EFFETTO ILVA, I GIUDICI PIU’ ISOLATI D’ITALIA
I RIVA E LA POLITICA CERCANO DI SCARICARE SULLA PROCURA LA RESPONSABILITà€ DELLO STOP DELLE FABBRICHE AL NORD CON 1400 POSTI A RISCHIO
Se i magistrati commentano i provvedimenti sono politicizzati.
Se tacciono, come la Gip Patrizia Todisco e il pool di Taranto titolare dell’inchiesta su “Ambiente svenduto”, vengono accusati di arrecare danni all’economia, all’occupazione e di generare tensioni sociali.
Insomma, parafrasando Antoine: “Se lavori ti tirano le pietre… non fai niente e ti tirano le pietre qualunque cosa fai sempre pietre prenderai”.
Al punto che il Procuratore capo Franco Sebastio, uomo pacato, è costretto a intervenire con un comunicato: “La continuità produttiva non è a rischio”.
La Procura, contrariamente a quanto sostiene il sindaco di Verona Flavio Tosi o l’ex ministro Mariastella Gelmini, non è la causa della “messa in libertà ” di 1400 operai delle 13 società del Nord Italia del Gruppo Riva Acciaio.
“I beni sequestrati (conti correnti e partecipazioni azionarie) verranno immediatamente affidati all’amministratore giudiziario” Mario Tagarelli, commercialista di Taranto, nominato a suo tempo dal giudice “proprio per garantirne la gestione e prevenire effetti negativi sulla prosecuzione dell’attività industriale”.
Nessun divieto d’uso, dunque, blocco di disponibilità finanziarie che saranno gestite dall’amministratore.
Ma il Gruppo Riva Acciaio afferma che “le banche hanno disposto il congelamento totale o la revoca dei fidi, e il blocco degli impianti e dei conti correnti impedisce alla società di svolgere la normale attività produttiva, operazioni come pagare le utenze o gli spedizionieri per la consegna dei materiali già venduti”.
Quello che ha tutta l’aria di un sequestro inaspettato, in realtà , spiega il Procuratore Sebastio, è “l’esecuzione del provvedimento di sequestropreventivofunzionalealla confisca del 22 maggio ai sensi del decreto legislativo 231/2001” (responsabilità amministrativa delle imprese).
Provvedimento “confermato dal Tribunale del Riesame” che riguardava Riva Fire spa, Riva Forni Elettrici spa e Ilva spa, e che “prevedeva la sua estensione anche a ulteriori società controllate, collegate o comunque sottoposte all’influenza dominante” delle stesse. In base alla legge 231 del 2012, tutela dellacontinuità produttivapereffettuare interventi di risanamento ambientale, come prescritto dall’Aia, l’Ilva di Taranto, di Genova e di Novi, affidate al commissario Enrico Bondi, sono escluse dal sequestro.
Inutile chiedere commenti alla gip Todisco, che entra in ufficio al mattino ed esce a notte fonda e a qualunque domanda con un sorriso risponde: “Mi scusi, debbo andare”.
Amici intimi raccontano che per evitare di vedere le foto del suo compleanno su qualche giornale lo ha festeggiato in un ristorante fuori Taranto.
Da ambienti della Procura apprendiamo che il sequestro è conseguenza della perizia dei consulenti da lei nominati: per il risanamento dell’Ilva e per la bonifica ambientale occorrono 8 miliardi di euro.
Che la famiglia Riva si guarda bene dal tirare fuori, nonostante anche per il segretario della Fiom, Maurizio Landini, abbia “precise responsabilità nell’incapacità dell’Ilva di produrre senza inquinare. L’attuale assetto proprietario dell’Ilva non è in grado di dare alcuna continuità occupazionale e produttiva. Se vogliamo salvare la siderurgia in Italia non possiamo escludere un intervento diretto dello Stato”.
Mentre Susanna Camusso, Cgil, chiede una norma per scongiurare la chiusura degli stabilimenti decisa dalla proprietà contro (e non a seguito) del sequestro dei beni disposto dall’autorità giudiziaria.
Secondo una ricerca della facoltà di Veterinaria dell’Università di Bari, pubblicata su una rivista americana, a Taranto anche cani e gatti sono gravemente contaminati dalla diossina.
Animali da compagnia che, non fumano — questa volta Bondi non potrà dare la colpa alle sigarette — ma che si cibano spesso delle stesse cose che mangiano i loro padroni e respirano la stessa aria.
Sandra Amurri
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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