GIORGIA SI AGGRAPPA AL PNRR PER EVITARE UN BAGNO DI SANGUE A CAUSA DEI DAZI: L’IDEA DI UTILIZZARE I FONDI DEL RECOVERY CHE NON POSSONO PIÙ ESSERE MESSI A TERRA DA QUI AL 2026 A CAUSA DEI RITARDI, PER DESTINARE LE RISORSE ALLE IMPRESE SOTTO FORMA DI INCENTIVI, L’OBIETTIVO È RIMEDIARE 10 MILIARDI DI EURO
MA C’È L’INCOGNITA DELLA COMMISSIONE UE, CHE DEVE DARE IL VIA LIBERA A UNA REVISIONE DEL PIANO … IL CORTOCIRCUITO DEL VIAGGIO DELLA DUCETTA DA TRUMP, PREVISTO IL GIORNO DOPO L’AVVIO DEI DAZI UE
La task force si riunisce quando Piazza Affari ha appena chiuso, distinguendosi per un altro tracollo. Il terzo consecutivo. Giorgia Meloni chiama i suoi ministri a Palazzo Chigi: il titolare dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, per analizzare mercati e prospettive macroeconomiche.
E gli altri per ragionare sull’impatto dei dazi: i due vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, Adolfo Urso e Francesco Lollobrigida, insieme a Tommaso Foti. Al termine dell’incontro, la premier fa diffondere una nota in cui si ribadisce che «una guerra commerciale non avvantaggerebbe nessuno, né l’Unione europea né gli Stati Uniti».
Non è un caso che si parli delle aziende, che vivono ore di angoscia. Meloni incontrerà i rappresentanti delle categorie produttive oggi pomeriggio a Palazzo Chigi. A loro assicurerà anche di essere pronta a battersi a Bruxelles per «intervenire sulle regole ideologiche e poco condivisibili del Green deal e sulla necessità di semplificare il quadro normativo».
La premier ritiene che esistano diverse soluzioni per destinare risorse ai settori sottoposti al tornado dei dazi. Il problema è capire quali siano i punti deboli della filiera. Quantificarne le perdite. E costruire la strategia migliore per sostenerle, sapendo che il Pnrr consente solo alcuni tipi di interventi innovativi. È un calcolo scivoloso, ma necessario. Così sul tavolo finisce il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Non un decreto di ristori, che sarebbe di difficile realizzazione: quelli a fondo perduto sbatterebbero contro le regole Ue degli aiuti di Stato, senza contare che i margini del
bilancio sono esigui, se non nulli. Non a caso Meloni e Giorgetti insistono per una sospensione del Patto di stabilità. Al contrario, il Pnrr è uno strumento già a disposizione, con i prestiti inglobati nel debito e ancora un certo margine sulle sovvenzioni.
La trattativa con Bruxelles per la revisione del Piano è già avviata. Ora però si tratta di riadattarla all’emergenza dazi. L’obiettivo è liberare fino a 10 miliardi, da girare alle imprese sotto forma di incentivi. In cima alla lista dei beneficiari ci saranno le aziende dei settori più colpiti dalle barriere commerciali di Donald Trump, come l’agroalimentare. Ecco allora il progetto allo studio. Poggia su un assist costruito in Europa da Raffaele Fitto: la riforma della politica di coesione. La programmazione potrà accogliere i progetti del Pnrr che non riusciranno a essere completati entro la scadenza del 31 agosto 2026.
Il disegno di Meloni parte da qui. Alcuni investimenti saranno spostati dal Piano alla Coesione, liberando circa la metà dei 10 miliardi per le imprese. L’altra metà arriverà da una rimodulazione di Transizione 5.0, i crediti d’imposta per gli investimenti green. Dei 6,3 miliardi previsti dal Pnrr sono stati utilizzati appena 700 milioni. Restano circa 4,3 miliardi, considerando che si stima un utilizzo di altri 1,3 miliardi da parte delle imprese. Quasi tutti i residui finiranno sui contratti di sviluppo.
Aiuteranno le filiere produttive strategiche. La premier è pronta ad accogliere la proposta di Confindustria, ma non vuole che la riallocazione si trasformi in un “liberi tutti”. E quindi dirà no ai finanziamenti a pioggia. Per questo le risorse resteranno dentro il Pnrr, rispettando le milestone del Recovery.
C’è un’altra incognita che pende sui sostegni alle imprese: l’Europa. La Commissione deve dare il via libera alla revisione del Pnrr. I dazi premono, bisogna fare in fretta. Ma il lavoro aggiuntivo richiederà tempo, almeno un paio di settimane. Nel frattempo, Meloni prepara la missione da Trump. La data del colloquio alla Casa Bianca è il 16 aprile, anche se resta un margine per cambiare programma e spostare l’incontro al 17.
(da La Repubblica)
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