I TIMORI DI OBAMA PER LA POSSIBILE CANDIDATURA DI BERLUSCONI
L’AMBASCIATORE AMERICANO A ROMA A COLLOQUIO CON L’EX PREMIER PER SINCERARSI SE HA DAVVERO INTENZIONE DI CANDIDARSI DI NUOVO ALLA GUIDA DEL CENTRODESTRA
«E allora, Mr. President, davvero ha intenzione di ricandidarsi alla guida del Paese?».
La berlina blindata di Silvio Berlusconi ha da poco varcato l’ingresso della sontuosa Villa Taverna, la residenza dell’ambasciatore statunitense David Thorne, nel quartiere residenziale dei Parioli, di fronte Villa Borghese.
Il corteo di auto ha attraversato sotto la canicola il centro di Roma già quasi svuotato..
È l’ora di pranzo e l’invito è stato rivolto all’ex premier tramite il suo braccio destro Gianni Letta.
Nessuno dei coordinatori e dei capigruppo del Pdl — riuniti a Palazzo Grazioli quella mattina per discutere di legge elettorale e partito — viene informato del perchè il “Presidente” debba uscire, per fare cosa, per vedere chi.
Ne viene messo al corrente solo Angelino Alfano. Al fianco di Berlusconi, però, ci sarà unicamente l’ex sottosegretario.
L’ambasciatore, da buon americano, è persona curiosa, ma soprattutto assai concreta. E va subito al sodo.
«Abbiamo letto della sua intenzione di tornare in competizione, presidente Berlusconi. È davvero così? Lo farà ? Che progetti ha per il suo futuro?»
Il Cavaliere sa bene che dietro quella domanda c’è il senso dell’invito a Villa Taverna. Consapevole che non si tratti di una curiosità personale dell’ambasciatore, diplomatico pur informatissimo sui movimenti della complessa politica italiana.
Negli ultimi dieci giorni, è stato sufficiente che Palazzo Grazioli mettesse in circolo l’informazione del «ritorno in campo» per mettere in fibrillazione le cancellerie di mezza Europa.
Ed è notorio quanta formalità , quanta freddezza abbia contraddistinto i rapporti tra la Casa Bianca e il governo Berlusconi negli ultimi due anni di permanenza a Palazzo Chigi.
Sarà anche per questo che alla domanda dell’ambasciatore l’ex premier risponde concedendosi un ampio margine di incertezza.
«Vede Mr. Thorne, sarei molto tentato, è una svolta alla quale penso da tempo, me lo chiedono in tanti e soprattutto sono i sondaggi a spingermi in quella direzione» spiega il Cavaliere. Che cita gli ultimi rilevamenti in cui una riedizione di Forza Italia, per di più guidata da lui, garantirebbe al partito almeno 5 punti in più rispetto all’attuale previsione del Pdl privo della sua guida.
«Tuttavia — mette le mani avanti — sarebbe una scelta forzata, preferirei riservare per me il ruolo di padre nobile. Sto cercando delle valide alternative, ma non è facile».
Sono i dubbi che lo attanagliano, confermati da chi è andato a trovarlo negli ultimi giorni. Perplessità che al cospetto del rappresentante dell’amministrazione democrat statunitense Berlusconi ha voluto quasi sottolineare, ostentare.
Quasi a voler rassicurare il suo interlocutore.
La situazione resta molto fluida, nonostante ancora ieri il segretario Alfano si dicesse «convinto che lui accetterà le nostre insistenze e si candiderà , a prescindere dal tipo di legge elettorale».
Certo è che nella residenza sarda della Certosa, dove è volato per il fine settimana, Berlusconi si è portato un bagaglio carico di incertezze, che la colazione a Villa Taverna ha in un certo senso appesantito.
Obama viaggia verso una probabile rielezione in novembre. E l’opinione che dell’ex premier hanno maturato da anni a Washington è stata svelata, semmai ce ne fosse stato bisogno, dai documenti riservati pubblicati da Wikileaks nel novembre 2010.
Il rapporto personale con Putin («Straordinariamente stretto: ne sembra quasi il portavoce in Europa») , la inadeguatezza («Inetto, vanitoso e incapace») e i troppi festini («Frequenti lunghe nottate e l’inclinazione ai party significano che non si riposa a sufficienza») erano solo alcuni dei tratti distintivi che connotavano Mr. Berlusconi nei report inviati dai diplomatici Usa alla Segreteria di Stato americana.
Erano passati giusto un paio d’anni dalla sortita con cui da Mosca, il 6 novembre 2008, l’allora premier italiano aveva salutato l’elezione di Obama alla White House: «Bello, giovane e abbronzato», facendo scendere il gelo in mezzo mondo.
Quel gelo, da Washington a Berlino, per il Cavaliere non si è mai sciolto.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
Leave a Reply