HAFTAR PREPARA IL SUO COLPO DI STATO IN LIBIA CON IL SOSTEGNO DI MACRON
L’ORA X E’ IL 17 DICEMBRE… E L’ITALIA NE USCIRA’ CON LE OSSA ROTTE PER AVER APPOGGIATO IL LEADER SBAGLIATO… E DOVRA’ PAGARE HAFTAR
L’Italia seleziona le Ong per impegnarle a rendere umani i centri di accoglienza in Libia, mentre il generale Haftar pianifica il golpe con il sostegno dei suoi grandi sponsor esterni.
Il conto alla rovescia è già iniziato. L’ora X fissata: il prossimo 17 dicembre.
Quel giorno scadranno gli accordi negoziati in Marocco che portarono alla formazione del governo di unione nazionale guidato da Fayez al-Sarraj.
Un governo che è stato sempre inviso all’uomo forte della Cirenaica e al parlamento di Tobruk che lo sostiene. Scaduto il tempo della verifica, l’esercito di Haftar (trentamila uomini in armi) marcerà su Tripoli per insediare al potere l’ex ufficiale di Gheddafi.
Il suo pensiero è tagliente: “Continuate pure con incontri, road map, emendamenti agli accordi vigenti, in quella data (il 17 Dicembre, ndr) scatterà la sollevazione, interverrà l’Esercito nazionale libico al quale il popolo chiederà aiuto, e io alla testa dei militari prenderò il controllo della Libia. A quel punto sarò l’unico vero interlocutore credibile del Paese”.
Nel frattempo, Haftar sta consolidando le sue alleanze con alcune delle tribù più potenti, avanza in Tripolitania e cementa i suoi rapporti internazionali: direzione Il Cairo e Parigi, non certo Roma.
Inoltre, l’ambizioso generale può contare sui petrodollari degli Emirati Arabi Uniti. La forza di Haftar è anche nella debolezza del suo rivale tripolino.
“L’unica autorità che sembra conferire qualche valore a Fayez al-Sarraj è il governo italiano, ai cui occhi sembra godere di una credibilità maggiore rispetto a quella di cui gode in patria visto che lo hanno riconosciuto e di tanto in tanto gli fanno firmare anche dei documenti. In Italia è come uno dei Rolling Stones, ma nel suo paese la sua somiglia di più a una band underground…”, annota nella sua rubrica Cartoline da Tripoli su Internazionale il regista e sceneggiatore libico Khalifa Abo Khraisse.
Entro l’anno Haftar vuole mettere il mondo di fronte al fatto compiuto: chiunque intenda contrastare il traffico di migranti e combattere l’Isis in Nord Africa, deve avere lui come punto di riferimento, “innalzandolo”, con il dovuto sostegno economico, militare e politico, a Gendarme del Mediterraneo.
Cosa voglia Haftar dall’Italia, il generale lo ha spiegato molto bene in una intervista al Corriere della Sera in occasione della sua missione a Roma, il 29 settembre scorso, nel corso della quale ebbe incontri con i ministri della Difesa Roberta Pinotti e dell’Interno Marco Minniti, con il Capo di Stato Maggiore Claudio Graziano e con i vertici dei servizi: “Quanto al controllo delle frontiere Sud, le mie forze possono fornire manodopera, ma voi europei dovete inviare aiuti: droni, elicotteri, visori notturni, veicoli”, dettaglia Haftar.
La richiesta di invio di materiale militare si scontra però con la decisione dell’Italia di rispettare l’embargo Onu sul materiale bellico in Libia.
“Da tempo dico che tale embargo va cancellato nei riguardi del nostro esercito nazionale. Tutti i Paesi europei interessati a fermare i migranti dovrebbero revocarlo”, sentenziò il generale.
In questo schema, al-Sarraj è un “signor nessuno” — definizione non proprio elogiativa coniata dallo stesso Haftar – senza futuro.
