I QUATTRO REFERENDUM: MEGLIO VOTARE, FA BENE A TUTTI
ASTENERSI PER DIRE POI DI AVER VINTO IN CASO DI MANCATO RAGGIUNGIMENTO DEL QUORUM NON SARA’ MAI UN SUCCESSO REALE…SI VINCE O SI PERDE SUL CAMPO, NON RESTANDO NEGLI SPOGLIATOI
Dice il ministro della Salute Ferruccio Fazio che per lui votare ai referendum sarà «un bel problema» perchè è residente a Pantelleria: «Spero di farcela, ma se non vado a votare non sarà per motivi ideologici».
I suoi colleghi Maurizio Sacconi, Altero Matteoli, Giorgia Meloni e Claudio Scajola spiegano invece che no, loro non ci andranno alle urne proprio per far fallire le consultazioni.
Sulla stessa posizione sta Roberto Formigoni.
Che a chi gli rinfacciava che «è grave che chi riveste un ruolo istituzionale dichiari di non voler partecipare a un istituto democratico che permette a tutti i cittadini di dire la propria», ha ricordato piccatissimo che «ai sensi delle leggi vigenti non vi è alcun obbligo per i cittadini di andare a votare».
Compreso, ovvio, «il cittadino Formigoni». Il quale, dieci anni fa, quando il governo di sinistra fece esattamente come stavolta quello di destra e cioè rifiutò di abbinare le elezioni e il referendum sulla devolution lombarda fortissimamente voluto dal governatore e dalla Lega per non favorire il superamento del quorum, era furente: «Un killeraggio».
In realtà , come ricordava un giorno Filippo Ceccarelli, «chi è senza astensionismo scagli la prima pietra».
Pier Ferdinando Casini, per dire, oggi si batte perchè tutti vadano a votare ma sulla procreazione assistita era favorevole all’astensione pur avendo sostenuto nel 1997, quando l’invito ad «andare al mare» aveva mandato a monte, scusate il pasticcio, 7 quesiti, che «è sempre un giorno triste, quando le urne vengono disertate».
E Piero Fassino, che a quell’appuntamento del 2005 era impegnatissimo a superare il quorum sulla procreazione, aveva due anni prima spiegato, a proposito dell’estensione dell’articolo 18 alle piccole imprese: «La strategia passa attraverso la richiesta ai cittadini di non partecipare».
Perfino i radicali, che più coerentemente hanno sostenuto il valore democratico del voto referendario, hanno qualcosa da farsi perdonare.
Fu Marco Pannella, infatti, a ventilare per primo l’ipotesi dell’astensione per far fallire lo scontro sulla scala mobile nel 1985.
E da allora è sempre andata così.
Da una parte quelli che vogliono vincere «pulito» con il quorum, dall’altra quelli che non vogliono rischiare di perdere e puntano a sommare il loro astensionismo a quello fisiologico.
Indifferenti all’accusa, volta per volta ribaltata, di essere dei «furbetti».
Prima delle parole dette in questi giorni da Giorgio Napolitano, un altro presidente si era speso per la partecipazione.
Carlo Azeglio Ciampi: «È ovvio che l’astensione è legittima, ma io ho votato per la prima volta a 26 anni, perchè prima in Italia non era dato, e da allora l’ho sempre fatto perchè considero il voto una conquista e un diritto da esercitare».
Ecco, per costruire una democrazia compiuta, quali che siano i referendum sul tavolo, i valori in gioco, gli schieramenti politici, si potrebbe partire da qui. Dalla necessità di salvaguardare uno strumento di partecipazione che, dopo 24 fallimenti consecutivi a partire dal 1995, non possiamo più permetterci di mandare a vuoto.
Certi cattolici come Mario Segni, controcorrente rispetto alle stesse scelte della Chiesa, decisero ad esempio di andare a votare anche sulla fecondazione assistita.
Votarono da cattolici, non da atei, laicisti, anti-clericali. Ma votarono.
Convinti che, se avessero vinto nelle urne, sarebbe stata una vittoria più bella che non quella ottenuta col trucco.
Gian Antonio Stella
(da “Il Corriere della Sera”)
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