viene raccolto: «Vuole metterci all’angolo. Bene, il Professore ha rotto gli indugi. Avrà deciso di candidarsi, ci misureremo alle urne. A questo punto lo scontro sarà con lui».
La reazione ufficiale, quella concordata nel giro di pochi minuti al telefono con Angelino Alfano — sorpreso nel frattempo in pieno relax con amici a Montecatini — è inevitabilmente diplomatica.
E conferma la linea della «responsabilità » e della disponibilità a votare la legge di stabilità in tempi rapidi.
Ma nelle telefonate coi suoi più stretti collaboratori Berlusconi mostra di aver compreso tutta la portata politica e i rischi del gesto compiuto dal presidente del Consiglio.
C’è parecchia tensione. «Vogliono far ricadere su di noi la responsabilità della crisi, ci accuseranno di averlo sfiduciato e di aver provocato un nuovo innalzamento dello spread» sostiene il Cavaliere.
Ma più che l’aspetto politico a preoccuparlo è la clessidra che a questo punto scorre più velocemente, più di quanto avesse preventivato.
Nei colloqui privati degli ultimi due giorni, l’ex premier non aveva fatto mistero di non avere alcuna fretta di votare in tempi rapidi.
Di voler organizzare per bene la campagna più delicata della sua carriera politica.
Tanto più dovendo rifondare e rilanciare ex novo il partito, selezionare centinaia di candidature, pianificare una campagna in grande stile.
«Se alla fine il Quirinale decidesse per fine marzo o il 7 aprile non mi dispiacerebbe più di tanto» aveva confessato a uno degli ultimi deputati ricevuti a Palazzo Grazioli prima di tornare a Milano per il week end di festa. Ora tutti i piani saltano.
Nei calcoli fatti in serata tra i dirigenti pidiellini, calendario alla mano, un’approvazione anticipata della legge di stabilità e il conseguente, immediato scioglimento delle Camere determinato dalle dimissioni potrebbe portare al voto il 24 febbraio.
Neanche due mesi di tempi, dal rientro dallo stop natalizio, per scatenare la macchina elettorale della nuova Forza Italia.
Pochissimo, anche per l’artiglieria collaudata del Cavaliere.
Il sospetto che aleggia da ieri sera tra Villa San Martino ad Arcore e il quartier generale del partito a Roma è che l’exploit del Professore nasconda un patto con gli avversari, un accordo magari neanche tanto tacito con Pier Luigi Bersani.
Se non addirittura la decisione del premier di mettersi in gioco sponsorizzando i centristi.
In ogni caso, Berlusconi intende capovolgere a proprio favore la carta messa sul tavolo da gioco dal Monti. «Diremo che ha fatto bene a dimettersi», raccontano sia stato uno dei primi ragionamenti confidati da Berlusconi: «Del resto l’80 per cento dei nostri elettori non ne poteva più di questo governo delle tasse».
Contro l’esecutivo dei tecnici lui stesso stava per imbastire la prima parte della campagna elettorale, quella già partita.
Le dimissioni del premier in parte spiazzano la strategia. Anche se, raccontano i suoi, l’affondo contro «la politica recessiva» del governo dell’ultimo anno resterà uno dei tratti essenziali del programma.
Le dimissioni di Monti, dunque, andranno sbandierate come un mezzo successo. Anzi — come già sostiene Daniela Santanchè e come da oggi sosterranno tutti i falchi — «un risultato del Cavaliere».
È la linea della controffensiva già partita.
La verità è che l’affondo di Palazzo Chigi è andato a segno e ha sortito i suoi effetti.
Non è un caso se, nonostante la tarda serata di un sabato festivo, una parte del Pdl ha dato subito voce alla profonda irritazione generata nel partito dalla mossa a sorpresa di Mario Monti, accusato perfino di «scorrettezza» e quasi di ingratitudine dai senatori berlusconiani Viceconte e Gentile.
Il refrain ufficiale delle prossime ore sarà all’insegna del self control, della disponibilità a votare subito la legge di stabilità per andare alle urne, anche presto, anche a febbraio.
«Non intendiamo certo sfiduciare il governo — spiega a caldo Mariastella Gelmini — Voteremo la legge fondamentale per i conti dello Stato. Non vogliamo gettare il paese nel caos, siamo e restiamo responsabili».
Come dire, se di pistola puntata si tratta, allora la pistola è «scarica».
Il Pdl dovrà dimostrare di non aver paura del voto ancor più imminente. Ma tutto a questo punto si complica nella trincea di un Berlusconi tornato con l’elmetto.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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