Haftar va preso molto sul serio anche perchè dietro alle sue affermazioni c’è il patto di ferro stretto dall’inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, e dal suo omologo egiziano, Abdel Fattah al-Sisi.
Un accordo in cui geopolitica e affari sono saldati indissolubilmente. La riprova si è avuta qualche giorno fa, quando il responsabile di Naval Group, il potentissimo Hervè Guillou, si è aggiudicato l’ammodernamento della flotta egiziana.
Il Cairo diventa così il secondo maggior cliente del gigante dell’industria navale militare transalpina. Cliente e partner nel piano che prevede un rafforzamento della presenza della francese Total in Libia, con una partnership egiziana.
Il patto euromediterraneo evocato dall’Italia ne esce con le ossa rotte.
“Il fatto è — si lascia andare una fonte diplomatica di alto rango con l’Huffingon Post — che a Macron non interessa una Europa più forte sullo scenario internazionale ma una Francia più forte in Europa, a cominciare dal Mediterraneo, per estendere la grandeur al Medio Oriente e all’Africa”.
Insomma, siamo alle prese con i “fratelli-coltelli” transalpini. Gli interessi italiani rischiano di entrare in rotta di collisione con quelli francesi in Libia come in Algeria, in Egitto come in Libano.
Nei mesi scorsi, molto si è scritto e detto sulle minacce militari avanzate da Haftar e dai suoi comandanti contro la Marina militare italiana impegnata nel sostegno alla Guardia costiera libica. Ma la vera minaccia, quella più dolorosa, era contenuta in una direttiva, la numero 37, emanata, a metà agosto, dal ministro dell’Economia di Tobruk, Munir Asser, con la quale vietava “l’apertura e l’estensione di qualsiasi filiale di aziende italiane in Libia, così come la costituzione di joint venture di imprese libiche con aziende italiane”.
Nel frattempo, Roma avrebbe voluto che Haftar e il suo esercito fornissero protezione all’impianto petrolifero e di estrazione di gas situato a Mellitah, una stazione di pompaggio dell’Eni a 100 chilometri ad ovest di Tripoli.
La risposta? Scaricate Sarraj e il suo governo di incapaci e corrotti e poi ne parliamo…
Per fermare i trafficanti di esseri umani è necessario stabilizzare la Libia, ha più volte sostenuto il titolare del Viminale.
Il fatto è che l’Italia ha puntato sul “cavallo” sbagliato e quando se ne è resa conto ha provato a correggere il tiro, cercando un riavvicinamento con Haftar e finanziando, via Sarraj, alcune delle milizie operanti a Sabrata, la “capitale” degli scafisti.
Solo che nella stessa Sabrata a rivoltarsi contro le milizie anti-trafficanti “italiane” sono state le milizie che sostengono Haftar e che hanno vinto sul campo: Ahmed Amu Dabbashi, detto lo “zio”, il capo miliziano che controllava la città (e su cui aveva puntato l’Italia) nei giorni scorsi ha dovuto abbandonare Sabrata per rifugiarsi in aree più sicure.
E per mandare un avvertimento all’Italia, le milizie vincenti hanno fatto riprendere i viaggi dei migranti, destinazione Sicilia.
Il messaggio è chiaro: “quei 5 milioni di dollari spettano a noi”.
È il pizzo “anti-trafficanti”, Roma deve continuare a pagarlo, ma non allo “zio”. Ora le milizie vicine ad Haftar puntano su Zuara, un’altra delle zone dove partono i migranti. Dabbashi si sarebbe rifugiato presso una formazione che a sua volta lavora con la Guardia costiera libica contro il traffico di esseri umani.
Secondo fonti libiche un ruolo importante nella disfatta del clan Dabbashi l’hanno avuto le teste di cuoio francesi impegnate da tempo in Libia, ufficialmente per contrastare la costola nordafricana dell’Isis, in realtà per presidiare gli interessi (petroliferi) francesi e rafforzare l'”uomo di Parigi”: il generale Khalifa Haftar.
(da “Huffingtonpost”)
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