I RAGAZZI DELLO JUVENTA SONO EROI, ALTRO CHE INDAGARLI, HANNO SALVATO 14.000 VITE UMANE
IL REGISTA MICHELE CINQUE HA REALIZZATO UN DOCUMENTARIO A BORDO DELLA NAVE DELLA ONG TEDESCA: “COLPITI PERCHE’ NON STRUTTURATI”… L’ACCUSA RIDICOLA DI NON AVER DISTRUTTO DUE GOMMONI, MANDATECI SALVINI A RECUPERARLI DAGLI SCAFISTI
“Sono molto abbattuti, ma allo stesso tempo, cercano un un modo per continuare il proprio attivismo. Qualcuno di loro tornerà a studiare, ma altri sono pronti a prendere il loro posto”.
A parlare con Huffpost è Michele Cinque, regista di 33 anni romano che nell’ultimo anno ha documentato, per un totale di oltre 500 ore di girato, l’operato dell’imbarcazione Iuventa e del suo equipaggio.
Il risultato sarà un film (“Proveremo a presentarlo alla prossima Berlinale”) il cui finale è ancora aperto.
Non a caso Michele Cinque è a Berlino dove lo incontriamo poco dopo essersi recato presso la sede della Jugend Rettet, un ufficio in zona Mitte “di cui è meglio non rivelare l’indirizzo, hanno ricevuto tante minacce. Hanno accusato il colpo iniziale, non erano preparati. Sono la Ong più fragile ad operare in quelle acque, è stata attaccata lei invece di altre proprio perchè si sapeva che non sarebbe stata in grado di reagire in tempi rapidi. Sono un gruppo di ragazzi idealisti che inizialmente neanche pensava che la loro attività nel Mediterraneo sarebbe durata così a lungo. Avevano iniziato a causa della fine dell’operazione Mare nostrum, volevano dare l’esempio, con la speranza che l’Unione europea li seguisse e si facesse carico della questione. Non erano strutturati, chiunque abbia fatto parte dell’equipaggio ha seguito un addestramento che però è rapido e non ha una risposta per ognuna delle migliaia di situazioni diverse con cui si avrà a che fare. Ciò che conta è che questi ragazzi abbiano salvato in un anno di operazioni 14000 persone”.
La procura di Trapani contesta alla Iuventa solo di non aver distrutto in almeno un paio di circostanze le imbarcazioni su cui viaggiano i migranti tratti in salvo, ma di aver permesso ai trafficanti di riprenderle. (Loro, disarmati, avrebbero dovuto insistere per trattanerle e prendersi una raffica di mitra, tanto per capirci).
“Ciò che non è ancora chiaro ai mass media è che in quelle acque, oltre alle ONG, le guardie costiere e i barconi con i migranti c’è un altro soggetto con cui fare i conti: i cosiddetti Engine-Fisher. Si tratta di imbarcazioni che scortano i gommoni fino a quando non vengono recuperati dalle Ong di turno per poi rubarne o il motore o addirittura tutto lo scafo. Del resto non ci sono più gli scafisti, a guidare sono normalmente gli stessi migranti a cui è stato offerto un biglietto scontato. Fino all’estate del 2016 gli Enigine-Fisher rimanevano a parecchia distanza e si avvicinavano solo a trasbordo finito, ma l’operato delle ONG li ha resi più aggressivi. A volte rubano il motore del barcone ancora prima che quest’ultimo sia recuperato da qualcuno, lasciandolo andare in mare aperto senza alcuna guida, altre volte si avvicinano durante l’operazione del trasbordo minacciando in vari modi gli stessi equipaggi delle ONG. Spesso sono armati, a volte fanno solo finta di esserlo. A quel punto cosa fai? La tua priorità è salvare vite e, logicamente, non mettere neanche la tua o quella degli altri operatori a repentaglio. E questo per non parlare della Guardia costiera libica che non si comporta, spesso, come dovrebbe. Lei si che, come mostrerà un servizio della Rai il prossimo tre settembre, conosce, e non solo, i trafficanti di migranti”.
È mai stato testimone di un errore comportamentale?
“No, non durante le riprese della loro prima missione, quando a luglio 2016 dopo mesi di corteggiamento mi accettarono a bordo solo 15 minuti prima di salpare da Malta, nè nelle centinaia di ore girate dagli altri miei operatori successivamente sia sulla Iuventa che su altre imbarcazioni di Ong. Solo il primo giorno di missione hanno salvato 455 persone, se si parla delle prime due settimane allora il numero sale a oltre 2mila, a cui purtroppo vanno aggiunte due ragazze morte durante le operazioni di recupero. Non è facile avere a che fare con la morte, ancora di più se hai vent’anni e poco più”.
Cosa rimane di questa avventura della Iuventa?
“L’aver fatto qualcosa di importante e di giusto. Forse è la fine di un’epoca per le Ong, forse no. Certo è che finchè l’Europa farà finta di non vedere, qualcuno con il senso del giusto proverà a dare il proprio contributo anche al costo sacrificare i propri sogni”.
(da “Huffingtonpost”)
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