IL M5S VEDE VACILLARE IL PATTO SEGRETO SULL’ITALICUM
DI MAIO SI FA SCAPPARE: “E’ UNA LEGGE CHE CI FAVORISCE”… I RETROSCENA DELL’ACCORDO
Luigi Di Maio ha detto un pezzo di verità , ieri sera, quando gli hanno posto a bruciapelo la questione, diventata improvvisamente attualissima: e se Renzi cambiasse l’Italicum?
Il candidato premier del Movimento ha detto: «Vogliono cambiare l’Italicum? Sarà il più grande boomerang politico della storia del nostro Paese. Cambiare una legge per danneggiare il Movimento cinque stelle? Fate pure. Noi abbiamo sempre combattuto l’Italicum, nonostante questa sia una legge che ci favorisca, devo pensare che lo pensino anche loro».
Forse mai aveva ammesso, come nell’inciso che sottolineiamo, che l’Italicum è una legge che favorisce il Movimento.
La conseguenza che si può trarre è inesorabile, logicamente: il Movimento, nonostante le dichiarazioni roboanti anti legge elettorale, non ha mai lottato per cambiarla; anzi. E tre scene che siamo in grado di ricostruire lo confermano oltre ogni ragionevole dubbio.
Scena prima.
Giugno del 2014, il momento cruciale del «dialogo», appena nato, tra Matteo Renzi e Luigi Di Maio sulla legge elettorale. Alla Casaleggio associati a Milano si tiene un vertice che è venuto il momento di raccontare per un dettaglio cruciale.
Il tema era, appunto: la legge elettorale, e le ipotesi di doppio turno, di preferenze, di premio (alla lista o alla coalizione?).
Accanto a Gianroberto Casaleggio e pochi altri (cinque persone, compreso il figlio Davide) c’era Aldo Giannuli, il professore che aveva seguito per il Movimento il cervellotico voto on line per elaborare la proposta di legge elettorale dei cinque stelle. Casaleggio era contrarissimo all’idea che Di Maio si sedesse a un tavolo con Renzi. Grillo, che poco ci capiva, lo era nondimeno, per istinto. E i parlamentari scalpitanti?
Raccontò Giannuli, alla fine di quel vertice: «Luigi (Di Maio) è un democristiano vero, farebbe di tutto per sedersi a quel tavolo. Non vede letteralmente l’ora».
Il capolavoro del giovane di Pomigliano fu poi battere le resistenze di Casaleggio e Grillo, e riuscire a sedersi a quel tavolo con Renzi.
Andandosi a trattare lui la legge elettorale diventava in quel momento, di fatto, il leader in pectore dei cinque stelle.
La scalata a Gianroberto Casaleggio nacque lì, e Renzi glielo consentì, pensando che il giovane fosse l’avversario battibile e malleabile. Poi venne l’Italicum. Una legge nella quale – per una serie di contingenze di quel momento – il Movimento cinque stelle viene incredibilmente premiato dal suo stesso acerrimo nemico.
Una legge che manda a nozze la propaganda cinque stelle, consentendo loro di strepitare contro qualcosa che in realtà gli va benissimo.
E qui veniamo alla scena seconda.
Un anno e un mese fa, la comunicazione dei cinque stelle aveva cominciato a diffondere – anche attraverso la coach tv Silvia Virgulti, ma non solo – le istruzioni su come comportarsi in tv in caso di discussioni sulla legge elettorale.
Ai parlamentari che venivano mandati davanti alle telecamere (via via sempre più centralizzata la scelta) fu spiegato, con queste testuali parole: «L’Italicum è una legge che ci conviene».
Bisognava contestarla a parole, ma senza spingere più di tanto nei fatti. Da qui partì nel gruppo parlamentare l’espressione di «Italicum a cinque stelle», per definire quella legge nata tra Renzi e Di Maio.
La scena terza è una carta che giace negli archivi anche se fu presto accantonata. Dicembre 2015. Alessandro Di Battista presentò alla Camera un ordine del giorno, di cui è primo firmatario, per chiedere al governo di «astenersi dall’adottare iniziative legislative recanti proposte di modifica della disciplina elettorale per l’elezione delle Camere una volta giunti all’approvazione della riforma costituzionale».
In pratica è come se Di Battista, l’amico-rivale di Di Maio, gli avesse svelato il gioco, e dicesse in pubblico a Renzi: fate come volete sulla Costituzione, ma non toccate la legge elettorale.
Era quella la ceralacca su un patto già siglato, e che doveva rimanere tale.
Jacopo Iacoboni
(da “La Stampa”)
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